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I Boschi Vetusti ” la difficile definizione”

Le fasi della vita di un albero

Nel 2018 al Testo Unico in materia di foreste e filiere forestale sono state apportate modifiche alla legge 14 gennaio 2013, in particolare:
a) alla rubrica dell’articolo 7, dopo le parole: «alberi
monumentali,», sono inserite le seguenti: «dei boschi vetusti,»;
b) all’articolo 7, dopo il comma 1, e’ inserito il seguente:
«1-bis. Sono considerati boschi vetusti le formazioni boschive
naturali o artificiali ovunque ubicate che per eta’, forme o
dimensioni, ovvero per ragioni storiche, letterarie, toponomastiche o
paesaggistiche, culturali e spirituali presentino caratteri di
preminente interesse, tali da richiedere il riconoscimento ad una
speciale azione di conservazione. Il legislatore ha cercato, ma non è stato sicuramente facile, definire il “bosco vetusto”. Quasi sempre le leggi devono essere interpretate, del resto dove è difficile legiferare bisogna arrampicarsi un po’ sugli specchi (o su gli alberi). E poi i detti comuni: si fa la legge e si troverà l’inganno. Ci vengono in mente gli interessanti articoli del nostro amico Valido Capodarca nel gruppo facebook sull’inefficacia, in alcuni casi, delle leggi di tutela degli alberi. Un esempio è la legge specifica della “tutela delle querce”. Sapendo che una legge potrebbe mettere un vincolo di tutela, molti si affrettano a tagliare le querce quanto prima possibile. Del resto, anche la FAO nel 2001 ha dato una definizione di bosco vetusto partendo comunque dalla foresta: “Una foresta vetusta è un bosco primario o secondario che abbia raggiunto un’età nella quale specie e attributi strutturali normalmente associati con foreste primarie senescenti dello stesso tipo, si siano sufficientemente accumulati così da renderlo distinto come ecosistema rispetto a boschi più giovani” Il legislatore italiano non ha scritto di “foreste” ma di “boschi” altrimenti avrebbe per esempio potuto scrivere di “foreste vergini” che sono quelle in cui l’uomo non ci è mai entrato. Nelle foreste vergini c’è sicuramente une elevato livello di naturalità, di biodiversità e di grandi alberi. Per cui il bosco diciamo vetusto sta tra un bosco “vergine” (anche se è una brutta definizione ma rende l’idea ) e il bosco in cui l’uomo da molti anni non le gestisce più. Una definizione un po’ particolare di bosco vetusto è quella di “un ecosistema caratterizzato dalla presenza di alberi annosi e dai relativi attributi strutturali” (Spies 2004,) Altra definizione fornita sempre da studiosi che a noi di molisealberi piace, e che i boschi vetusti: rappresentano un elemento chiave nelle strategie di conservazione della biodiversità (Blasi et al. 2010) di cui abbiamo scritto nei precedenti articoli. L’assenza prolungata di lavorazioni e interventi selvicolturali favorisce la formazione dei grandi alberi cavi e/o morti in piedi e a terra microhabitat ideali per molte specie: funghi, licheni, ecc.. .

I grandi alberi e i coleotteri saproxilici : “l’unione fa la forza”

I coleotteri sono degli insetti. Che centrano allora gli insetti con i grandi e monumentali alberi e con i coleotteri chiamati saproxilici? Saproxilici sono insetti, ma più in generale specie faunistiche, in cui uno stadio del proprio ciclo vitale, è legato al legno deperiente o morto di alberi senescenti, tronchi e rami caduti. I grandi e vecchi monumentali alberi con le loro “cavità” sono spesso quelli con la loro maggiore presenza di “legno morto” e sono un ottimo rifugio di coleotteri. L’albero cavo in piedi o a terra, pur se morto, ancora permette ad altre forme di vita di conservarsi e quindi di riprodursi. Se poi alcuni coleotteri saproxilici sono specie di interesse comunitario quali l’Osmoderma Eremita e la Rosalia Alpina (che vive per lo più nelle faggete) il ruolo dei nostri vecchi alberi con il loro legno diventa substrato di nutrimento e rifugio per queste specie. Si stima che circa il 30% della biodiversità di un ecosistema forestale sia dipendente dal legno morto, (Fonte Ministero dell’Ambiente) risulta essenziale permettere e mantenere a lungo questa unione forte tra alberi “vetusti” e “insetti” e in particolare i due coleotteri quali l’Osmoderma Eremita e la Rosalia Alpina, specie particolarmente minacciate inserite anche nelle “liste rosse” della fauna italiana . E’ necessario quindi che il legno morto in piedi e a terra sia, per quanto è possibile lasciato in bosco soprattutto se si riesce a trovare i due coleotteri. Esistono ormai da anni le raccomandazioni del Consiglio d’Europa in materia di conservazione sia delle foreste vetuste (Recommendation N° R (88) 11) e sia della fauna saproxilica (Recommendation N° R (88) 10). (Fonte Ministero dell’Ambiente) L’unione alberi vetusti e coleotteri saproxilici nella conservazione della biodiversità fa la forza.

per approfondimenti si segnala il sito http://innat.it/ nel Molise ci sono state diverse segnalazioni per i due insetti (vedi pallini rossi). Ecco le schede dei due coleotteri dal sito www.innat.it

I Boschi di Carpino Nero (Ostrya carpinifolia Scop.) questi invasori

Carpino Nero Foto dal Portale Flora d’Italia

In Molise, in particolare in molte zone del Matese, della Montagnola Molisana e un po’ meno nella zona delle Mainarde-Meta, ci sono boschi in cui domina il Carpino nero. (in termini botanci: Ostrieti). Essi sono localizzati generalmente su substrati calcarei di solito in forte pendenza e non sono quasi mai puri ma si associano ad altre specie come Aceri, Frassini, Cerri e Faggi. Sono ubicati a quota da 700 fino a 1000 mslm. La presenza di questi boschi a Carpino nero è dovuta dall’invasione di pascoli arborati e cespugliati generalmente abbandonati che si trovano in vicinanza di boschi in cui i tagli (ceduazioni) spesso hanno ridotto l’affermazione di altre latifoglie . Dalla ricerca bibliografica risulta che il Carpino nero è una pianta che si è diffusa dalle alterazioni antropiche su boschi di quercia (Pignatti 1982) o da tagli intervalli di deposito successivi e che hanno offerto alla specie la possibilità di insediarsi nei boschi di maggiore frequenza (Bernetti 1987). Il carpino nero nei boschi cedui a turni (sarebbe il periodo di tempo tra un taglio ad un altro ) molto brevi per esempio 12-18 anni è in grado di insediarsi al posto di altre specie facendolo diventare spesso un “colonizzatore” e “invasore”. I boschi a prevalenza di di carpino nero non sono considerati Habitat nei siti della Rete Natura 2000 (direttiva Habitat ) in quando essendo “invasori ” riducono un po’ la biodiversità.

Carpino nero Fonte da internet

In conclusione, e non ce ne vogliano molti, non sempre è necessario favorire interventi di rinnovazione naturale del carpino nero anzi in alcuni casi e meglio favorire altre specie ma non sempre è facile. Il carpino nero dopo un taglio di un bosco riesce ad insediarsi sempre un po’ prima di tutte la altre specie di latifoglie come roverella, cerro, frassino ecc.. Quando si tagliano i boschi bisogna almeno conoscere cosa, dove, quanto, perchè e come si taglia; esiste una bellissima scienza millenaria che è “la selvicoltura” che secondo alcuni viene chiamata naturalistica, ma questa è un’altra storia.

Neve e Abeti bianchi

Pescopennataro Bosco degli Abeti soprani

Nevica in questi giorni in Molise. I rami e i tronchi degli alberi sono coperti di bianco. Anche le foglie aghiformi degli alberi sempreverdi come pini, abeti, cedri sono tutte imbiancate. Un albero che esprime meglio il rapporto stretto con la neve è l’Abete Bianco. Lo dice lo stesso nome “Bianco” proprio perchè gli aghi verdi hanno due striature chiare biancastre. Gli abeti bianchi sono presenti per lo più nell’ Alto Molise, nelle riserva MAB Unesco di Collemeluccio tra Pescolanciano Pietrabbondante e Chiauci di solito consociato con il cerro e nel Bosco degli Abeti Soprani di Pescopennataro. A Pescopennataro le abetine possiamo considerarle quasi autoctone, cioè originarie del luogo pur se è intervenuto l’uomo in passato. Fanno parte ormai della storia forestale di quei luoghi. Le abetine quasi pure artificiali e coetanee hanno però qualche problema legata alle mancanza di stabilità e alle malattie. Neve, vento e malattie fungine sono un po’ i nemici dell’abete bianco. Ma non è sempre vero se si effettuano degli interventi forestali (assestamento) che possono cercare di migliorare la stabilità di questi popolamenti. La gestione delle abetine non si deve porre solo come unico obiettivo quello economico-finanziario, ma soprattutto valorizzare le importanti funzioni ecologiche, ricreative e paesaggistiche. Si avranno vantaggi per tutti, in particolare per quelli che si avvicinano per esempio al selviturismo o turismo forestale oppure per quelli che scrivono di Silvoterapia, o terapia del bosco. L’uomo trova nel bosco sempre un rifugio dallo stress e dai problemi della vita. Nei boschi di abete bianco ricoperti di neve il “rifugio” è ancora più sentito. Buon 2019 agli amici di molisealberi.

Il limite superiore del bosco (seconda parte) – Il Matese e le specie al limite dell’areale

Riprendendo l’articolo precedente sul limite superiore del bosco nel nostro Appennino, abbiamo detto che non è sempre facile da poter individuare perchè molte sono le condizioni che lo fanno variare quali: tipo di gruppo montuoso, suolo, vegetazione, esposizione, latitudine, temperatura del suolo e dell’aria, impatto antropico (pascoli), durata stagione vegetativa, rocciosità, competizione tra le specie vegetali, periodo di presenza di neve, gelate tardive, valanghe, mancanza d’acqua, vento e condizioni microclimatiche particolari.

In particolare sul Matese in passato l’intenso carico di bestiame ovino e bovino ha rappresentato un fattore determinate per l’abbassamento del limite del bosco fino a 1500-1600 e quello che si è potuto notare é che mancano gli arbusteti di ginepro. Su Monte Mutria il limite della faggeta arriva fino a 1750-1800 metri circa, dopo dominano le praterie d’alta quota o di vetta in particolare a Sesleria apennina e cespuglieti a ridosso delle faggete di alta quota con specie quali Rhamnus fallax, Daphne, la cui straordinaria bellezza coincide con la fioritura di numerose specie legate agli ambienti impervi propri delle aree altomontane.

Se saliamo sulla cima di Monte Miletto e in zone vicinore possiamo constatare l’irregolarità di altitudine ove termina il bosco di faggio. In base alla morfologia del Matese, alla sua natura geologica ed anche all’azione dell’uomo, il limite del bosco nella parte nord del massiccio, dove ci sono le piste da sci di Campitello Matese, è variabile da 1550 mslm a 1650 mslm con un andamento quasi regolare.

Sul versante campano del Matese, invece, esposto generalmente a SO, il bosco tende a risalire anche a 1750 mslm nonostante le forti pendenze; qui oltre alle condizioni geomorfologiche, ci sono anche gli aspetti climatici come fattori determinanti per l’innalzamento del limite del bosco. Ciò sta a significare che sempre diversificati e difficili sono le valutazioni sui fattori che fanno variare in modo dinamico il limite superiore del bosco. Il bosco poi in queste aree ha importanza anche per la difesa da valanghe oltre che prevenire rischi idrogeologici.

 

In giallo la linea del limite superiore del bosco

 

Il Limite superiore del bosco del Matese

 

I Boschi del Molise alcune proposte di gestione.

Dei 136 comuni molisani circa 50 hanno una superficie boschiva sotto il 20% del loro territorio ed in particolare nella provincia di Campobasso. Il problema non è solo la superficie ma anche la qualità dei boschi che possiamo definire in alcune aree “scadente”.

Molise siti di importanza Comunitaria e limiti comunali
Molise siti di importanza Comunitaria e limiti comunali

In un precedente articolo e dai dati della carta forestale della Regione Molise, si individuava, dopo i querceti di roverella, le cerrete mesoxerofile e quelle mesofile, al quarto posto la copertura del suolo da parte delle latifoglie di invasione miste e varie pari al 8,66% dei 160.000 Ha della superficie boscata del molise. Questo dato numerico sicuramente è in aumento, tra diversi anni, dipende molto anche dall’azione dell’uomo, saremo invasi non solo dagli alieni (visto che secondo molti il Molise non esiste) ma dalle latifoglie miste e varie e da arbusti di ginestre, rovi, alianteti, robinieti, prugnoli, saliceti ecc…, oltre che da superfici ridotte all’agricoltura (aree dismesse, siti inquinati, ex cave, ex pale eoliche, ex colitvi, ex strade interpoderali e montane, ex aree industriali e artigianali ecc.. ). Si ipotizza un aumento stimabile al 20-25% della superficie “invasiva delle piante” che non sono “veri” boschi con problemi di gestione, di pericolosità geologica, di consumo di suolo, di incendi, di dissesto idrogeologico, di frane.

Molti boschi non sono poi in condizioni migliori, spesso non c’è rinnovazione. I boschi privati spesso sono abbandonati o tagliati irrazionalmente per il solo scopo di fare più legna possibile per fini economici, anche perchè nei cedui solo dopo 18-22 anni in media posso ritornare a fare legna in quel bosco.

La legna è un bene economico primario e le prescrizioni di massima e di polizia forestale e la legislazione forestale vigente non sempre hanno un buon effetto visto le irrisorie sanzioni che prevedono. Se la superficie boschiva o meglio i terreni abbandonati all’agricoltura e “marginali” stanno sempre aumentando in particolare in Provincia di Isernia, non dobbiamo essere contenti perchè occorre vedere cosa fare con questi suoli polverizzati, frammezzati con vegetazione soggetta più facilmente ad incendi, malattie, e danni di varia natura provocati spesso anche dall’uomo.

Occorre quindi partire da una azione programmatica come citava il vecchio Piano Forestale Regionale nel 2006 che citiamo:
– tutela e miglioramento del patrimonio forestale del Molise;
– miglioramento degli strumenti di conoscenza, normativi e informativi sulle risorse forestali; (personale che deve conoscere la storia del bosco, valutare, stimare, informarsi ecc.. su come “migliorare” un bosco importante il ruolo dell’operatore forestale nella gestione del patrimonio boschivo in un quadro di sicurezza e di professionalità)
– aumento dei livelli di occupazione e delle occasioni di impiego legati al miglioramento produttivo della filiera bosco – prodotti della selvicoltura (non tutti vogliono intraprendere il lavoro del “legnaiuolo” termine che a noi non piace ma meglio parlare di operatore forestale che conosce le tecniche di utilizzazione forestale, la cura e il taglio del bosco)
– miglioramento dell’offerta dei servizi turistico – ricreativi connessi al patrimonio forestale (funzione che sta avendo sempre una sua importanza come il selviturismo, l’economia che ruota intorno ad un grande albero, le caminate in bosco, le aree pic-nic, ecc..)
– Gestione forestale sostenibile (GFS), che prevede il soddisfacimento dei bisogni delle generazioni attuali senza compromettere quelli delle generazioni future, garantendo la perpetuità dei valori del bosco, con specifiche azioni per il mantenimento ed il miglioramento della biodiversità.
– lavori selvicolturali di prevenzione degli incendi e manutenzione dei soprassuoli boschivi;
– ripulitura delle fasce boscate limitrofe alle strade d’accesso e d’attraversamento di superfici boscate;
– creazione di cinture verdi parafuoco ai margini dei boschi limitrofi ai campi coltivati;
– formazione e qualificazione professionale.
– allontanamento dei residui vegetali accumulati negli strati superficiali del suolo (resti di lavorazione, ramaglia, piante secche);
– potatura dei rami secchi e bassi, onde evitare che eventuali incendi radenti possano tramutarsi in incendi di chioma;
– sfoltimento dei rimboschimenti troppo densi;
Molte sono le funzioni di un bosco per una sua migliore gestione, che non è solo produttiva. Il bosco è sempre “il bosco” anche se spesso si classificano i boschi protettivi e produttivi. A noi questa distinzione non piace. Tutti i boschi se ben gestiti ci proteggono sempre da molti fattori avversi.

Le normative sui grandi alberi e sui boschi servono? (prima parte)

Risposta: noi crediamo ancora di si, ma non diciamo “assolutamente sì” oppure diciamo “forse sì”.

La nostra Associazione, come da Statuto del 1994, è impegnata a diffondere la cultura del territorio, dell’ambiente, dei boschi e degli alberi e poi si è orientata anche nella ricerca dei grandi alberi denominati “patriarchi” o “alberi monumentali”. Per molti di loro, alberi conosciuti e quelli scoperti, esiste una legge nazionale, la numero 10 del 2013 e molte leggi regionali. Premettiamo che le leggi servono a ben poco se non c’è il rispetto e la consapevolezza dell’esistenza di un patrimonio vegetale, di monumenti naturali, di boschi da difendere e valorizzare contro i pericoli dell’attività umana (incendi, tagli irrazionali, capitozzature di alberi, ecc..). Problemi di cui i mass-media parlano soprattutto quando cade un albero in luoghi abitati o quando diventa “minaccioso”. Il problema della caduta di una grande albero in un bosco interessa ben poco. Quando poi gli alberi danno fastidio alle abitazioni, ai condomini, alle strade, alle macchine parcheggiate, al proprio giardino (per lo più è l’albero del vicino di casa) allora tutti sono contro loro.

In periodi di crisi economica ed energetica, di mutui da pagare, parlare di grandi alberi, anidride carbonica, biodiversità forestale, interessa ben poco. Ci rendiamo perfettamente conto che la materia e la terminologia forestale legate alla natura degli alberi e del bosco è spesso un po’ complicata. Termini quali: VTA (Visual tree Assessment), capitozzatura, biocenosi, valutazione di incidenza, habitat prioritari, rete natura 2000, condizionalità, unità ambientali e fitoclimatica, termotipi, sintaxa, orno-ostrieti, dendrochirurgia, ipsometria, fitoiatria, fitosociologia, fotobionti, dendrocronologia, ecocertificazione forestale, e sigle varie come FSC, CFC, PFEC, GFS ecc…sono tutte bellissime parole ma stanno complicando la vita anche a chi si occupa di alberi e boschi; poi diverse normative, regolamenti, circolari ecc.. fanno il resto.

Noi fin che possiamo cercheremo di rendere e spiegare i boschi e i grandi alberi in modo comprensibile e semplice. Dovremmo fare un glossario ma forse non lo faremo mai: ne esistono già tanti. Come cita il Capodarca nel suo libro “Alberi monumentali delle Marche”: gli alberi come ogni essere vivente seguono il ciclo eterno stabilito della natura crescono, vivono, fanno carriera, si ammalano e muoiono. Terminologia molto semplice. Si scrive molto, si fanno studi, relazioni, analisi, convegni ecc.. (basta vedere sul nostro sito la Sezione studi sul molise), ma forse ancora si fa ben poco per gli alberi e i boschi mentre le frane, le erosioni, il degrado del territorio, il consumo di suolo, le cementificazioni e gli alluvioni continuano…

Le Foreste demaniali in Molise, il Bosco San Martino Cantalupo (prima parte)

Le Foreste Demaniali sono l’istituto di protezione delle risorse naturali più antico. L’Azienda di Stato delle Foreste Demaniali fu istituita infatti nel 1910, prima ancora di qualsiasi parco nazionale. Oggi in considerazione dei divieti vigenti, possono essere considerate vere e proprie aree naturali protette oltre ad essere riserve, siti di importanza comunitaria, zone di protezione speciale e luoghi in cui ci sono grandi alberi e di notevole interesse.

Lo stato di naturalità delle Foreste Demaniali, infatti, solo in alcuni casi è stato parzialmente compromesso, sia dalla gestione del sottobosco, per la prevenzione degli incendi, sia dall’immissione nell’ambiente di piante non sempre autoctone, finalizzata nella quasi totalità dei casi alla produzione forestale e al governo o alla prevenzione del dissesto idrogeologico.

Nonostante tali interventi, i divieti di transito in alcuni casi e di esercizio di tutte le attività antropiche, legate alla risorsa bosco, hanno comunque determinato in alcuni casi uno stato di isolamento pari se non superiore a quello di alcune aree naturali protette.

Oggi per la Regione Molise, sono un patrimonio di alto valore forestale, paesaggistico e naturalistico per le quali sarebbero opportuni interventi di miglioramento ed ampliamento come sta accadendo per esempio per la Riserva Mab Alto Alto Molise.

Nel Molise le Foreste Demaniali Regionali, gestite dell’Ex Azienda di Stato sono:

Il Bosco di Monte Capraro (S. Pietro Avellana – IS),

Il Bosco Pennataro (Vastogirardi – IS),

Il Bosco Monte Caruso e Monte Gallo (Monteroduni – IS),

Il Bosco del Barone (Montagano – CB).

Il Bosco S. Martino e Cantalupo (S. Pietro Avellana – IS) di circa 215 ettari si trova a confine con l’Abruzzo. In vicinanza c’è il fiume Sangro, il Tratturo Celano Foggia e la ferrovia Sangritana con la Stazione di San Pietro Avellana e la statale Fondo Valle Sangro. Era un antico Feudo.

Il bosco fu soggetto in passato a tagli e usurpazioni. Masseria Taverna a 760 mslm rappresenta il luogo di entrata in Molise con il vicino “Casello” della linea ferroviaria “Sangritana”. Luogo strategico di sosta di eserciti, e in particolare di pastori con le greggi transumanti. Molti credono che il confine regionale sia dato dal fiume Sangro invece non è così.

La foresta demaniale San Martino-Cantalupo si trova sulla sponda sinistra del fiume Sangro a Nord della Masseria Taverna e a NE del Tratturo Celano Foggia. Il fosso di Cinquemiglia (catastalmente Fosso di Pietransieri) per 1300 metri segna il confine SO della Regione Molise. Poi il confine devia a NE in località Vallocche Frazione del Comune di Roccaraso. Il confine regionale arriva in località a Colle San Francesco fino a 1126 mslm. La Zona si chiama come indicato sulle tavolette IGM anche Vallone del Cupo. Il vallone taglia da Nord a Sud il bosco di latifoglie cosi come una striscia di larga di pista forestale a fascia “parafuoco”.

Definire i confini del Bosco Cantalupo e San Martino non sembra facile. La storia ci dice di un po’ d’uso irrazionale di questi boschi e delle sue risorse (esempio tartufi, funghi, pascolo ecc..) per effetto che ci sono molti terreni privati in vicinanza e all’interno del bosco per cui occorre permettere anche il passaggio. In effetti i boschi sono di tutti, poi qualcuno crede che sono di pochi per un utilizzo solo ed esclusivamente economico, altri invece pensano che non sono di nessuno ma spesso sottoposti al degrado.

Il Bosco Cantalupo che si trova nel comune di San Pietro Avellana spesso viene confuso con il comune di Cantalupo nel Sannio. Una ipotesi dell’origine etimologica del nome “Cantalupo” deriverebbe da “Kata-Lucon” (in mezzo al bosco).

Cartografia Bosco San Martino Cantalupo Fonte Portale cartografico Regione Molise
Cartografia Bosco San Martino Cantalupo Fonte: Portale Cartografico Regione Molise www.geo.regione.molise.it

Le tipologie forestali presenti nella zona del Bosco Cantalupo variano in funzione della quota, dell’esposizione, del tipo del terreno e di altri fattori. Alcune zone si presentano con arbusti submontani con presenza di rose, prugnoli e rovi dovute all’abbandono delle pratiche agricole e del pascolo che ha facilitato la diffusione di questi popolamenti. Esse si trovano nei confini tra foresta terreni privati e zone di passaggio. In vicinanza di fossi e valloni di cui uno principale che attraversa il Bosco di Cantalupo (Vallone del Cupo) c’è la tipica vegetazione ripariale di pioppi e salici.

Il Bosco si presenta coetaneo con quote che vanno da 870 mslm fino a 1100 mslm. La tipologia forestale più rappresentativa è la cerreta mesofila con specie predominante il Quercus cerris e specie minori come Orniello, Carpino nero, Frassino maggiore, e Aceri. La gestione del Bosco Cantalupo crediamo non sia stata facile in passato e nemmeno oggi.

Trattandosi di zona protetta (rientra in area SIC denominata Isola fonte della Luna) il bosco di cerro potrebbe essere gestito favorendo una sua evoluzione naturale, ma noi crediamo alcuni tagli nel medio lungo periodo potrebbero essere attuati con una rinnovazione continua. Si potrebbero adottare misure per una selvicoltura attraverso il modello della fustaia chiara (Ciancio, Iovino, Menguzzoato & Nocentini) mantenendo il bosco a bassi livelli di densità e massa per favorire la rinnovazione continua.

Bosco di San Martino Cantalupo Comune di San Pietro Avellana
Bosco di San Martino Cantalupo Comune di San Pietro Avellana

cartografiaboscocantalupo
Carta uso del suolo parte del Bosco Cantalupo in verde bosco di latifoglie (Cerreta mesofila)in rosso aree a pascolo in viola cespugli e incolti

Il limite superiore del bosco (prima parte)

Chi va in montagna conosce molto bene che esiste una zona molto marcata che i botanici e gli studiosi hanno chiamato “Limite superiore del Bosco”. Questo limite è molto evidente, rappresentando una caratteristica del paesaggio montano.

limitesuperioredelboscoIn Molise, sul Matese ed in particolare sulle Mainarde-Meta “Il limite del bosco” è abbastanza evidente. Cerchiamo di capire come mai gli alberi ad una certa altitudine non ci sono più. Premettiamo che non esiste una spiegazione unica e convincente per giustificare il limite del bosco. Sicuramente sono molte le cause che possono influenzare lo sviluppo degli alberi in una fascia di transizione di circa 200-300 metri.

Salendo all’interno di un bosco possiamo accorgerci del suo limite vedendo alberi più distanziati, a volte meno cresciuti, più distorti con individui sparsi e arbusti bassi e foglie più piccole. Possiamo avere già due limiti: quelli del bosco chiuso e quello degli alberi isolati e sparsi. Il problema sta nel fatto che il limite di bosco non coincide quasi mai con il limite delle fasce di vegetazione.

Nel nostro Appennino il limite di bosco comprende sia una fascia montana dove ci sono ancora alberi (faggio e conifere in particolare) che subalpina o boreale con arbusti e piccoli alberelli sparsi. Per meglio localizzare il limite del bosco per le due grandi catene montuose del Molise (Matese e Mainarde-Meta) si può stimare in media 1650-1800 mt. Sono numeri da prendere con “le pinze” perchè per ogni montagna esso varia in funzione del: tipo di vegetazione, esposizione, latitudine, temperatura del suolo e dell’aria, impatto antropico (pascoli), durata stagione vegetativa, rocciosità, competizione tra le specie vegetali, periodo di presenza di neve, gelate tardive, valanghe, mancanza d’acqua, vento e condizioni microclimatiche particolari. A questi da aggiungere i grandi fenomeni del riscaldamento globale e dell’incremento dell’anidride carbonica nell’aria. Tutti questi fattori illustrati giocano, chi in maniera più marcata chi in maniera meno e poco significativa, sul limite della crescita degli alberi e del bosco.

Sicuramente il “limite del bosco” non è una linea rettilinea che spesso si vede a distanza sulle nostre montagne. Il clima in corso permette alla foresta, seppure lentamente, di riconquistare il terreno che aveva perduto, ma non sempre. Unico dato certo è che nella zona di transizione (Ecotono) gli alberi sono più sensibili alle variazioni climatiche ed è opportuno prima di tutto andare a vedere per esempio cosa accade nelle aree alle singole piante di faggio sul Matese e sulle Mainarde-Meta e a tutte le quote sopra i 1650-1700 mtsm delle montagne del Molise. Ci sono comunque alcuni dati, occorrono tempi e lunghe osservazioni per lo studio di queste comunità vegetali.

In un successivo articolo cercheremo di esaminare i singoli meccanismi e gli elementi che fanno variare il limite del bosco, ma non è detto che poi sull’Appennino sia variato o è in corso di variazione in modo rapido: la dinamica è abbastanza lenta (almeno 30-40 anni). Occorrerebbero studi più approfonditi e di dettaglio e molte cartografie e immagini satellitari a distanza di anni da poter confrontare, come si sta facendo adesso per esempio per i ghiacciai.

Limite superiore del Bosco