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Boiano – Foto di alberi con il Grande Castagno di Località le Cupe

Per dettagli si rimanda all’articolo http://www.molisealberi.com/il-castagno-di-localita-le-cupe-e-per-santegidio-a-boiano/
Scapoli, la strana Roverella in località Sodalarga
Località: Scapoli C.da Sodalarga
Specie: Roverella
Circonferenza 4,60 (Fonte elenco alberi monumentali del Molise)
Età presumibile 300 anni
Intorno a Scapoli, in Contrada Sodalarga tra oliveti e qualche campo coltivato ho notato due querce vicine che dominavano su tutte. Pensavo alla solite piante alte, slanciate e con due belle chiome “verdi” e circonferenza del tronco sempre al di sotto dei 3,50-4,00 metri. Le chiome delle due querce, molto simili tra loro, sembravano una sola.
Ritornando a casa e rivedendo le fotografie dei due alberi simili su google-earth in versione primaverile ho scoperto che la quercia era con un unico tronco che presentava una biforcazione di una branca molto alta da creare una quasi doppia chioma. Mi ero sbagliato, ho pensato alle chiome ma non al tronco. Grande errore è stato pensare di vedere due alberi e due chiome da lontano, senza andare vicino al fusto.
Osservare una chioma a 50-70 mt di distanza non è come vederla sotto in vicinanza del tronco. Occorre sempre girare intorno ad un grande albero per vedere almeno se ha uno o più tronchi. Questa pianta fa parte dell’elenco dei grandi alberi monumentali del Molise indicata come località Crocevia con circonferenza di 4,60 mt. nel 2009. La fretta è sempre cattiva consigliera. Nella foto si riesce meglio a capire che l’albero ha un unico tronco e che non ci sono due chiome, anche se con un po’ d’immaginazione sembrano 2.

Le Foreste vetuste. Cerchiamo di capire cosa sono
Nel 2010 Il MInistro dell’Ambiente, la Società Botanica Italiana, il Centro di Ricerca Interuniversitario“Biodiversità, Fitosociologia ed Ecologia del Paesaggio” della Università della Sapienza di Roma grazie al gruppo ricerca foreste vetuste fece una pubblicazione dal titolo: “Foreste Vetuste in Italia”. Riprendiamo alcune parti di questa pubblicazione e ne facciamo una sintesi. Già non è chiara la definizione di “foresta” e di “bosco” in particolare dal punto di vista giuridico se poi aggiungiamo il termine “vetusto” esso può significare:
– comunità forestali che hanno raggiunto una fase di sviluppo caratterizzata da un’elevata eterogeneità strutturale.
– una foresta vetusta è un bosco primario o secondario che abbia raggiunto un’età nella quale specie e attributi strutturali normalmente associati con foreste primarie senescenti dello stesso tipo, si siano sufficientemente accumulati così da renderlo distinto come ecosistema rispetto a boschi più giovani (FAO anno 2001).
Troppo generale la definizione FAO, poi Americani, Asiatici, Australiani Europei e Italiani hanno dato diversi significati di foreste vetuste. Quella Italiana, che secondo noi è la più obiettiva e chiara è: “Foreste in cui il disturbo antropico sia assente o trascurabile, caratterizzate da: una dinamica naturale che determina la presenza, al loro interno, di tutte le fasi di rigenerazione, compresa quella senescente”. Tale fase è caratterizzata da individui di notevoli dimensioni ed età; presenza di legno morto (alberi morti in piedi, rami e alberi caduti a terra); una flora coerente con il contesto biogeografico caratterizzata dalla presenza di specie altamente specializzate che beneficiano del basso grado di disturbo e di specie legate ai microhabitat determinati dall’eterogeneità strutturale.” Bella definizione, un pò difficile da applicare nella pratica secondo noi.
Dire che una foresta è vetusta deve essere molto difficile. L’ecosistema bosco già di per se è molto complesso (alberi di diversà età, alberi di disturbo, competitività tra alberi, auto-diradamento, chiusura della volta arborea, accumulo di biomassa a terra, tipo di sottobosco ecc.. ) e le cause legate allo sviluppo e maturazione del bosco sono diverse e numerose (densita di copertura, umidiità del suolo, luce, tipo di terreno ecc.). Le specie morte di alcuni individui delle volte consentono una maggiore disponibilità luminosa al suolo e la riaffermazione di una più ricca comunità nel sottobosco. (Morte tua vita mia, anche tra gli alberi nei boschi). In Italia i boschi sono stati sottoposti a sfruttamento da secoli.
Solo in aree prottette e nei parchi nazionali secondo noi si ha quindi una maggiore probabilità di trovare e studiare le foreste vetuste. Infatti c’è la necessità di creare una rete nazionale delle Foreste Vetuste nelle aree protette in cui potersi concentrare per ulteriori indagini ai fini della definizione di linee guida, diversificate per tipologie vegetazionali, per la gestione sostenibile delle foreste in termini di biodiversità. Si studiano le foreste vetuste da diversi anni. Come già molti autori hanno scritto sono un importante punto di riferimento al fine della valutazione dell’impatto delle attività umane sugli ecosistemi forestali.
Foreste vetuste, riferimento necessario per lo sviluppo di tecniche per una gestione sostenibile che integri funzioni ecologiche, sociali ed economiche del bosco. Si conclude nella pubblicazione che ” I siti con le caratteristiche di vetustà più marcate dovranno essere monitorati attraverso un approccio ecosistemico, includendo indagini sulla biodiversità, specialmente per quei taxa noti per essere strettamente legati a foreste vetuste (organismi saproxilici, licheni, briofite etc.). Queste analisi potrebbero rappresentare un ulteriore passo verso una conoscenza completa della foreste italiane più vicine a condizioni di naturalità”.
Al giorno d’oggi infatti, non è più pensabile considerare il valore di un bosco tenendo conto esclusivamente della funzione economica e produttiva tralasciando le altre funzioni di cui abbiamo più volte scritto anche in questo sito. Lo studio delle foreste vetuste porta a conoscere di più i nostri vecchi alberi che sono sicuramente qui molto numerosi, di grandi dimensioni e che stanno per morire o meglio stanno in fase di deperimento. L’esempio più evidente è per i nostri vecchi o “senescenti” faggi presenti in quei luoghi nascosti, inaccessibili, dove il disturbo dell’uomo è assente, e dove si vedono anche numerose piante “morte” in “piedi o a terra” con una elevata presenza di legno morto. Nelle foreste vetuste siamo piu vicini alla naturalità, alla biodiversità e al mondo degli alberi, qui l’uomo non può e non deve intervenire.
Siamo oltre quello che si definisce “riserva naturale integrale” intesa come un’area naturale protetta nella quale non sono ammesse attività antropiche di nessun tipo, ad eccezione della ricerca scientifica. Perciò, non si eseguono interventi di alcun genere: ad esempio, se un albero cade per vari motivi, viene lasciato dov’è. Noi cercatori di grandi e vecchi alberi saremo più contenti quando l’uomo in questi boschi “vetusti” entra quasi in punta di piedi in silenzio ad osservare e a studiare il meraviglioso mondo degli alberi.
Il documento è scaricabile qui Foreste Vetuste in Italia
La Roverella di Scapoli in Contrada Piana
Specie: Quercus pubescens L.
Nome Comune: Roverella
Circonferenza (mt): 4.20
Altezza (mt): 20
Età presumbile (anni): 200
Quota Slm (mt): 515
L’amico Vincenzo ci ha segnalato una “simpatica” Roverella ubicata in Contrada Piana nel Comune di Scapoli. La chioma appare ben sviluppata. Quando le circonferenze superano i 4.00-4.50 mt. entriamo nel campo delle querce centenarie. La pianta è ubicata ai margini di una stradina a quota 515 mslm e si raggiunge facilmente. Il suo tronco è un po’ inclinato ma i suoi rami e le sue branche svettano in alto a dimostrare una chioma espansa. Luogo ideale per un riposo pomeridiano. Parlare di Scapoli significa parlare del paese delle “zampogne” ma anche di legno di ulivo e di ciliegio, quello più utilizzato per la loro fabbricazione.
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Gli alberi di Natale: non buttateli, ripiantateli. Storia, simbologia e cultura

Siamo con la rivista sherwood e con Lorenzo Ciccarese da cui abbiamo ripreso questo interessante articolo che ci trova noi di molisealberi in accordo e che brevemente ha descritto un po’ la storia la simbologia e la cultura degli alberi di Natale. Si avvicinano le festività natalizie e molti di noi addobberanno l’albero di Natale nelle proprie case insieme alla famiglia.
Lorenzo Ciccarese ha dato un significato sulle origini della simbologia natalizia legata agli alberi, sottolineando che l’uso di alberi veri, da vivaio, meglio se certificati, è sempre preferibile all’uso di quelli artificiali. Finito il Natale piantateli, utilizzateli come energia rinnovabile o come pacciamante… hanno fissato e fisseranno ancora per qualche tempo la CO2, daranno calore a voi e risorse alle aziende agricole produttrici e non inquineranno, come invece farà sicuramente, prima o poi, un albero di plastica. A parte il presepe e S. Nicola (e gli adattamenti che del santo sono stati fatti in ogni parte del mondo e nel tempo), non esiste un simbolo più rappresentativo dell’albero per le festività di Natale.
La storia dell’albero di Natale (o degli alberi di Natale, visto che ce n’è più di uno) segue da vicino la storia dello stessa Natività e della necessità per il Cristianesimo di costruire una simbologia propria, assorbendo le tradizioni e i simboli delle religioni pagane pre-esistenti in tutta Europa. Tradizioni e simboli da eclissare. Come quelle legate al culto di Saturno, dio dell’agricoltura, o a quello di Mitra: Entrambi, in tempi diversi, celebrati nello stesso periodo dell’anno (solstizio invernale). È questo uno dei motivi per cui fu deciso, solo nel IV secolo, di celebrare la nascita di Cristo il 25 Dicembre, anche se all’epoca non era certo popolare celebrare l’anniversario di nascita di qualcuno.
Allora cosa meglio di un albero, che germina, si radica, cresce, ramifica? E cosa meglio di un albero “sempreverde”, capace di trasferire il messaggio di rinnovamento e di immortalità?
Presenze e segni sulle origini dei nostri alberi di Natale possono essere riscontrate nelle più antiche culture pagane. I Romani decoravano le loro case con rami di pino e altre sempreverdi nelle Calende di gennaio. Tra i Celti, i sacerdoti e le sacerdotesse druidi (dal gaelico duir, ossia quercia) usavano decorare i loro alberi sempreverdi, abeti rossi e bianchi, per le celebrazioni del giorno più corto dell’anno. Tra i Vichinghi dell’estremo Nord dell’Europa, per esempio, dove il sole “spariva” per settimane nel pieno dell’inverno, nella settimana precedente e successiva al giorno con la notte più lunga, si officiavano le solennità per auspicare il ritorno del sole. L’abete rosso, così diffuso a quelle latitudini, era ritenuto in grado di esprimere poteri magici, poiché — a differenza delle betulle e del sorbo e delle poche altre decidue in grado di resistere a quelle condizioni — non perdeva le foglie nei geli dell’inverno. Alberi di abete venivano tagliati e portati a casa, decorati con frutti, ricordando la fertilità che la primavera avrebbe ridato agli alberi. E quando i primi missionari raggiunsero le regioni scandinave cominciò a diffondersi l’uso dell’albero di Natale anche come simbolo cristiano.
Nell’Alto medioevo, i primi alberi di Natale erano chiamati “alberi del Paradiso” e venivano decorati con mele (chiara allusione al peccato originale) e ostie (simbolo del corpo di Cristo sacrificato per scontare il peccato originale). Col tempo le ostie furono poi sostituite da candele, noci, castagne, dolci e biscotti, come simboli della redenzione di Cristo.
L’abete è il genere più comunemente usata per l’albero di Natale, perché ha il vantaggio di sembrare vitale anche se reciso e di mantenere a lungo gli aghi e di mantenerne a lungo il colore e il profumo. Ma non è il solo. In Europa sono usati anche i pini(soprattutto il pino silvestre e il pino cembro). In Nord America, America Centrale e Sud America le specie cambiano: douglasia, sequoie, cipressi, ginepri, araucaria. Il pino d’Aleppo è usato nel Sud per decorare e creare il fondo dei presepi. Ma non ci sono solo le conifere tra le piante simbolo della Natività.
Il vischio era già in uso nelle religioni pagane per celebrare l’arrivo dell’inverno e ad esso venivano conferiti poteri curativi. In Scandinavia era foriero di pace e armonia ed era associato a Frigga, dea dell’amore. I Druidi piazzavano rami di vischio sulla porta di ingresso per tenere lontani gli spiriti del male. La Chiesa delle origini ne vietò l’uso durante il Natale a causa delle sue origini pagane e lo sostituì con l’agrifoglio, per simboleggiare con le spine la corona di Cristo e con le bacche le gocce di sangue che escono dal capo. Fonte Sherwood – Foreste ed Alberi Oggi
Il 21 Novembre di ogni anno è la giornata nazionale dell’albero
Solo per ricordare che con una legge dello Stato Italiano del 14 Gennaio 2013 la n. 10 Il 21 Novembre di ogni anno è “la Giornata Nazionale degli Alberi”. Ripetiamo che gli alberi non hanno bisogno di giornate per ricordarli. Possiamo ogni tanto abbracciarli in questa giornata, almeno i nostri grandi amici alberi. Sono loro che ci devono “salvare” giorno per giorno. Sono gli alberi che parlano e dicono a noi “uomini” quello che non dobbiamo fare nei loro confronti.
Giorno dopo giorno il patrimonio arboreo e boschivo è sempre meno valorizzato. Giorno dopo giorno aumenta il dissesto idrogeologico e diminuisce la protezione del suolo. Giorno dopo giorno diminuisce la qualità dell’aria. Giorno dopo giorno si perdono le tradizioni legate all’albero nella cultura italiana. Giorno dopo giorno si riduce la vivibilità degli insediamenti urbani per mancanza di alberi. Giorno dopo giorno si perde il rispetto delle specie arboree ai fini dell’equilibrio tra comunità umana e ambiente naturale. Giorno dopo giorno viene meno lo stimolo a un comportamento quotidiano sostenibile al fine della conservazione delle biodiversità. Giorno dopo giorno si riducono gli oneri a carico della finanza pubblica per stimolare un comportamento quotidiano sostenibile al fine della conservazione delle biodiversità, avvalendosi delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili.
Ecco il testo della legge:
Art. 1. Disposizioni in materia di Giornata nazionale degli alberi
1. La Repubblica riconosce il 21 novembre quale «Giornata nazionale degli alberi» al fine di perseguire, attraverso la valorizzazione dell’ambiente e del patrimonio arboreo e boschivo, l’attuazione del protocollo di Kyoto, ratificato ai sensi della legge 1º giugno 2002, n. 120, e le politiche di riduzione delle emissioni, la prevenzione del dissesto idrogeologico e la protezione del suolo, il miglioramento della qualità dell’aria, la valorizzazione delle tradizioni legate all’albero nella cultura italiana e la vivibilità degli insediamenti urbani.
2. Nella Giornata di cui al comma 1, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare realizza nelle scuole di ogni ordine e grado, nelle università e negli istituti di istruzione superiore, di concerto con il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e con il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, iniziative per promuovere la conoscenza dell’ecosistema boschivo, il rispetto delle specie arboree ai fini dell’equilibrio tra comunità umana e ambiente naturale, l’educazione civica ed ambientale sulla legislazione vigente, nonché per stimolare un comportamento quotidiano sostenibile al fine della conservazione delle biodiversità, avvalendosi delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Nell’ambito di tali iniziative, ogni anno la Giornata di cui al comma 1 è intitolata ad uno specifico tema di rilevante valore etico, culturale e sociale. In occasione della celebrazione della Giornata le istituzioni scolastiche curano, in collaborazione con i comuni e le regioni e con il Corpo forestale dello Stato, la messa a dimora in aree pubbliche, individuate d’intesa con ciascun comune, di piantine di specie autoctone, anche messe a disposizione dai vivai forestali regionali, preferibilmente di provenienza locale, con particolare riferimento alle varietà tradizionali dell’ambiente italiano, con modalità definite con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, d’intesa con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali e con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, nell’ambito delle risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente.
Il Giardino dei Patriarchi da frutto dell’Unità d’Italia
Venti regioni, venti patriarchi da frutto grazie all’Associazione Patriarchi della Natura d’Italia a villa dei Quintili a Roma.
Ecco i venti Patriarchi da frutto che, regione dopo regione, rappresentano, i suoi diversi paesaggi e ambienti, con piante secolari o addirittura millenarie.
Valle d’Aosta: pero Brusson (il pero più grande e vecchio della Val d’Aosta)
Piemonte: melo PUM dal Bambin (uno dei meli più grandi del Piemonte)
Liguria: olivo di San Remo millenario (l’olivo più antico della Liguria)
Lombardia: ciliegio di Besana in Brianza (forse il ciliegio selvatico più grande d’Italia)
Trentino Alto Adige: melo di Fondo (il melo più vecchio d’Italia e forse d’Europa)
Friuli Venezia Giulia: melo di Campone (il più grande del Friuli) 150 anni,
Veneto: Olivo di San Vigilio (olivo millenario sulle rive del Garda)
Emilia Romagna: cotogno antico Faenza (fra i più vecchi d’Italia, produce frutti quasi privi di tannino che si mangiano come mele)
Toscana: corniolo di Montieri (fra i più grandi d’Italia)
Marche: olivo di Campofilone (fra gli olivi più longevi delle Marche)
Umbria: Noce di Poggiodomo, Perugia, (il più grande d’Italia di oltre 5 metri di circonferenza)
Abruzzo: fico Reginella di Bucchianico (antica varietà locale)
Molise: olivo di Venafro (millenario, coltivato già in epoca romana)
Lazio: melograno di Roma (San Giovanni in Laterano, fra i più vecchi d’Italia)
Campania: vite di Taurasi (vite plurisecolare e di dimensioni enormi)
Puglia: fico di Otranto (varietà autoctona, fra le più antiche)
Basilicata: olivo maiatica di Ferrandina (olivo millenario, il più antico della Basilicata)
Calabria: vite Mantonico di Bianco (vitigno risalente all’epoca magno-greca)
Sicilia: vite Corinto Bianco (vitigno portato in Italia dai Greci oltre duemila anni fa)
Sardegna: olivo Luras (3800 anni, il più antico d’Europa, 13 metri di circonferenza)
Fonte: Associazione Nazionale Patriarchi della natura d’Italia
Il “Mazzone”, la grande quercia di Jelsi
Nome comune: Roverella
Specie: Quercus pubescens
Località: Masserie Papali/Macchione
Età: circa 500 anni
Circonferenza a m. 1,30: cm. 600
Altezza mt 25
Morfologia della chioma: uniforme
Stato vegetativo: buono
Posizione: in filari di n° 3 piante
(Caratteristiche inviate dal Dr Forestale Lino Cirucci. Fonte: Schede redatte dal Corpo Forestale dello Stato (Comando stazione di Riccia anno 2000)
Alcuni simpatiche persone di Jelsi ci hanno trasmesso la foto di una delle più grandi roverelle esistenti in Provincia di Campobasso. Siamo ad Jelsi paese della festa del grano, del ballo dell’uomo orso e noi aggiungiamo anche di grandi querce. Ben cinque roverelle (ma ce ne saranno anche di più) dai dati del Censimento della Regione Molise del 2009, hanno una circonferenza superiore ai 5 metri.Il “Mazzone” di cui la foto qui sotto è di 6 mt con ben sette persone sopra il palco da cui si diramano 6 branche e rami. Dalla foto si vede che è un vero colosso. E’ una quercia a candelabro. Il Dr Forestale Lino Cirucci, che con la sua Associazione: “Centro studi di storia, cultura, tradizioni e territorio San Amanzio” ci racconta che a questo albero i Briganti, dopo l’unità d’Italia erano soliti legare i loro cavalli data la vasta ombra che proiettava al suolo. Il numero 6 è un numero fortunato per quest’albero, speriamo che continui a vivere per altri 66, per non dire 666 anni.

Il grande vecchio faggio di Fonte della Contessa di Civitanova del Sannio
Specie: Fagus sylvatica L
Nome Comune: Faggio
Circonferenza (mt): 5,80
Stato Vegetativo: mediocre
Altezza (mt): 30
Quota slm (mt): 1250
Siamo vicino al lago di Civitanova del Sannio (IS) sulla strada per Sant’Egidio di Frosolone in località Fonte della Contessa. Un bivio ci porta su una brecciata per un breve tratto. C’è un boschetto. Qui alcuni faggi. Troviamo il più grande, il più alto e il più strano con tronco doppio alla fine e branca a ciuffo.
L’albero comunque non sta tanto bene. Il tronco unico in basso è un po’ messo male. Qualche problema interno. Siamo a sud della zona della Montagnola vicino il lago di Civitanova o meglio lago di San Lorenzo. Un lago “strano” perchè l’acqua delle volte c’è e poi scompare. Ecco le foto del lago “fantasma”.


C’è sicuramente un inghiottitoio che in tempi brevi e dopo alcuni giorni da abbondanti piogge fa allontanare l’acqua. Il faggio è qui vicino assieme ad altri esemplari in un ambiente, quello della Montagnola, ancora un po’ selvaggio tipo Far West. Ci sono in giro cavalli e animali al pascolo, almeno nel periodo primaverile-estivo.
Diametro del tronco di tutto rispetto mt 5,80. Tronco un po’ dritto poi si dirama in due. E’ ubicato in una piccola conca. Censito nell’elenco degli alberi monumentali della Regione Molise nell’anno 2009 nel Comune di Civitanova del Sannio in Località Valle Banca. L’albero fa vivere forti emozioni a chiunque ho portato a farlo vedere. Non ci si aspettava un vecchio grande faggio. Speriamo che possa resistere un’altro po’ di anni, ormai è dal 2006 che lo conosciamo.
Emette poche foglie e solo nella parte alta. La chioma è molto ridotta con rami secchi. Il tronco vale la pena abbracciarlo. Non sappiamo l’età ma 200-250 anni li potrebbe avere.
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Da Google Earth si vedono molti rami secchi. Qui siamo in versione sicuramente invernale.
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