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Neve e Abeti bianchi

Pescopennataro Bosco degli Abeti soprani

Nevica in questi giorni in Molise. I rami e i tronchi degli alberi sono coperti di bianco. Anche le foglie aghiformi degli alberi sempreverdi come pini, abeti, cedri sono tutte imbiancate. Un albero che esprime meglio il rapporto stretto con la neve è l’Abete Bianco. Lo dice lo stesso nome “Bianco” proprio perchè gli aghi verdi hanno due striature chiare biancastre. Gli abeti bianchi sono presenti per lo più nell’ Alto Molise, nelle riserva MAB Unesco di Collemeluccio tra Pescolanciano Pietrabbondante e Chiauci di solito consociato con il cerro e nel Bosco degli Abeti Soprani di Pescopennataro. A Pescopennataro le abetine possiamo considerarle quasi autoctone, cioè originarie del luogo pur se è intervenuto l’uomo in passato. Fanno parte ormai della storia forestale di quei luoghi. Le abetine quasi pure artificiali e coetanee hanno però qualche problema legata alle mancanza di stabilità e alle malattie. Neve, vento e malattie fungine sono un po’ i nemici dell’abete bianco. Ma non è sempre vero se si effettuano degli interventi forestali (assestamento) che possono cercare di migliorare la stabilità di questi popolamenti. La gestione delle abetine non si deve porre solo come unico obiettivo quello economico-finanziario, ma soprattutto valorizzare le importanti funzioni ecologiche, ricreative e paesaggistiche. Si avranno vantaggi per tutti, in particolare per quelli che si avvicinano per esempio al selviturismo o turismo forestale oppure per quelli che scrivono di Silvoterapia, o terapia del bosco. L’uomo trova nel bosco sempre un rifugio dallo stress e dai problemi della vita. Nei boschi di abete bianco ricoperti di neve il “rifugio” è ancora più sentito. Buon 2019 agli amici di molisealberi.

Lavarone Malga Laghetto Avéz del Prìnzep (L’Abete del principe)

Lavarone, un comune della provincia di Trento. Molte frazioni sparse, un po’ più di 1000 abitanti. Nel territorio comunale è presente un piccolo lago attorno al quale Sigmund Freud spesso andava a passeggio.  C’è un’area SIC denominata “Malga Laghetto”. In vicinanza, il grande abete Principe, Si dice che forse è l’abete fra i più alti d’Europa  con i suoi  50 mt di altezza  con circonferenza intorno ai 5 metri. L’altezza nel 1982  era 50 mt nel 1997 passa a 54 mt.  Tiziano Fratus nella rubrica di cercatore di Alberi sulla Stampa in un articolo del 2013 descrive il percorso per raggiungerlo: “ Proprio di fronte ad un vecchio albergo parte il sentiero che costeggia sia il lago sia il bosco, per arrivare, cinque-sette minuti dopo serenamente ai piedi della piattaforma costruita intorno al gigante bianco, all’abete ( Abies alba) dal tronco leggermente inclinato a sud, con la punta della chioma che sfiora i 54 metri.  A Lavarone il  gigante alpino presenta una circonferenza del tronco alla base di sei metri, mentre a petto d’uomo mi fermo ai 500 cm. Il nome deriva dal “Prinzipe” , ovvero il podestà, il vecchio sindaco, che negli anni Trenta del XX secolo rifiutò l’abbattimento dell’albero. La sua base è colossale, raccoglie luce sula corteccia, come molti alberi da bosco richiede tempo per imprimersi nell’ immaginazione. Seduti si viene accarezzati dal vento che corre sulla superficie del lago e coccolati dal gorgoglio del ruscello che non smette mai di cantare”.

Nel 1982 le dimensioni del tronco erano 480 cm ma l’interesse in questo caso sta nell’altezza di 50 metri del censimento del CFS.  

Piattaforma, scalette in legno, pannelli indicatori, staccionate; quanto interesse c’è intorno a questo gigante e colosso, che sta sempre lì per essere abbracciato.

Ecco alcune foto trovate  in rete che mostrano come l’abete sia diventato un centro d’attrazione turistica. Alcuni abeti bianchi tra i più alti d’Italia stanno anche qui vicino a noi nell’abetina di Rosello in Abruzzo e  nel Bosco degli Abeti soprani a Pescopennataro a cui rimandiamo per la lettura in un nostro post . Anche da queste parti alcuni abeti  Soprani e di Rosello come il Principe di malga Laghetto,  che qui potremo chiamare gli abeti “Sovrani” al posto di “Soprani” meritano un interesse e una maggiore attenzione.

 

 

 

Tra i grandi alberi dell’Ortobotanico di Roma l’Abies nebrodensis (Lojac) Mattei

Già in un precedente articolo del 2013 https://www.molisealberi.com/alberimolise/ortobotanico/ e dopo un po’ di tempo siamo ritornati in compagnia dell’ “Arboricultore” Antimo Palumbo dell’Assoicazione Culturale Adea Amici degli Alberi all’Ortobotanico di Roma. Un trekking culturale, zigzagando, tra palme, magnolie, abeti, essenza esotiche, tropicali il tutto intessuto con spunti, aneddoti, notizie di carattere storico, botanico, culturale folkloristico, alimentare sui grandi alberi. Ecco un breve fotoracconto. Si tratta di alberi che non si incontrano facilmente nei nostri boschi e nelle nostre città che ci hanno stimolato l’interesse alla loro conoscenza.  Molte delle foto comunque sono state scattate da noi di molisealberi in altre date. Abbiamo seguito in parte l’elenco che gentilmente ci ha concesso  Antimo Palumbo.

Si comincia con l’Abies nebrodensis (Lojac) Mattei (Sicilia) in poche  parole l’Abete dei Nebroidi o meglio delle Madonie, in quanto è una specie che per le sue carratteristiche occorre mantenere e conservare a lungo per i pochi esemplari rimasti

L’Abete dei Nebroidi è una specie rara e in via di estinzione. Sono rimasti alcune piante  nelle Madonie in Sicilia nelle località di Vallone Madonna degli Angeli, Monte Scalone, Monte dei Pini e Monte Cavallo nel Comune di  Polizzi Generosa a quota sopra i 1500 mslm (Fonte Ente Parco delle Madonie).

Parco delle Madonie località dove ci sono esemplrai di Abete dei Nebroidi
Parco delle Madonie località dove ci sono esemplari di Abete dei Nebroidi

Qui si trovano forse le uniche al mondo, piante di Abies nebrodensis  tutelate dalla Convenzione di Berna e da quella di Washington.

Forse 9000 anni fa era presente con l’abete bianco (suo parente stretto). Prima infatti era considerata un subspecie dell’Abete Bianco chiamata Abies pectinata (Lam.) DC. var. nebrodensis Lojac,  A. alba Mill. var. nebrodensis (Lojac.) Svoboda; A. alba Mill. subsp. nebrodensis (Lojac.). Gli studiosi Lojacono Pojero e Giovanni Ettore Mattei solo agli inizi del 1900 hanno fatto una descrizione dettagliata indicandola come nuova specie, diversa dall’Abete bianco. Infatti per chi non è attento dalle foto la pianta  sembra un Abete bianco (le due striscce bianche sotto gli aghi)  ma la corteccia ha placche squamose le foglie sono più piccole (10 mm) più rigide e sub spinose, rispetto all’abete bianco. Sono in gruppi di 2, lineari-rigide e scanalate di sopra, verde scuro superiormente e glauche inferiormente, con un peduncolo alla base dilatato in piccolo umbone, all’apice poi sono arrotondate. Gli aghi quindi tendono a disporsi a sprrale e pettine per quelli che si trovanop più in ombra.  Inoltre l’albero è a portamento più ridotto e i rami sono disposti quasi a croce. (Fonte modificata da S. Pignatti, Flora d’Italia, vol. I, pag. 74)

Aghi di Abete dei nebroidi
Abies nenebrodensis (Lojac) Mattei le foglie

Abies nebrodensis (Lojac) Mattei
Abies nebrodensis (Lojac) Mattei

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Il Bosco degli Abeti Soprani e i suoi “giganti”

Tiziano Fratus nel suo libro: “L’Italia è un Bosco” parla del Molise e in particolare del Bosco degli Abeti Soprani a Pescopennataro – Sant’Angelo del Pesco. Egli dice: “Nonostante sia una piccola regione, il Molise ha diversi boschi di valore. Curiosamente ospita quattro concentrazioni d’abete bianco tra cui il bosco degli Abeti soprani (1000 ettari). Nonostante ciò, nessun abete bianco è segnalato fra i monumentali censiti su “Molise Alberi”, uno dei siti di riferimento dei cercatori d’alberi in Italia”.

Allora noi siamo andati a trovare un bel po’ di abeti bianchi per misurarli, fotografarli e per stabilire l’albero “simbolo, di notevole interesse e forse monumentale” per questo bosco. E’ stato difficile scegliere un abete, in quanto abbiamo constatato che se facessimo riferimento solo alla circonferenza del tronco, quelle che superano i 2,50-2,90 metri sarebbero tutte piante monumentali. E con le altezze di queste piante come la mettiamo? Prendiamo per esempio l’abetina di Rosello in vicinanza del nostro bosco degli Abeti Soprani. Qui dal libro sui grandi alberi d’Abruzzo di Francesco Nasini si fa riferimento all’abete tra i più alti d’Italia con una circonferenza di 2,90 mt e una altezza di 54 mt descritto da Franco Tassi: “Alberi spontanei presenti in una forra poco conosciuta dei Monti dei Frentani al limite meridionale dell’Abruzzo e non lontano dal Molise… individui che raggiungono i 50 metri e talvolta li superano… un autentico miracolo della natura… stranamente questi altissimi alberi possiedono una circonferenza che non supera mai i 3 metri.” Inoltre si afferma nel libro: “…che abeti di altezza più modesta (45 mt) presentano una circonferenza di oltre 4 metri”.

Noi di molisealberi abbiamo invece trovato in vicinanza della strada Pescopennataro-Prato Gentile di Capracotta un esemplare di abete bianco che ha un’altezza stimata di 25 mt con una circonferenza di 3,40 mt (foto 1) ed in vicinanza altri esemplari di abete bianco con circonferenza di 2,70 mt ma altezza molto superiore, 27-30 metri. Allora quale dei due possiamo considerare “monumentale”? Quello con il tronco più largo e molto corto in altezza o al contrario, con tronco “stretto” e altezza elevata? Conclusione: difficile parlare di alberi “monumentali” se facciamo riferimento solo alla circonferenza o solo all’altezza. Abbiamo trovato (foto 2) alberi con circonferenza di 2,50 – 2,70 mt alti oltre i 25-30 metri. Il nostro albero di 3.40 mt di circonferenza (54 cm di diametro del tronco) anche se non è un gigante, è monumentale? Per noi sì, perchè circonferenze di questo genere non sono facili da trovare e poi si presentava bene anche con un po’ d’edera, con qualche ramo rotto, in bella raggiera con la sua età (150-170 anni).

Altra verifica. Dalla tavola cormometrica ad una sola entrata del bosco Abeti Soprani di Cantiani per l’abete bianco con il diametro del tronco di 54 cm, il volume cormometrico è di 2,33 mc ed una altezza di 25 metri. L’età in base alla tabella seguente per il nostro abete di 2,33 mc supera i 170 anni (con mc 2,27 calcolati l’eta è 170 anni). Comunque questa tabella dovrebbe essere utilizzata al contrario, partendo dall’età e poi non è riferita al nostro bosco di abete.

Variazioni delle altezze cormometriche dei diametri e dei volumi in funzione dell'età
Variazioni delle altezze cormometriche dei diametri e dei volumi in funzione dell’età

Valido Capodarca, che di grandi alberi se ne intende, in un post del 20 Agosto 2014 su facebook risponde alla domanda: Quali sono i criteri per stabilire se un albero è monumentale? “Meglio lasciar perdere“. Lo stesso facciamo anche noi. Inoltre Valido Capodarca dice:”…pur continuando a misurare i miei alberi, gli unici parametri che ho tenuto da conto (ovviamente di nessun valore in termini giuridici) è l’emozione che la pianta mi suscita…

Da wikipedia “L’abete bianco è un albero maestoso, slanciato e longevo, e data anche la sua notevole altezza (in media 30 metri, alcuni esemplari possono superare 50 metri),è soprannominato “il principe dei boschi“.

Albero monumentale: Abete (Abies alba) a Grottaminarda (AV)

L’Abete monumentale di Grottaminarda, con un’altezza di 22 metri, è un emblema storico e culturale. Situato nel Polo Universitario della Seconda Università di Napoli, questo albero, piantato oltre quarant’anni fa, testimonia la memoria storica e il legame profondo con la comunità locale.

Nome comune: Abete Nome scientifico: Abies alba Altezza stimata (m): 22 mt Circonferenza (misurata a circa 130 cm da terra): 190 cm

Numero esemplari: 1 Tipo: Albero singolo Fusti: L’albero ha un solo fusto

Di chi é l’albero monumentale: Comune di Grottaminarda Proprietà: pubblica Indicazioni per raggiungere l’albero: L’abete si trova all’interno del recinto dell’edificio ospitante il Polo Universitario della Seconda Università di Napoli Via/c.so/piazza: Carpignano Località: Grottaminarda Comune di Grottaminarda (AV)

Ambiente Urbano: Verde pubblico

La pianta viene segnalata per: Forma o portamento particolari Valore storico-culturale Valore paesaggistico Valore architettonico

Descrizione della motivazione: L’abete insieme ad altri esemplari credo siano stati piantati più di quarantanni fa, la loro crescita si è accompagnata a quella di migliaia di bambini che negli anni hanno frequentato la scuola elementare dove ancora dimorano. Nel nostro comune vi è stato negli anni passati una vera “mattanza” di alberi, abeti e querce secolari, tutto a vantaggio della cementificazione. L’ultimo abbattimento, di un esemplare ancora più maestoso, è avvenuto il 14/05/2011 dinnanzi all’impotenza dei molti, senza tener conto della memoria storica, si, memoria storica, perchè anche gli alberi creano la memoria storica e il senso di appartenenza ad una comunità.

Minacce: Errata gestione e manutenzione Rischio di taglio

ABETE a GROTTAMINARDA (AV) segnalato da Doralda Petrillo – Grottaminarda (AV)

FOTO ABETE a GROTTAMINARDA

Albero monumentale: Abete Rosso (Picea Excelsa) a Rezzoaglio (GE)

Nome comune: Abete Rosso Nome scientifico: Picea Excelsa Circonferenza (misurata a circa 130 cm da terra): 277 cm

Tipo: Albero singolo Fusti: L’albero ha un solo fusto

Località: Costafigara Comune di Rezzoaglio (GE)

Ambiente Extraurbano: Bosco di latifoglie

La pianta viene segnalata per: Forma o portamento particolari

ABETE ROSSO a REZZOAGLIO (GE) segnalato da d.b – genova

FOTO ABETE ROSSO

Pescopennataro – Sant’Angelo del Pesco: Il Bosco degli Abeti soprani (prima parte)

Comuni interessati: Pescopennataro e Sant’Angelo del Pesco;
Sito di importanza comunitaria: codice IT7218215 “Abeti Soprani Monte Campo Monte Castelbarone Sorgente del Verde”;
Superficie complessiva del Sito: Ha 3033;
Superfice abetina stato puro ragguagliata indicativa: Ha 1000;
Altitudine media: 1250-1300 mslm.

Cartina Bosco Abeti Soprani
Cartina Bosco Abeti Soprani

Andiamo un pò in giro nel bosco degli Abeti Soprani di Pescopennataro a cercare grandi alberi sicuramente di abete. Non è semplice, sono molto alti e ci si perde spesso, in quanto tutto sembra uguale, ma lo scenario nel bosco è sempre da favola, è un po’ particolare e un po’ diverso dal solito. L’area degli Abeti soprani è compresa nei comuni di Pescopennataro e Sant’Angelo del Pesco; rientra all’interno del Sito di Importanza Comunitaria (SIC codice IT7218215) denominato “Abeti Soprani – Monte Campo – Monte Castelbarone – Sorgente del Verde”. Il sito presenta una superficie complessiva di 3033 ettari e la superficie dell’abetina allo stato puro è di circa 1000 ettari. L’altitudine media dell’area si aggira tra i 1250 ed i 1300 metri di quota.

L’Abete bianco nell’Appennino centro meridionale rappresenta una situazione ecologica abbastanza rara e di interesse particolare per lo studio della biodiversità. Non è facile trovare spesso abetine che riescono a vivere in condizioni edafiche e climatiche sui orizzonti fitoclimatici submontani anche perchè nei secoli passati c’è stata una forte riduzione di questa specie. L’Abete bianco si trova generalmente misto al faggio ed in alcuni casi anche al cerro come nel bosco della riserva di Collemeluccio.

L’abete bianco è una specie particolare un po’ delicata, è diffusa in diversi areali del centro-sud dell’Appennino. Nel centro Italia si trova, oltre che in Toscana (Abetone Bosco di Vallombrosa), in gruppi isolati sui Monti delle Laga nell’Appenino Teramano e del Gran Sasso. Si rinviene anche in Calabria in Sila, Aspromonte e Pollino. Vale ricordare che in Sicilia è presente ormai in forma di pochi esemplari con l’Abies nebrodensis. E’ proprio nell’Altissimo Molise e a confine con l’Abruzzo (Abetina di Rosello) e nel bacino del Trigno che l’abete bianco, se pur in alcuni casi consociato, trova ancora una sua certa diffusione anche se non si tratta di specie esclusivamente endemica. Non a caso già nel 1971 per il Bosco “Abeti Soprani” la Società Botanica Italiana aveva posto l’interesse nel censimento dei Biotopi di rilevante interesse vegetazionale.

Bosco Abeti soprani
Cartina del Bosco degli Abeti soprani

Il bosco degli Abeti soprani è anche un bosco da seme utilizzato per la riproduzione delle piantine nei semenzali. L’intera area SIC (Sito di importanza comunitaria) non è costituita solo da boschi ma per circa il 25% del sito prevalgono le praterie, i cespuglieti, gli arbusteti dove predomina la rosa, il prugnolo, il biancospino, i rovi, il perastro, i ligustri, l’acero campestre, il caprifoglio. Le praterie sono in zone pianeggianti a quote tra i 1050 i 1500 mt. Sono praterie xerofitiche della zona temperata caratterizzate da Bromus erectusPoa bulbosa, e Festuca.

In località delle sorgenti Rio Verde (vicino l’area attrezzata) sono presenti zone umide con le tipiche canne palustri Phragmites communis e Magnocariceti. La classe Phragmiti-Magnocaricetea occupa una posizione intermedia e di raccordo tra i prati umidi e i boschi igrofili (Querco-Fagetea). L'”effetto mosaico” molto elevato in questi tipi di vegetazione che reagiscono molto sensibilmente alle micromorfologie, rende difficile l’inquadramento delle cenosi. Nel Bosco degli abeti Soprani l’attività antropica ha favorito la diffusione dell’abete a scapito del faggio, le abetine quindi hanno costituito una formazione stabile. Sicuramente mantenere l’abete più a lungo possibile non è semplice, particolari problematiche per la sua rinnovazione ci sono, ne parleremo nelle prossime parti dove faremo anche un po’ di storia dell’abetaia.

Alcune foto del Bosco degli Abeti Soprani, uno spettacolo da visitare senza perdersi.

 

Pescolanciano – L’abetina di Collemeluccio (prima parte)

Mappa di Collemeluccio

Collemeluccio si trova tra Pescolanciano e Pietrabbondante in Alto Molise. La Foresta di Collemeluccio è una consociazione di Abete Bianco con il Cerro. L’abetina ha una valenza ecologica elevata ed è sottoposta a studi e ad una attenta gestione. Abete bianco e Cerro non è facile trovarli insieme nel nostro Appennino molisano. Di solito l’Abete bianco sta in consociazione con il faggio, ma qui scende di quota nel piano della Cerreta. Stranezze della natura.

Il bosco di Collemeluccio per diventare com’è oggi ha aspettato molto tempo, l’uomo ha fatto il resto. L’Abetina di Collemeluccio fa parte di un sito SIC (Sito di importanza Comunitaria) denominato  IT7212134 Bosco di Colle Meluccio – Selvapiana – Castiglione – La Cocozza per una superficie di circa 4000 ettari. L’Abetina di Collemeluccio rientra nell’habitat indicato con il numero  9510 per una superficie di 484 Ettari pari a circa l’8% dell’area SIC L’habitat di Collemeluccio n. 9510 è detto prioritario: “Foreste sud-appenniniche di Abies alba” descritto come: “Boschi relittuali di abete bianco, spesso accompagnati da cerro e faggio, localizzati in aree montane dell’Appennino meridionale, all’interno della fascia potenzialmente occupata dalle faggete”.

Tali formazioni vengono comunemente inquadrate (per chi si occupa un po’ di fitosociologia) nell’alleanza Geranio versicoloris-Fagion sylvaticae. Gli habitat prioritari sono habitat naturali che rischiano di scomparire in Europa e per la cui conservazione un po’ tutti noi abbiamo una grossa responsabilità. Ormai si parla di habitat prioritari dal 1992, anno della “famosa” direttiva Habitat.

Facciamo un po’ di storia del Bosco di Collemeluccio che preferiamo chiamare Foresta. Il nome di Collemeluccio forse deriva dal nome della nobildonna Desiderata Mellucci consorte del duca D’Alessandro di Pescolanciano. Siamo nell’anno 1628 e qui già c’era l’Abete bianco. Prima si chiamava Feudo Vignali o secondo altri: Selva di Santa Maria in Salcito, proprietà del Duca D’Alessandro fino al 1895, anno in cui fu espropriato dal Banco di Napoli ed acquistato da altre  famiglie. Poi la foresta fu suddivisa nel tempo, per una serie di successioni ereditarie, in tante piccole quote (frammentazione fondiaria). A partire dal 1969, la foresta è diventata un bene inalienabile dello Stato, gestito dall’ex Azienda di Stato per le Foreste Demaniali, oggi dall’ Ufficio Territoriale della della Biodiversità di Isernia.

Durante il periodo di gestione privata fino al 1890 circa, il bosco era regolarmente utilizzato ed il legname di abete venduto per travame ed altri prodotti artigianali, con mercato ristretto ai comuni limitrofi. La vendita dell’abete avveniva per alberi in piedi generalmente con diametri superiori a 40-45 cm. Il legname d’abete veniva utilizzato per le manutenzioni dei fabbricati per fare attrezzature varie connesse all’attività agricola e pastorale e anche da artigiani per la trasformazione dei grossi tronchi. Nel 1870 il bosco venne diviso il 8 sezioni per l’utilizzo di una sezione ogni 8 anni seguito poi da un periodo di uguale durata nel quale non era previsto nessun taglio. Il bosco veniva, poi, abbondantemente pascolato, e i D’Alessandro concedevano le fide pascolo per i capi bovini, equini ed ovini.

Le latifoglie generalmente del piano intermedio del bosco consociate alla conifera erano governate a ceduo per la produzione di legna da ardere e carbone vegetale, mentre nel piano dominante si interveniva con un taglio a scelta che interessava le piante di abete di maggiori dimensioni. Sembra tuttavia che, soprattutto per quanto riguarda la fustaia di abete, le utilizzazioni fossero alquanto contenute ed eseguite nel rispetto di elementari norme tecniche che hanno consentito al soprassuolo di rinnovarsi naturalmente, in una certa misura, e di sopravvivere, poi, a due periodi di crisi particolare, caratterizzati da drastiche utilizzazioni in corrispondenza degli ultimi conflitti mondiali. Durante la prima guerra mondiale infatti, il bosco di Collemeluccio fu requisito dalle autorità militari e tutte le piante di abete con diametro superiore  a 15-20 cm furono tagliate. Analoghi tagli si ebbero durante il periodo dal 1940 al 1946. Nel 1968 l’Azienda di Stato delle Foreste demaniali ne prese la gestione per circa 363 ettari, la foresta è diventata una riserva orientata non più soggetta a tagli irrazionali. (fine prima parte)

Pescolanciano – La Riserva di Collemeluccio (II parte)

Il Piano di Gestione della Riserva di Collemeluccio (Terza parte)

L’Area MAB di Collemeluccio (quarta parte)

Gli alberi di Natale: non buttateli, ripiantateli. Storia, simbologia e cultura

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Pescopennataro Abeti Soprani

Siamo con la rivista sherwood e con Lorenzo Ciccarese da cui abbiamo ripreso questo interessante articolo che ci trova noi di molisealberi in accordo e che brevemente ha descritto un po’ la storia la simbologia e la cultura degli alberi di Natale. Si avvicinano le festività natalizie e molti di noi addobberanno l’albero di Natale nelle proprie case insieme alla famiglia.

Lorenzo Ciccarese ha dato un significato sulle origini della simbologia natalizia legata agli alberi, sottolineando che l’uso di alberi veri, da vivaio, meglio se certificati, è sempre preferibile all’uso di quelli artificiali. Finito il Natale piantateli, utilizzateli come energia rinnovabile o come pacciamante… hanno fissato e fisseranno ancora per qualche tempo la CO2, daranno calore a voi e risorse alle aziende agricole produttrici e non inquineranno, come invece farà sicuramente, prima o poi, un albero di plastica. A parte il presepe e S. Nicola (e gli adattamenti che del santo sono stati fatti in ogni parte del mondo e nel tempo), non esiste un simbolo più rappresentativo dell’albero per le festività di Natale.

La storia dell’albero di Natale (o degli alberi di Natale, visto che ce n’è più di uno) segue da vicino la storia dello stessa Natività e della necessità per il Cristianesimo di costruire una simbologia propria, assorbendo le tradizioni e i simboli delle religioni pagane pre-esistenti in tutta Europa. Tradizioni e simboli da eclissare. Come quelle legate al culto di Saturno, dio dell’agricoltura, o a quello di Mitra: Entrambi, in tempi diversi, celebrati nello stesso periodo dell’anno (solstizio invernale). È questo uno dei motivi per cui fu deciso, solo nel IV secolo, di celebrare la nascita di Cristo il 25 Dicembre, anche se all’epoca non era certo popolare celebrare l’anniversario di nascita di qualcuno.

Allora cosa meglio di un albero, che germina, si radica, cresce, ramifica? E cosa meglio di un albero “sempreverde”, capace di trasferire il messaggio di rinnovamento e di immortalità?

Presenze e segni sulle origini dei nostri alberi di Natale possono essere riscontrate nelle più antiche culture pagane. I Romani decoravano le loro case con rami di pino e altre sempreverdi nelle Calende di gennaio. Tra i Celti, i sacerdoti e le sacerdotesse druidi (dal gaelico duir, ossia quercia) usavano decorare i loro alberi sempreverdi, abeti rossi e bianchi, per le celebrazioni del giorno più corto dell’anno. Tra i Vichinghi dell’estremo Nord dell’Europa, per esempio, dove il sole “spariva” per settimane nel pieno dell’inverno, nella settimana precedente e successiva al giorno con la notte più lunga, si officiavano le solennità per auspicare il ritorno del sole. L’abete rosso, così diffuso a quelle latitudini, era ritenuto in grado di esprimere poteri magici, poiché — a differenza delle betulle e del sorbo e delle poche altre decidue in grado di resistere a quelle condizioni — non perdeva le foglie nei geli dell’inverno. Alberi di abete venivano tagliati e portati a casa, decorati con frutti, ricordando la fertilità che la primavera avrebbe ridato agli alberi. E quando i primi missionari raggiunsero le regioni scandinave cominciò a diffondersi l’uso dell’albero di Natale anche come simbolo cristiano.

Nell’Alto medioevo, i primi alberi di Natale erano chiamati “alberi del Paradiso” e venivano decorati con mele (chiara allusione al peccato originale) e ostie (simbolo del corpo di Cristo sacrificato per scontare il peccato originale). Col tempo le ostie furono poi sostituite da candele, noci, castagne, dolci e biscotti, come simboli della redenzione di Cristo.

L’abete è il genere più comunemente usata per l’albero di Natale, perché ha il vantaggio di sembrare vitale anche se reciso e di mantenere a lungo gli aghi e di mantenerne a lungo il colore e il profumo. Ma non è il solo. In Europa sono usati anche i pini(soprattutto il pino silvestre e il pino cembro). In Nord America, America Centrale e Sud America le specie cambiano: douglasia, sequoie, cipressi, ginepri, araucaria. Il pino d’Aleppo è usato nel Sud per decorare e creare il fondo dei presepi. Ma non ci sono solo le conifere tra le piante simbolo della Natività.

Il vischio era già in uso nelle religioni pagane per celebrare l’arrivo dell’inverno e ad esso venivano conferiti poteri curativi. In Scandinavia era foriero di pace e armonia ed era associato a Frigga, dea dell’amore. I Druidi piazzavano rami di vischio sulla porta di ingresso per tenere lontani gli spiriti del male. La Chiesa delle origini ne vietò l’uso durante il Natale a causa delle sue origini pagane e lo sostituì con l’agrifoglio, per simboleggiare con le spine la corona di Cristo e con le bacche le gocce di sangue che escono dal capo. Fonte Sherwood – Foreste ed Alberi Oggi