Archivi della categoria: Aree Protette del Molise

Aree prottette ZPS SIC ecc.. della Regione Molise

Neve e Abeti bianchi

Pescopennataro Bosco degli Abeti soprani

Nevica in questi giorni in Molise. I rami e i tronchi degli alberi sono coperti di bianco. Anche le foglie aghiformi degli alberi sempreverdi come pini, abeti, cedri sono tutte imbiancate. Un albero che esprime meglio il rapporto stretto con la neve è l’Abete Bianco. Lo dice lo stesso nome “Bianco” proprio perchè gli aghi verdi hanno due striature chiare biancastre. Gli abeti bianchi sono presenti per lo più nell’ Alto Molise, nelle riserva MAB Unesco di Collemeluccio tra Pescolanciano Pietrabbondante e Chiauci di solito consociato con il cerro e nel Bosco degli Abeti Soprani di Pescopennataro. A Pescopennataro le abetine possiamo considerarle quasi autoctone, cioè originarie del luogo pur se è intervenuto l’uomo in passato. Fanno parte ormai della storia forestale di quei luoghi. Le abetine quasi pure artificiali e coetanee hanno però qualche problema legata alle mancanza di stabilità e alle malattie. Neve, vento e malattie fungine sono un po’ i nemici dell’abete bianco. Ma non è sempre vero se si effettuano degli interventi forestali (assestamento) che possono cercare di migliorare la stabilità di questi popolamenti. La gestione delle abetine non si deve porre solo come unico obiettivo quello economico-finanziario, ma soprattutto valorizzare le importanti funzioni ecologiche, ricreative e paesaggistiche. Si avranno vantaggi per tutti, in particolare per quelli che si avvicinano per esempio al selviturismo o turismo forestale oppure per quelli che scrivono di Silvoterapia, o terapia del bosco. L’uomo trova nel bosco sempre un rifugio dallo stress e dai problemi della vita. Nei boschi di abete bianco ricoperti di neve il “rifugio” è ancora più sentito. Buon 2019 agli amici di molisealberi.

Il Bosco di Feudozzo, un po’ di storia (prima parte)

Più che un bosco, ci piace chiamarla Foresta di Feudozzo, anche perchè fa parte di un ampio complesso boschivo a confine tra l’Abruzzo e il Molise in vicinanza della riserva MAB di Monte di Mezzo. Siamo nellaCartina del Bosco di Feudozzo parte più ad est del  Comune di Castel di Sangro  a confine con i comuni di San Pietro Avellana  Vastogirardi e Rionero Sannitico, in Molise. La Foresta prima era di proprietà dei Borboni e divenne demanio dello Stato nel 1892. Passò, nel 1915, nella Gestione dell’Azienda di Stato delle Foreste demaniali. Dai documenti di archivio dei primi del 900 e dal piano di assestamento del 1948 valevole per il qundicennio 1949-1963 emergono alcuni dati interessanti. Il bosco di Feudozzo fu particolarmente sfruttato in passato per produrre legna. Dei 505 Ettari del 1915, c’erano solo circa 170 ettari di cerreta di  il resto erano pascoli cespugli incolti coltivi e prati. Durante la seconda guerra mondiale il Comune di San Pietro Avellana fu completamemnte distrutto,  la popolazione trovò rifugio proprio in questa foresta. Ci furono quindi eccessivi tagli boschivi per creare zone a pascolo e alle coltivazioni. Siamo in un periodo in cui “la fame” la “disoccupazione” la presenza di manodopera a basso costo portarono allo sfruttamento irrazionale del bosco. Bisognava pur mangiare. Con il piano di assestamento del 1948 furono prescritti degli interventi di ricostituzione boschiva. Nel 1978 l’intero comprensorio di Feudozzo si divise tra Stato, Regione Abruzzo e l’ex Istiuto Sperimentale per la Selvicoltura di Arezzo.  La superficie boscata della Foresta di Feudozzo era in quel periodo di circa 500 ettari così distinti:

–  200 ettari di cerreta quasi pura in fustaia transitoria che occupava la parte  a destra del Fiume Vandra che fu avviata ad alto fusto nel 1960-1963  di età di circa 36 anni dove furono rilasciate le matricine di due classi di età di 50-55 anni e di 65-70 anni. Il sottobosco della cerreta era ricco di specie erbacee, arbustive con specie quali Pungitopo, Biancospino, Sanguinella, Rovo, Prugnolo, Pero comune, Ligustro , Berretta del prete, Edera, Vitalba, Euforbia Brachipodio, Maggiociondolo, Euforbia, Sesleria.

– 150 ettari di faggeta mista che si estende nelle alte quote di Monte Pagano

-12 ettari di rimboschimenti utilizzati a scopo sperimentale.

Cartografia del complesso di Feudozzo
Cartografia del complesso di Feudozzo

 

La pineta di Petacciato

Siamo stati sulla costa molisana, nella pineta di Petacciato. Pineta realizzata dall’uomo negli anni 50. Ci troviamo nell’area SIC Foce del Trigno-Marina di Petacciato. Nella pineta costiera oltre agli alberi ci sono rifiuti di vario tipo. L’area della pineta è quasi un rettangolo,  ha una lunghezza di circa 2300 mt per una superficie di circa 65 ettari.

Pintetadipetacciato

Pinetadipetacciato3

L’habitat di interesse prioritario è classificato numero 2270  “Dune con foreste di Pinus pinea e/o Pinus pinaster”  anche se c’è nei margini della pineta una invasione dell’Acacia saligna con i suo caratteristici fiori

Acaciasaligna
Acacia saligna, infestante della pineta

L’acacia Saligna propagandosi per stoloni sotterranei è diventata molto invasiva, assieme all’Eucalipto. Sulla duna costiera abbiamo visto la  Salsola kali  e anche la Cakile maritima Scop. subsp. maritima e una bella fioritura di Silene colorata sulla spiaggia. Si vedono alcuni pini caduti  altri sono  inclinati e  secchi che potrebbero cadere  L’habitat prioritario è qui presente in ampi poligoni, situati secondo  fasce parallele alla linea di costa e piste  perpendicolari che permetono di raggiungere la spiaggia.  Altre specie presenti nella pineta  sono  Pistacia lentiscus L., Phillyrea latifolia ,  Rosmarinus officinalis, Rhamnus alaternus e i Cistus ssp.

lentisco

Ci siamo fermati soprattutto ad osservare qualche esemplare di Quercia; ne abbiamo viste alcune sempre nella parte più a Nord che a prima vista sembrerebbero farnie con foglie ristrette alla base, con un corto picciolo e con  due caratteristici piccoli lobi ineguali (orecchiette). Poi ci è venuto un dubbio.  Potrebbe  essere anche rovere che spesso si ibridizza proprio con la farnia per cui la classificaizione si rende difficile. Queste querce comunque acquistano un alto valore ecologico nella pineta per cui dovrebbero essere meglio mantenute e conservate.

Farnia? Rovere?
Farnia? Rovere?

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I Siti della Rete Natura 2000 del Molise le categorie di pressioni e minacce per i boschi

Si parla spesso di conservare gli Habitat all’interno della rete dei siti Natura 2000. Anche in Molise le pressioni e le minacce ci sono tanto che sono state descritte per ciascuno dei 61 siti  che coprono una superficie di circa 52.000 Ettari.  Questa superficie rappresenta circa il 12% dei  440.000 Ha totali del Molise. Inoltre in Molise circa 160.000 ettari sono da considerarsi forrmazioni arbustive e arboree sempre in continuo aumento.

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Carta dei siti Rete Natura del Molise SIC e ZPS

Le categorie di pressioni e minacce agli habitat all’interno della rete dei  siti Natura, per quanto riguarda le foreste la flora e la vegetazione sono:
Assenza di alberi di alte dimensioni, di esemplari vetusti e di idonea struttura dell’habitat causata da gestione forestale inidonea.
Dimensioni insufficienti delle aree interne (bassi valori del rapporto sup. aree interne/sup. habitat).
Eccessiva diffusione di boschi monoplani.
Elevata percentuale di boschi con distribuzione  omogenea.
Limitata presenza microhabitat.
Limitato numero di specie arboree presenti.
Presenza di danni gravi o sensibili dello stato vegetativo.
Presenza significativa di dissesti.
Quantità di lettiera insufficiente.
Rinnovazione insufficiente.
Scarsa densità dello strato arboreo (area basimetrica insufficiente).
Scarsa diffusione dello strato arbustivo.
Scarsa diffusione di boschi governati a fustaia.
Scarsa diffusione di piante grandi.

Come si può notare il pericolo e la minaccia per gli alberi e in partcolare per i grandi alberi è sempre in agguato.

Per dettagli sui piani di gestione dei siti della rete natura 2000 in Molise a questo link

http://www3.regione.molise.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/13191

La foresta demaniale di Monte Capraro (seconda parte)

Riprendiamo gli argomenti sulle foreste demaniali.

Il limite dell'area  Sic
Area Sic di Monte Capraro

Dalla Stazione ferroviaria di San Pietro Avellana (IS) direzione Osservatorio astronomico e comune di Capracotta, si attraversa un bosco e si vedono alcune tabelle ad indicare la foresta demaniale di Monte Capraro. Un grande pannello, sopra una sbarra in metallo, indica un sentiero pedonale con indicazione del tempo di un’ora necessario per raggiungere il rifugio sul pianoro.

Rifugio di Monte CapraroMonte Capraro non si conosce solo per gli impianti di risalita per lo sci invernale, ma il versante sud ed ovest è coperto da quasi 200 ettari di bosco con quote comprese tra i 1000 e i 1730 mslm. Monte Capraro fa parte dell’area SIC (Sito di importanza Comunitaria) denominata Monte di Mezzo–Monte Miglio–Pennataro-Monte Capraro e Monte Cavallerizzo, della rete Natura 2000. Siamo nel bacino idrografico del Sangro o meglio del Vandra.

In questo bosco si incontrano molti torrenti, fossi, valloni. Qui l’acqua è “padrona” ed ha determinato il modellamento del suolo. Dalla carta geologia e litologica l’area di Monte Capraro presenta:
– Formazione di calcari marnosi avana chiari, di calcilutiti e di marne pulverulente alternate, nella parte più alta e risalente al miocene medio.
– Orizzonte calcareo discontinuo costituito da calciruditi con clasti subarrotondati e da calcareniti nella parte media ad Ovest
– Formazione a calcari grigio-chiari debolmente marnosi tipo “scaglia cinerea” con sottili liste e noduli di selce varicolore prevalentemente rossa, riscontrabile in particolare per il versante occidentale di Monte Capraro fino ad una quota di 1300 mslm risalente all’Eocene, dove ci sono frane ed ed erosioni. Infatti e’ visibile una lunga fascia franosa che ogni tanto fa i “capricci” raggiungendo la strada sottostante.

In arancione  la pericolosità  elevata della frana (Fonte webgis Protezione civile del Molise)
In arancione la pericolosità elevata della frana (Fonte webgis Protezione civile del Molise)

Il clima è freddo umido, la temperatura media annua è di 8,2 gradi. Monte Capraro rientra quindi nella regione bioclimatica con temperatura media minima inferiore a 0 °C per 2 mesi. Forte incidenza dello stress da freddo da Ottobre a Maggio. Il problema per il bosco sono anche le nevicate tardive che possono danneggiare le piante di faggio e di cerro.

Orto Foto lato Ovest di Monte Capraro
Orto Foto lato Ovest di Monte Capraro

La vegetazione

Semplicemente in base alle fasce altitudinali la riserva di Monte Capraro presenta una fascia basale con un querceto misto mesofilo con dominanza di cerro e una fascia montana con faggeta pura e mista con conifere in particolare abete bianco.

Il Querceto misto mesofilo a prevalenza di Cerro

Riscontrabile nell’orizzonte submontano e rappresenta una tipologia di vegetazione con un elevato indice di biodiversità, con clima temperato fresco, suolo fertile e ben provvisto di acqua per tutto l’anno. Nell’Appennino i querceti misti mesofili sono fondamentalmente caratterizzati dalla presenza del Cerro (Quercus cerris) e secondariamente da altre latifoglie (Roverella, Carpino bianco e nero, Aceri, ecc…) alle quali si associa una vasta gamma di specie arbustive ed erbacee. Dal punto di vista ecologico il Cerro è una specie particolarmente versatile, in montagna riesce ad arrivare a 1200 mslm ed eccezionalmente, in condizioni climatiche favorevoli, fino ai 1500 m di altitudine (Pirone, 1995); insinuandosi nelle faggete dove costituisce cenosi riconducibili all’ordine Fagetalia sylvaticae. Fisionomicamente la formazione vegetazionale risulta costituita da una fustaia monoplana di Cerro (Quercus cerris L.) e subordinatamente Faggio (Fagus sylvatica L.), Carpino bianco (Carpinus betulus L.), Carpino nero (Ostrya carpinifolia Scop.), Acero campestre (Acer campestre L.), Acero napoletano (Acer opalus Miller var. neapolitanum Ten.), Acero di monte (Acer pseudoplatanus L.), Perastro (Pyrus pyraster).

A chi é interessato di statistiche si ricorda che Monte Capraro é la quarta vetta più Alta del Molise con i suoi 1730 mslm (Wikipedia e molti altri siti indicano 1787 mslm). Noi abbiamo fatto riferimento alle tavolette IGM in scala 1.25.000. In vicinanza vi nasce il fiume Trigno.

Isernia – La Romana una analisi dei valori ambientali e vegetazionali (prima parte)

Molti anni fa noi dell’Associazione Ophrys effettuammo uno studio dal Titolo “Ipotesi di un diverso utilizzo di un’area del Torrente Vandra”. L’area interessata allo studio di circa 300 ettari era la zona della Romana – Feudo. Quest’area, ricadente in gran parte nel territorio del Comune di Isernia, ha sempre avuto una valenza naturalistica, paesaggistica, storica e archeologica anche per le testimonianze delle popolazioni italiche che l’hanno abitata.

La Romana si trova nel settore Nord occidentale del Comune di Isernia distante a circa 7 km dal centro abitato. Tale area si presenta come uno spartiacque caratterizzato nel versante NO dalla valle fluviale del Torrente Vandra, dal tipico profilo a V e dai versanti ripidi e scoscesi, mentre il versante SE si delinea con pendenze meno accentuate ad un paesaggio che si apre nella piana di Isernia. In ordine di successione da Nord, si individuano dapprima l’emergenza rocciosa del Macerone (787 mslm), quindi morbidi profili di Colle Martino (810 mslm) e per ultimo la possente rupe, ammantata di vegetazione, de La Romana (882 mslm) ove si riscontrano le acclività maggiori.

Nel territorio del Comune di Isernia la zona della Romana presenta ancora aspetti che dal punto di vista vegetazionale sono di interessanti per la presenza di numerose specie. Si passa in un limitato spazio in diverse fasce vegetazionali dai 300 mslm del Torrente Vandra agli 880 mslm di Monte La Romana. (anche se dalla cartografia non è indicato il Monte). Ciò permette, per chi si occupa di botanica, di scoprire, classificare oltre che fotografare molti fiori, arbusti e alberi in una superficie limitata di circa 80 ettari, che si riducono se si considerano le zone inaccessibili per le forti acclività. Attualmente La Romana fa parte del sito di importanza comunitaria con codice IT7212130 denominato Bosco La Difesa – Colle Lucina – La Romana.

 

 

Isernia - Cartografia della zona della Romana
Isernia – Cartografia della zona della Romana

 

i confini dell'area SIC della Romana
I confini dell’area SIC della Romana

La vicinanza delle curve di livello nella cartografia indica le forti pendenze dell’area

Isernia Area SIC la Romana
Isernia Area SIC la Romana

 

L’Area MAB di Collemeluccio (quarta parte)

Riserva MAB Montedimezzo e Collemeluccio
Logo Riserva MAB Montedimezzo e Collemeluccio

Un po’ tormentata la stora della foresta di Collemeluccio in quest’ultimo secolo. Divisioni tra proprietari, metodi e tecniche selvicolturali diverse secondo le necessità del periodo e ovviamente differenti risultati. Il bosco fino alla ricomposizione avvenuta alla fine degli anni ’60, è stato trattato come un ceduo per alcune aree e a fustaia in altre. Poi in alcune zone si è favorita la proliferazione del cerro, mentre in altre quella dell’abete bianco. Attualmente gli interventi selvicolturali sono stati limitati al minimo indispensabile ed utilizzando metodologie di selvicoltura “naturalistica” orientati a favorire il ritorno della foresta ad una condizione di “naturalità” e di equilibrio con le condizioni locali. Equilibrio che non si raggiunge rapidamente, per un bosco cerro-abete.

Logo Riserva MAB Alto Molise
Logo Riserva MAB Alto Molise

Gli interventi di taglio nella riserva sono ormai quasi totalmente cessati, anche se si ritiene che degli sfoltimenti per alcune piante siano necessari. Sono stati, invece, recentemente ripresi gli interventi finalizzati a prevenire gli incendi nell’area protetta che si collocano nel più ampio contesto delle iniziative volte a proteggere e a preservare questo pregevole ambiente naturale. Infatti esiste un piano prevenzione agli incendi boschivi come stabilito dalla legge. Esso consiste nella ripulitura di fasce tagliafuoco lungo la viabilità pubblica e lungo la strada di servizio e i sentieri principali che corrono internamente alla foresta e lungo i suoi margini, il tutto annualmente percorso da numerosi visitatori. Nelle zone più “sensibili” si provvede altresì alla rimozione della legna “morta” in eccesso frequentemente rappresentata da soggetti ultra maturi di abete che, a causa di intemperie e di altre di natura biologica (es. attacchi fungini da Fomes), subiscono schianti e sradicamenti.

Ringraziamenti:

Si ringrazia il sito Agraria.org che ha ripreso una nostra foto e che ci ha citati.

Inoltre si segnala il sito Riserve MAB Alto Molise

Pescolanciano L’abetina di Collemeluccio  (prima parte)
Pescolanciano – La Riserva di Collemeluccio (seconda parte)
Il Piano di Gestione della Riserva di Collemeluccio (terza parte)

Pescolanciano Prati di Collemeluccio

Il Piano di Gestione della Riserva di Collemeluccio (Terza parte)

Parliamo brevemente del Piano di Gestione della Riserva di Collemeluccio a Pescolanciano.

Il Piano proponeva delle prescrizioni di intervento selvicolturale per la conversione ad alto fusto del ceduo di cerro costituitosi all’interno dell’abetaia in seguito alle intense utilizzazioni e antropizzazioni che il bosco aveva subito nell’arco delle due guerre mondiali.
L’esecuzione di un primo intervento preparatorio di avviamento ad alto fusto era previsto adottando la tecnica consigliata da Ezio Magini (1917-2000) negli anni 70 che può essere riassunta in quattro punti essenziali:
1. Eliminazione preliminare di tutto il piano sottoposto (ripulitura) togliendo tutte le piante ed i polloni alti meno di 3-3,5 metri. Tale prescrizione fu modificata dalle modalità di intervento previste dal Piano di Gestione Naturalistica, che limitava radicalmente l’intervento nel sottopiano arboreo, come salvaguardia della biodiversità all’interno del bosco.
2. Diradamento energico del piano dominante lasciando il migliore pollone per ceppaia (raramente due, ma non più).
3. La densità dei polloni da conservare nel piano dominante è stata regolata in funzione della loro altezza: per un’altezza media di 10-12 m i polloni da lasciare vanno da 1300 a 1600 per ettaro; per un’altezza media di 10-12 m pari a 8-9 m il numero dei polloni varia fra 2300 e 2600 per ettaro.
4. I polloni dominati (in sovrannumero) devono essere tolti dalle ceppaie nelle quali vengono riservati 1 o 2 polloni dominanti; sono invece rilasciati sulle ceppaie dominate, purché di altezza superiore a 3-3,5 m.

I criteri d’intervento proposti per la conversione ad alto fusto, vennero sconvolti da una “disposizione data sottotraccia” al Piano, che poneva un limite diametrico al taglio di conversione. Tale limite vietando l’utilizzazione dei polloni che presentavano un diametro superiore agli 8 cm, trasformò il processo di conversione in un modesto taglio di ripulitura, che ebbe l’effetto di eliminare solo le piante situate nel piano dominato e soprattutto di non intervenire sui piani dominati e intermedi. Per tale motivo venne l’esigenza di istituire delle aree sperimentali di limitata superficie dove avviare sperimentalmente il protocollo sperimentale proposto da Magini.

Nel 1993 il processo di conversione fu avviato da un primo taglio conversione ad alto fusto con lo scopo di favorire la rinnovazione naturale dell’abete bianco e di altre specie decidue che partecipavano alla mescolanza con la conifera e ripristinare le condizioni strutturali e compositive necessarie all’abete bianco per insediarsi e colonizzare aree boschive precedentemente abbandonate.

EZIO MAGINI:  Massimo studioso di selvicoltura italiana su basi naturali, intesa nel senso più ampio e profondo del termine. Tra i numerosi studi e ricerche ha scritto: Esiste sull’Appennino una varietà di abete bianco? (1973).

Pescolanciano L’abetina di Collemeluccio  (prima parte)

Pescolanciano – La Riserva di Collemeluccio (seconda parte)

L’Area MAB di Collemeluccio (quarta parte)

Mappa di Collemeluccio
Mappa di Collemeluccio

Pescopennataro – Sant’Angelo del Pesco: Il Bosco degli Abeti soprani (prima parte)

Comuni interessati: Pescopennataro e Sant’Angelo del Pesco;
Sito di importanza comunitaria: codice IT7218215 “Abeti Soprani Monte Campo Monte Castelbarone Sorgente del Verde”;
Superficie complessiva del Sito: Ha 3033;
Superfice abetina stato puro ragguagliata indicativa: Ha 1000;
Altitudine media: 1250-1300 mslm.

Cartina Bosco Abeti Soprani
Cartina Bosco Abeti Soprani

Andiamo un pò in giro nel bosco degli Abeti Soprani di Pescopennataro a cercare grandi alberi sicuramente di abete. Non è semplice, sono molto alti e ci si perde spesso, in quanto tutto sembra uguale, ma lo scenario nel bosco è sempre da favola, è un po’ particolare e un po’ diverso dal solito. L’area degli Abeti soprani è compresa nei comuni di Pescopennataro e Sant’Angelo del Pesco; rientra all’interno del Sito di Importanza Comunitaria (SIC codice IT7218215) denominato “Abeti Soprani – Monte Campo – Monte Castelbarone – Sorgente del Verde”. Il sito presenta una superficie complessiva di 3033 ettari e la superficie dell’abetina allo stato puro è di circa 1000 ettari. L’altitudine media dell’area si aggira tra i 1250 ed i 1300 metri di quota.

L’Abete bianco nell’Appennino centro meridionale rappresenta una situazione ecologica abbastanza rara e di interesse particolare per lo studio della biodiversità. Non è facile trovare spesso abetine che riescono a vivere in condizioni edafiche e climatiche sui orizzonti fitoclimatici submontani anche perchè nei secoli passati c’è stata una forte riduzione di questa specie. L’Abete bianco si trova generalmente misto al faggio ed in alcuni casi anche al cerro come nel bosco della riserva di Collemeluccio.

L’abete bianco è una specie particolare un po’ delicata, è diffusa in diversi areali del centro-sud dell’Appennino. Nel centro Italia si trova, oltre che in Toscana (Abetone Bosco di Vallombrosa), in gruppi isolati sui Monti delle Laga nell’Appenino Teramano e del Gran Sasso. Si rinviene anche in Calabria in Sila, Aspromonte e Pollino. Vale ricordare che in Sicilia è presente ormai in forma di pochi esemplari con l’Abies nebrodensis. E’ proprio nell’Altissimo Molise e a confine con l’Abruzzo (Abetina di Rosello) e nel bacino del Trigno che l’abete bianco, se pur in alcuni casi consociato, trova ancora una sua certa diffusione anche se non si tratta di specie esclusivamente endemica. Non a caso già nel 1971 per il Bosco “Abeti Soprani” la Società Botanica Italiana aveva posto l’interesse nel censimento dei Biotopi di rilevante interesse vegetazionale.

Bosco Abeti soprani
Cartina del Bosco degli Abeti soprani

Il bosco degli Abeti soprani è anche un bosco da seme utilizzato per la riproduzione delle piantine nei semenzali. L’intera area SIC (Sito di importanza comunitaria) non è costituita solo da boschi ma per circa il 25% del sito prevalgono le praterie, i cespuglieti, gli arbusteti dove predomina la rosa, il prugnolo, il biancospino, i rovi, il perastro, i ligustri, l’acero campestre, il caprifoglio. Le praterie sono in zone pianeggianti a quote tra i 1050 i 1500 mt. Sono praterie xerofitiche della zona temperata caratterizzate da Bromus erectusPoa bulbosa, e Festuca.

In località delle sorgenti Rio Verde (vicino l’area attrezzata) sono presenti zone umide con le tipiche canne palustri Phragmites communis e Magnocariceti. La classe Phragmiti-Magnocaricetea occupa una posizione intermedia e di raccordo tra i prati umidi e i boschi igrofili (Querco-Fagetea). L'”effetto mosaico” molto elevato in questi tipi di vegetazione che reagiscono molto sensibilmente alle micromorfologie, rende difficile l’inquadramento delle cenosi. Nel Bosco degli abeti Soprani l’attività antropica ha favorito la diffusione dell’abete a scapito del faggio, le abetine quindi hanno costituito una formazione stabile. Sicuramente mantenere l’abete più a lungo possibile non è semplice, particolari problematiche per la sua rinnovazione ci sono, ne parleremo nelle prossime parti dove faremo anche un po’ di storia dell’abetaia.

Alcune foto del Bosco degli Abeti Soprani, uno spettacolo da visitare senza perdersi.

 

Il Torrente Verrino

Il Torrente Verrino  MappaComuni interessati: Capracotta, Agnone, Castelverrino, Pietrabbondante, Civitanova.
Superficie bacino: Ha 700. Lunghezza: km 24;
Quota sorgente: mt 1250 slm;
Quota foce sul fiume Trigno: mt 450 slm ;
Percorso: da NO a SE ;
Competenza e controlli: Autorità di Bacino interregionale dei fiumi Trigno, Biferno.

Il Torrente Verrino nasce al di sotto dell’abitato di Capracotta, in località Ara Petrecca. Afflluiscono al torrente molti valloni come il Malcarpo, il Vallone dell’Arco, il Vallone Zilluso, il Vallone del Cerro, il Torrente Gamberale, il Vallone di Poggio. E’ alimentato anche da numerose sorgenti (Malcarpo, la Spogna ecc..). Il primo tratto è tra i più suggestivi e interessanti dal punto di vista vegetazionale, faunistico e paesaggistico. Le cascate e le cascatelle, alcune inaccessibili, si susseguono in pochi km con salti d’acqua e con un dislivello complessivo di circa 300 mt. Le forme e le pareti rocciose su cui cresce una vegetazione spontanea sono altri aspetti del paesaggio. Le specie vegetazionali sono numerose e molto variegate, alcune sono tipiche della macchia mediterranea nonostante l’altitudine. Superato il lungo ponte di Agnone, il fiume perde il suo carattere torrentizio per poi confluire in località Sprondasino nel fiume Trigno. In questa ultima parte del percorso le sponde sono cementificate, il fiume è stato canalizzato e l’intervento dell’uomo ne ha alterato il percorso.

Ambiente fitoclimatico (Flora e vegetazione):
Lungo il suo breve tragitto si attraversano le principali zone fitoclimatiche: Fagetum Castanetum e infine il Lauretum (Pavari).

Fagetum: Le precipitazioni medie annue superano abbondantemente i 1100 mm. La temperatura media annua è spesso al di sotto dei 10°. L’elemento dominante della vegetazione è il faggio (Fagus sylvatica). Essa si estende dal limite superiore del Castanetum fino ai maggiori rilievi e trova il suo optimum sopra i 1000 mtslm.

Castanetum: Le precipitazioni, prevalentemente autunnali, sono intorno ai 1000 mm medi annui. La temperatura media annua supera gli 11°. Tale fascia fitoclimatica è compresa tra i 500 e 850 m s.l.m. Nella zona del Castanetum prevale il Cerro allo stato puro (Quercus cerris) o misto a roverella (Quercus pubescens), Orniello (Fraxinus ornus), Acero (Acer), Carpinella (Carpinus orientalis) e Carpino (Ostrya carpinifolia), ed altre essenze forestali.

Lauretum: La media del piogge annuali non supera i 700-800 mm. Le precipitazioni avvengono prevalentemente nel periodo invernale e risultano scarse nel periodo estivo, determinando periodi di siccità. La temperatura media annua è sui 14°. La vegetazione è tipica dell’orizzonte mediteraneo con prevalenza di leccio (Quercus illex) misto a roverella (Quercus pubescens).

Le specie più importanti lungo il torrente e in vicinanza sono: Alnus Glutinosa (Ontano nero), Salix Alba (Salice bianco), Salix caprea (Salicone), Salix triandra (Salice da ceste), Salix babylonica (Salice piangente), Populus nigra (Pioppo nero), Populus tremulus (Pioppo Tremolo), Carpinus Orientalis (Carpinella), Ostrya Carpynifolia(carpino nero), Quercus Cerris L. (Cerro), Quercus pubescens (Roverella), Crataegus monogyma (Biancospino), Prunus Avium (Ciliegio selvatico), Corylus avellana (nocciolo), Spartium Junceum (Ginestra), Laburnum Anagryodes (Maggioiondolo), Robinia pseudoacacia (Robinia), Pyrus (Pero selovatico), Acer campestre (Acero campstre), Fraxinus Ornus (Orniello) e numerose altre specie arbustive, felci, fiori, agrifoglio, canna palustre, licheni muschi e orchidee spontanee.

Fauna e entomofauna:
Mustelidi (faina, tasso) Lepri, volpi cinghiali, martora. Probabile presenza del lupo dato l’habitat della zona. Tra gli insetti coleotteri ditiscidi, libellule effimere, girinidi, lepidotteri.

Ittiofauna:
Pesci tipici dei fiumi torrentizi: Salmonidi (Trota fario) Anguillidae, Barbus (Barbo comune)

Luoghi più belli e caratteristici in vicinanza del torrente oggetto d’escursione:
Cascata del Pisciarello. Cascatelle varie. Vecchi mulini e opifici ormai abbandonati. Antica centralina di produzione di Energia elettrica in località S Casciano. Ex Ramiera di Agnone; Alcune masserie. Ponti in legno ricoperto da tralci di vite.

Zona soggetta a protezione speciale (Natura 2000) presso il Ministero dell’Ambiente designata ai sensi della direttiva 79/409/CEE e dei siti di importanza comunitaria proposti ai sensi della direttiva 92/43/CEE. Numero di codice IT7222127F. Trigno (Confluenza Verrino – Castelfelce).

Interventi possibili:
Creazione di una riserva naturale. Studio della fauna e della vegetazione fluviale. Sentieristica, attività turistica. Recupero mulini e vecchi fabbricati.

Itinerario:
Alla cascata del Pisciarello si arriva seguendo un sentiero a destra e in vicinanza del Torrente Verrino. Attraversato un piccolo ponte in legno ricoperto da tralci di vite si sale fino ad un fabbricato rurale. Percorrendo la strada interpoderale asfaltata “Guastra” che costeggia l’antico acquedotto si arriva alla vecchia centrale idroelettrica. Si tratta di un grosso edificio molto caratteristico in pietra tutte ben squadrate tipico degli anni 20-30 ormai.  Sul lato destro dell’edificio uno strapiombo spettacolare sul torrente Verrino. Qui il torrente fa dei salti su delle briglie e attraversa le sponde cementificate. Caratteristico del passaggio è un ponticello ad arco in legno. Siamo arrivati alla vecchia ex ramiera di Agnone. Sono un complesso particolare di fabbricati. Gli edifici sono stati ristrutturati (almeno i tetti). L’area circostante presenta della panchine, dei tavoli per un pic-nic…