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Studi sull’ambiente, boschi, aree montane,…

Pescocostanzo il grande faggio del Bosco di Sant’Antonio in autunno

Per chi va in giro nei boschi e alla ricerca di grandi alberi in Abruzzo e Molise deve almeno una volta andare a fotografare i maestosi esemplari di faggi, aceri e perastri del bosco di Sant’Antonio nel comune di Pescocostanzo. Siamo nelle vicinanze della  “Majella” la montagna madre,  tra Monte Rotella e Monte Pizzalto.  Abbiamo acquistato una pubblicazione del Parco, dal titolo:” Alberi e boschi di interesse monumentale del Parco Nazionale della Majella”,  anno 2016 ed è stata la nostra guida. Nel volume sono raccolti censiti e fotografati gli alberi e anche i boschi “vetusti” del Parco Nazionale della Majella. Sono analizzati  gli aspetti naturalistici ed ecologici degli amici alberi. Nella cartografia allegata al volume ben 8 grandi alberi di interesse monumentale su circa 50 censiti nel Parco si trovano nel territorio del Comune di Pescocostanzo e precisamente nel  Bosco di Sant’Antonio. Altri grandi esemplari sono stati catalogati  in altri comuni del Parco nazionale della Majella come un acero montano a Palena, un frassino a San Valentino e alberi che vanno dalle roverelle, all’alloro, all’albero di giuda, ad una cerro sughera a dei perastri, ai cerri, ai  salici, ad un megaleppo, fino al viale dei Gelsi bianchi di Sulmona. I comuni con il maggior numero di grandi alberi individuati sono a Lama dei Peligni,  Palombaro,  Caramico Terme, Sant’Eufemia a Majella, Civitella M.R, Pizzoferrato , diciamo che sono stati catalogati uno o più alberi di interesse monumentale rappresentativi per tutti i comuni del Parco nazionale. Il bosco di Sant’Antonio è un po’ il bosco delle “meraviglie” per i suoi grandi alberi, non potevamo che andare subito a trovare  il “faggione” per eccellenza con i suoi forse quasi 250-300 anni. Questo grande esemplare può sostituire l’ormai scomparso Faggio a candelabro descritto in questi ultimi 40-50 anni in riviste, articoli e libri,  forse l’albero che è stato più fotografato in Abruzzo. Siamo in autunno, ma qualsiasi stagione  è ideale per fare  una breve camminata lungo i sentieri e meditare tra questi colossi della natura.  Il grande faggio del Bosco di Pescocostanzo ha una circonferenza del tronco di 540 cm circa altezza 15 metri, portamento e forma davvero particolari, alto valore ecologico e con numerose branche e ramificazioni  disposte in modo regolare. Tronco caratteristico e inconfondibile, unico.

Il Grande faggio del Bosco di Sant’Antonio
Il grande faggio del Bosco di sant’Antonio a Pescocostanzo

 

 

Rocchetta a Volturno Frazione Castelnuovo La “Cerqua” della Chiesa, da gli alberi di Valido

Riprendiamo un  post di Valido Capodarca sul nostro gruppo facebook di ottobre 2016 aggiungendo solo qualche foto.

Sono trascorsi tre anni dal mio ultimo (e unico) viaggio fra i grandi alberi del Molise. Il mio pensiero corre a una grande quercia conosciuta quel giorno, grazie alla gentilezza dell’amica Anna Scocchera. Questa pagina, oltre a far conoscere l’albero ai tanti che allora ancora non mi conoscevano, vuol esprimere anche una certa dose di apprensione per le sue sorti. La misura della circonferenza rilevata quel giorno era stata di m. 6,14 di poco inferiore alla sua non lontana sorella di Rocchetta (m. 6,50)  Come ci raccontava la settantasettenne signora Rosa che incontrammo casualmente sul posto e che conosceva la quercia dalla sua infanzia, il nome di “Cerqua de la chiesa” è dovuto sia alla vicinanza alla vicina chiesa dedicata a Santa Lucia, sia al fatto di appartenere alla curia. Alla curia appartenevano anche tutti i terreni situati sia a monte che a valle della quercia. Molti decenni fa – raccontava la signora Rosa – lì dove ora ci sono solo boschi, ognuno aveva il suo pezzetto di terra, coltivato a orto. In particolare vi si coltivava una varietà di fagiolo dalle caratteristiche eccezionali, tanto che veniva effettuata una fiera annuale ad esso dedicata. La quercia, a quei tempi, era in eccellenti condizioni di salute, e i gestori dei vari orti profittavano della sua elevata produzione di ghiande per nutrire i loro maiali.
Tre anni fa, come detto, la grande quercia versava in precarie condizioni: molti rami – molti di più della sua consorella di Rocchetta – erano stati stroncati dalle nevicate, altri, anche di belle dimensioni, già morti, restavano ancora aggrappati alla pianta. Un accurato intervento di risanamento avrebbe potuto prolungarne la vita di alcuni anni. Già, “avrebbe”. E’ stato fatto niente per aiutare la grande quercia? Oppure ha continuato ad essere abbandonata al suo destino? E come sta ora? Confido sulla gentilezza degli amici molisani per conoscere le ultime sulla “Cerqua de la chiesa” di Castelnuovo a Volturno.

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Quercia di Santa Lucia anno 2013

Ecco alcune foto aggiornate al giugno  2015 della  Quercia di Santa Lucia della Frazione  Castelnuovo di Rocchetta a Volturno

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Quercia di Santa Lucia anno 2015
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Quercia di Santa Lucia anno 2015
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Quercia di Santa Lucia a Castelnuovo Frazione di Rocchetta a Volturno

Il Bosco di Feudozzo, un po’ di storia (prima parte)

Più che un bosco, ci piace chiamarla Foresta di Feudozzo, anche perchè fa parte di un ampio complesso boschivo a confine tra l’Abruzzo e il Molise in vicinanza della riserva MAB di Monte di Mezzo. Siamo nellaCartina del Bosco di Feudozzo parte più ad est del  Comune di Castel di Sangro  a confine con i comuni di San Pietro Avellana  Vastogirardi e Rionero Sannitico, in Molise. La Foresta prima era di proprietà dei Borboni e divenne demanio dello Stato nel 1892. Passò, nel 1915, nella Gestione dell’Azienda di Stato delle Foreste demaniali. Dai documenti di archivio dei primi del 900 e dal piano di assestamento del 1948 valevole per il qundicennio 1949-1963 emergono alcuni dati interessanti. Il bosco di Feudozzo fu particolarmente sfruttato in passato per produrre legna. Dei 505 Ettari del 1915, c’erano solo circa 170 ettari di cerreta di  il resto erano pascoli cespugli incolti coltivi e prati. Durante la seconda guerra mondiale il Comune di San Pietro Avellana fu completamemnte distrutto,  la popolazione trovò rifugio proprio in questa foresta. Ci furono quindi eccessivi tagli boschivi per creare zone a pascolo e alle coltivazioni. Siamo in un periodo in cui “la fame” la “disoccupazione” la presenza di manodopera a basso costo portarono allo sfruttamento irrazionale del bosco. Bisognava pur mangiare. Con il piano di assestamento del 1948 furono prescritti degli interventi di ricostituzione boschiva. Nel 1978 l’intero comprensorio di Feudozzo si divise tra Stato, Regione Abruzzo e l’ex Istiuto Sperimentale per la Selvicoltura di Arezzo.  La superficie boscata della Foresta di Feudozzo era in quel periodo di circa 500 ettari così distinti:

–  200 ettari di cerreta quasi pura in fustaia transitoria che occupava la parte  a destra del Fiume Vandra che fu avviata ad alto fusto nel 1960-1963  di età di circa 36 anni dove furono rilasciate le matricine di due classi di età di 50-55 anni e di 65-70 anni. Il sottobosco della cerreta era ricco di specie erbacee, arbustive con specie quali Pungitopo, Biancospino, Sanguinella, Rovo, Prugnolo, Pero comune, Ligustro , Berretta del prete, Edera, Vitalba, Euforbia Brachipodio, Maggiociondolo, Euforbia, Sesleria.

– 150 ettari di faggeta mista che si estende nelle alte quote di Monte Pagano

-12 ettari di rimboschimenti utilizzati a scopo sperimentale.

Cartografia del complesso di Feudozzo
Cartografia del complesso di Feudozzo

 

La rinnovazione delle fustaie di Cerro in Molise (seconda parte) quale trattamento?

Nelle fustaie di cerro del Molise spesso si verifica che la pianta non si rinnova facilmente.

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Non siamo ricercatori o professori universitari per dire questo, ma delle volte accade. Il cerro è una pianta  eliofila, (o fotofile (da ϕῶς “luce”) cioè  vive e si sviluppa con la luce diretta del sole in opposizione a quelle che invece amano svilupparsi nell’ombra e che si chiamano  piante sciafile. La ricerca sulle cause della mancata rinnovazione del Cerro, non è facile. Possiamo solo dire che sicuramente l’uomo con un taglio del bosco non ottimale e con la presenza di specie presenti sciafile quali sono il carpino bianco, l’acero campestre, il nocciolo, la sanguinella, il biancospino, che hanno una ripresa vegetativa anticipata rispetto al cerro riescono a dominare, per cui  i “poveri” semi di cerro, che iniziano a germinare, entrando in vegetazione in ombra non crescono facilmente. Il problema della rinnovazione di cerro era stato già  affrontato  da Patrone nel negli anni 40-50 del secolo scorso e in alcuni piani di assestamento forestale adottando nelle fustaie tagli di sementazione piuttosto intensi e suggerendo nel fare recinzioni contro il danno ai semenzali da parte deigli animali al pascolo.  Come indicato dalla Studio del Dr  Paolo Cantiani del 2010:  “Le fustaie di cerro del Molise. Analisi del trattamento del passato per le attuali scelte selvicolturali” pubblicato anche sul nostro sito a cui si rimanda  si legge testualmente :  Ai recenti contributi sull’analisi delle esigenze eco-fisiologiche per la rinnovazione del cerro, non si è affiancata la sperimentazione sulle modalità del trattamento selvicolturale per favorire il processo di rinnovazione naturale delle fustaie di cerro. In pratica, gli auspici di una sperimentazione sul trattamento delle fustaie di cerro, specificatamente per la sua rinnovazione naturale, espressi già da De Philippis in una monografia sulla specie in Italia (1941), non sono stati ancora recepiti. In molti casi ciò ha concorso a determinare il fallimento degli interventi per la rinnovazione delle cerrete in Molise nel corso degli ultimi decenni. Vista la carenza di sperimentazione sulla selvicoltura delle fustaie di cerro, diventa di particolare importanza l’analisi delle scelte del trattamento delle cerrete operate dall’assestamento forestale nel corso del secolo scorso.

Si Conclude nello studio, a cui occorre dare secondo noi attuazione visto ancora l’importanza economica delle fustaie :  “Le fustaie di cerro del Molise rappresentano un valido e utile laboratorio per la sperimentazione sul trattamento della specie in Appennino. La persistenza nel territorio regionale della funzione produttiva di questa formazione, pur con variazioni nella tipologia di assortimenti prodotti per le diverse richieste del mercato nel tempo, ha fatto sì che le cerrete molisane siano state, e siano tuttora attivamente gestite. L’analisi critica della gestione del passato dimostra la validità tecnica e la sostenibilità del trattamento a tagli successivi delle cerrete quando correttamente applicato. Elementi critici nella gestione delle cerrete si sono evidenziati in seguito al loro sfruttamento eccessivo e irrazionale. I trattamenti assimilabili al taglio a scelta rappresentavano in realtà una selvicoltura non regolata, basata esclusivamente sullo sfruttamento massimo della risorsa senza alcuna considerazione colturale riguardo all’effetto nel lungo periodo. Evidenze di insuccesso della rinnovazione naturale si sono palesate laddove il carico del pascolo domestico superava la sostenibilità del bosco, nei casi in cui il trattamento si limitava al prelievo indiscriminato e non regolato del prodotto e in seguito a tagli di rinnovazione troppo poco incisivi. La funzione della pianificazione forestale è stata per le cerrete del Molise determinante per la codifica di un trattamento efficace e per la continuità nel tempo delle scelte selvicolturali. Si ritiene che la tecnica di rinnovazione del trattamento a tagli successivi possa essere ancora oggi lo strumento migliore per garantire la perpetuità delle cerrete, e rappresenti quindi l’elemento gestionale più efficace per la stabilità delle stesse formazioni.

Opportune migliorie al trattamento potrebbero essere focalizzate alle cure colturali:(i) diversificazione dei criteri di diradamento allo scopo di aumentare il grado di diversità specifica delle cerrete, laddove possibile; (ii) evitare il prelievo dei migliori fenotipi a scopo commerciale in fase di diradamento a vantaggio di una selezione dei migliori portaseme per la fase di rinnovazione; (iii) contenere la vigoria del piano dominato a prevalenza di carpino tramite accorgimenti colturali da effettuarsi in concomitanza col diradamento. Accortezze sul taglio di rinnovazione possono riguardare il contenimento delle dimensioni delle tagliate e la pianificazione più articolata delle utilizzazioni in modo da accrescere il più possibile la diversità delle strutture nello spazio. Attualmente nei boschi del Molise il carico della fauna selvatica è contenuto entro limiti sostenibili, mentre il pascolo in bosco dei domestici è limitato a sporadici boschi privati. Queste condizioni permettono di poter operare le scelte selvicolturali senza il limite della squilibrata concorrenza da parte della fauna. Si ritiene utile implementare la ricerca sperimentale sul trattamento della rinnovazione delle cerrete

Fonte: Ann. CRA – Centro Ric. Selv. – Vol. 36, 2009 – 2010: 25 – 36 35 P. Cantiani, F. Ferretti, F. Pelleri, D. Sansone, G. Tagliente

Alberi monumentali: cominciamo a mettere almeno una targhetta ?

Riprendiamo un post su facebook  sul gruppo molisealberi  scritto da Valido Capodarca, in merito alle targhette in vicinanza degli alberi “monumentali”.

targhette— A questo punto si impone una riflessione e una amara conclusione: LA LEGGE SUGLI ALBERI MONUMENTALI E’ UNA AUTENTICA PRESA PER I FONDELLI. In questi viaggi che sto effettuando fra gli alberi monumentali delle Marche, non ne ho trovato uno, che è uno, verso il quale sia stato compiuto un solo gesto di tutela. Sembra quasi una legge costruita e promulgata per togliersi dai piedi, finalmente, quei rompiscatole degli ambientalisti che da 60 anni non la facevano finita. Ieri ne abbiamo avuto l’ultima prova: il glorioso platano di via Gagarin, che aveva riparato dai nazisti i combattenti partigiani, ora ripara dal sole le autovetture della DIBA (autentico vilipendio!).Una quercia già morta e crollata, uccisa dalla pipì delle mucche; grandi querce alle quali la dichiarazione di monumentalità non è bastato ad evitar loro che i trattori arassero fino a raschiare il tronco; grandi olmi con i rami schiantati da anni senza che il comune si degni di mandare un suo operaio a sgomberarli.
Ma poi, diciamolo sinceramente: quanti, ad esempio, in tutta Pesaro, sanno che questo olmo è monumentale e tutelato? Fino a ieri, solo i forestali che avevano effettuato i rilevamenti sei anni fa; da ieri lo sappiamo anche Daniele Cortucci e il sottoscritto, da oggi, si aggiungono coloro che avranno la bontà di leggere questo post. Possibile che trai tanti funzionari dell’ufficio ambiente della Regione, fra i dirigenti del Corpo Forestale, a nessuno sia passata in mente l’iniziativa più elementare, cioè quella di apporre vicino all’albero una targhetta metallica? Vi andrebbe scritto, ad esempio: Albero monumentale nr. , ai sensi della legge xy; a seguire il nome dell’albero, le sue misure, l’età e un breve elenco dei divieti: affissioni, incisioni, lavori di scasso e aratura per tutta l’area coperta dalla chioma, parcheggio di auto sopra l’apparato radicale, ecc.
Troppo complicato pensarci?

Filignano il Tiglio della piazza

Forse è uno dei pochi alberi in Molise dove  c’è la targhetta con su scritto che tipo di pianta è, con la sua storia. A Filignano c’è un tiglio in  piazza. La storia è molto interessante, può essere letta sulla targhetta posta alla base dell’albero. Si parte dall’anno 1752, una duchessa fece piantare questa pianta in un luogo sacro com’era consuetudine alla fine del 700. Il Tiglio assume, in questo caso, un  valore storico  e religioso, è un testimone del tempo,  la dimensione per la sua monumentalità non è importante. La pianta comunque non sta tanto bene, si vede meglio dalle foto il tronco con dei problemi di carie al legno. Del resto ha un’età forse tra i 250-270 anni, che non sono pochi.

Il Tiglio della piazza di Filignano
Il Tiglio della piazza di Filignano
la Targhetta alla base dell’albero

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Filignano la quercia ad arco alcune foto

In un precedenta articolo abbiamo scritto della grande quercia con un ramo a forma di arco di Filignano. La pianta si trova in Contrada Valle.  Siamo tornati a trovarla e fotografarla dopo quasi 10 anni.
http://www.molisealberi.com/filignano-la-grande-quercia-di-contrada-valle/
Rimane su una parte del tronco quel grande “rigonfiamento” e alcune branche in alto sono spezzate, ma altri rami stanno svettano in alto sostituendo quelli passati. Le due branche principali si cui quella che si sviluppa ad arco resiste ancora. La circonferenza è intorno ai 390 cm. Rimane l’originalità del grande ramo ad arco che riesce ad arrivare nella carreggiata opposta della strada al di sotto del quale passano le automobili. La pianta avrebbe bisogno di qualche intervento per eliminare alcune parti secche. Fino a quando qualche foglia verde si rende visibile, essa continuerà a lungo a manifestarsi nella sua particolare bellezza.

La Grande quercia di Contrada Valle a Filignano
La grande quercia di Contrada Valle a Filignano
La Grande quercia di Contrada Valle a Filignano
La grande quercia di Contrada Valle a Filignano

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Carovilli, il cerro con le foglie che non cadono quasi mai?

Un signore che abitava vicino questa “quercia” che potrebbe essere un ibrido tra un cerro e una sughera lo chiamava “l’albero di Natale”, forse aveva ragione. In vicinanza e in autunno mentre i cerri intorno perdono le foglie, questa pianta pare le mantiene, quasi sempre. Con Salvatore ed Antonio allora siamo stati a vedere più da vicino quest’albero che si trova in località Fonte Curelli Circonferenza 225 cm, tronco inizialmente unico, poi si biforca in due grosse branche.  Pianta ben slanciata molto alta con chioma regolare. Toccata la corteccia in effetti sembra sugherosa, ma di solito tutte le cortecce delle piante vecchie assumono una consistenza sugherosa. Parte cava della coteccia di colore rosa,  ma non è un parametro per definire facilmente la specie. Vediamo le foglie purtroppo rimaste poche a seguito della gelata tardiva di fine aprile 2016, comunque non sembrano quelle del cerro, non hanno alla base del picciolo 2-3 alette e nemmeno i lobi profondi quasi a toccare la nervatura centrale.

Caratteristiche foglie di quercia
Caratteristiche foglie di quercia

Potrebbe essere una roverella ma le foglie sono diverse e la “copula” del frutto invece ha i cirri, e forse un po’ più corti del cerro e poi in questo  ambiente le roverelle non si trovano facilmente . Allora potrebbe essere un ibrido tra un cerro e una sughera, chiamata Quercus crenata ? (da confermare).

cerrosughera

 

Un cerro sughera?
Il cerro sughera? di Carovilli  da google earth

 

L'albero senza foglie per la gelata tardiva di fine aprile 2016

 

 

 

 

L’Albero del Piccioni nelle Marche, una grande emozione

Siamo stati a Mozzano vicino Ascoli Piceno. Un passaggio veloce con l’auto sulla strada Salaria. Ho inserito per gioco, su maps di google “Albero del Piccioni”, e l’abbiamo trovato.

Lo conosciamo bene in  quanto chi ha letto il libro di Valido Capodarca “Alberi monumentali delle Marche; non può che rimanere senza fiato ed un po’ emozionato nella lunga descrizione e della storia di quest’albero. La riassumiamo brevemente, poi le fotografie fanno il resto.  Diciamo che un platano con un tronco di circonferenza di 8,70 metri non l’abbiamo mai visto. Alla base comunque la circonferenza è di 10,50 metri. Diciamo pure che  circa 25  metri di diametro della chioma sono un numero di tutto rispetto e l’età millenaria di questo Platano ci fa  capire come sia la pianta tra le più maestose originali e unica per questa specie. Un patriarca con la “P” maiuscola. Valido Capodarca afferma: “l’Albero del Piccioni è oggi, senza tema di smentite, la pianta più conosciuta dell’intera regione Marche e noi aggiungiamo di tutti i cercatori di alberi e non solo.  La denominazione “di Piccioni” deriva probabilmente dal fatto che l’albero si trovasse nel i terrreni di Piccione Parisani, nobile ascolano, e l’albero era citato nei documenti come albero di confine della via Salaria  tra il territorio di Mozzano e Ascoli Piceno. Secondo una tradizione popolare invece il nome sarebbe legato al celebre brigante Giovanni “Piccioni” . Gia intorno all’anno 1000 ci sono dei documenti che forse ne attestano la sua esistenza, ma ci sono dei dubbi, anche perchè un platano in media arriva fino a 300-450 anni. Ci viene in mente il platano dell’Ortobotanico di Roma.  Vedendo le foglie dell’albero a prima vista sembra un Platanus  Orientalis, ma ci sono alcuni dubbi, e potrebbe essere una antico ibrido sterile come afferma anche Valido Capodarca. Non potrebbe essere nemmeno un Platanus acerifolia o hybryda cioè  un incrocio di vivaio o spontaneo fra il platano orientale arrivato in Italia duemila anni fa e quello occidentale o sicomoro americano in quanto è arrivato in Italia importato solo all’ inizio seicento (Cit. Tiziano Fratus).  Un platanus orientalis con una circonferenza di 6,50 metri si trova all’ortobotanico di Roma  https://www.flickr.com/photos/molisealberi/5725541579 ed è datato  da 300 a 500 anni  con circonferenza di  220 cm  più piccolo di quello del Piccioni.  Ipoteticamente per un platano ci vogliono  300-500  anni per aumentare il diametro del tronco di 2 metri. Quindi potrebbe avere un millennio di età, ma forse abbiamo esagerato con questo numero a tre cifre, se pensiamo ad altri alberi millenari. Il tronco dell’albero ha tre aperture, tanto che mi sono divertito  ad entrare ed uscire più volte senza toccarlo. Una curiosità e un fatto forse unico che descrive Valido Capodarca nel suo libro. Nel 2004 un camion andò a finire contro l’albero, travolgendo anche il  cartello con la scritta sulle sue caratteristiche. L’autista si salvò grazie all’albero. Sotto c’è una a scarpata abbastanza alta che porta su una stradina e poi un  dirupo sul fiume Tronto. Consigliamo una visita a questo pianta cercando di non scrivere sul tronco dell’albero e di non lascaire i rifiuti visto che c’è una panchina e un cestello di raccolta.

per dettagli Alberi Monuemtali delle Marche di Valido Capodarca Edizioni Roberto Scocco anno 2008

La pineta di Petacciato

Siamo stati sulla costa molisana, nella pineta di Petacciato. Pineta realizzata dall’uomo negli anni 50. Ci troviamo nell’area SIC Foce del Trigno-Marina di Petacciato. Nella pineta costiera oltre agli alberi ci sono rifiuti di vario tipo. L’area della pineta è quasi un rettangolo,  ha una lunghezza di circa 2300 mt per una superficie di circa 65 ettari.

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L’habitat di interesse prioritario è classificato numero 2270  “Dune con foreste di Pinus pinea e/o Pinus pinaster”  anche se c’è nei margini della pineta una invasione dell’Acacia saligna con i suo caratteristici fiori

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Acacia saligna, infestante della pineta

L’acacia Saligna propagandosi per stoloni sotterranei è diventata molto invasiva, assieme all’Eucalipto. Sulla duna costiera abbiamo visto la  Salsola kali  e anche la Cakile maritima Scop. subsp. maritima e una bella fioritura di Silene colorata sulla spiaggia. Si vedono alcuni pini caduti  altri sono  inclinati e  secchi che potrebbero cadere  L’habitat prioritario è qui presente in ampi poligoni, situati secondo  fasce parallele alla linea di costa e piste  perpendicolari che permetono di raggiungere la spiaggia.  Altre specie presenti nella pineta  sono  Pistacia lentiscus L., Phillyrea latifolia ,  Rosmarinus officinalis, Rhamnus alaternus e i Cistus ssp.

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Ci siamo fermati soprattutto ad osservare qualche esemplare di Quercia; ne abbiamo viste alcune sempre nella parte più a Nord che a prima vista sembrerebbero farnie con foglie ristrette alla base, con un corto picciolo e con  due caratteristici piccoli lobi ineguali (orecchiette). Poi ci è venuto un dubbio.  Potrebbe  essere anche rovere che spesso si ibridizza proprio con la farnia per cui la classificaizione si rende difficile. Queste querce comunque acquistano un alto valore ecologico nella pineta per cui dovrebbero essere meglio mantenute e conservate.

Farnia? Rovere?
Farnia? Rovere?

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