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La grande Roverella di Castelpizzuto

Specie: Quercus pubescens W.
Nome Comune: Roverella Circonferenza (mt): 4,10
Stato Vegetativo: buono;
Altezza (mt): 20-25
Età (anni): 150 Quota slm (mt): 830

Castelpizzuto con Castelverrino è tra i più piccoli comuni della Provincia di Isernia con i suoi più o meno 140 abitanti. Riccardo Finelli  in un suo libro ne parla qui. Un nostro amico del luogo ci dice che ci sono state molte più pecore che persone. Ultimamente abbiamo notato che stanno scomparendo anche le pecore. Nasce in media un bambino all’anno. Nel 2013 forse ne nasceranno 2 o nessuno come è successo anche negli anni scorsi e quindi si potranno piantare, come dice la nuova legge (un albero per ogni bambino nato), solamente 1-2 alberi. Sul suo territorio ci sono comunque “particolari” alberi con caratteristiche forme e dimensioni che emergono da boschetti, radure e incolti cespugliati; alcuni di essi sono secchi, deperienti ma rimasti lì. Strano che nessuno si preoccupi di alberi deperiti e morti che potrebbero essere oggetto di taglio e ruberie varie.

Non succede forse perchè solo pochi molisani o italiani o di altre nazionalità sono stati a Castelpizzuto, e poi la strada finisce e si deve tornare indietro. Ma noi pensiamo che alcun alberi sono difficili da raggiungere perché occorre fare molta strada tra alti cespugli, grosse pietre ed forti pendenze. Qui il tempo sembra essersi fermato. Non è la solita frase retorica ma consigliamo di perdere o guadagnare 2-3 ore della vostra vita per farsi un giro a piedi sul piccolo territorio e nel centro urbano anche per scoprire le ricchezze storiche (famosi i tetti con le “lisce” in pietra) ed architettoniche dei luoghi (fabbricati in pietra ormai abbandonati  e che li riparano trascurando l’architettura rurale del luogo).

Alcuni grandi alberi si trovano in particolare sopra il paese in località Foresta, Via Borgo e in Contrada Cesa. Qui ci sono sparse qua e la grosse querce con diametro superiori agli  80-100 cm che arricchiscono il paesaggio in un luogo tutto circondato da rilievi “pizzuti”   (caratteristica roccia si trova in Località Torre). Infatti come si legge dal sito del Comune probabilmente il paese di Castelpizzuto deve il proprio nome alla forma acuminata del monte su cui si erge; nel corso degli anni il suo nome è variato da “Castrum piczutum” a “Rocca di Pizzuto” (o semplicemente “Pizzuto”), per culminare nella definitiva denominazione di “Castelpizzuto”. Pietre, alberi, rocce, e l’acqua sono il patrimonio di Castelpizzuto.

Molti non sanno che per arrivare in macchina al paese c’è un’unica strada asfaltata da Longano  da cui dista 5 km e termina proprio nel centro abitato; ma ci si può arrivare anche a piedi dopo circa 3 ore di cammino per una carrabile che dal Santuario dell’Addolorata va verso Monte Patalecchia (1400 mslm con le sue numerose antenne e con la zona di avvistamento incendi per l’ampio panorama) per poi scendere al paese. Ma torniamo  all’albero scelto. Si trova in località Sant’Antonio e che abbiamo appunto chiamato la grande quercia di Sant’Antonio di Castelpizzuto (anche se pare sia località San Giorgio) .

Si trova, salendo per la strada che sale dal paese, sulla destra di una chiesetta (Cappella privata di Sant’Antonio). E’ facile da raggiungere e si trova all’interno di un’aia. E’ difficile rendersi conto della sua altezza perché è un po’ inclinato verso un fosso ed é un po’ coperto da altre querce che sono a quota più alta rispetto al nostro albero. Due grossi tronchi emergono dal terreno e risultano circondati da materiale zincato, tavole di legname e reti in ferro che nascondono la base del grande tronco. Solo da vicino ci si rende subito conto della grandezza in particolare del fusto e dello sviluppo della chioma tali da far assumere una forma simile ad un candelabro. La quercia è in buone condizioni e non dovrebbe essere in pericolo immediato, si spera che un giorno si toglierà tutto il materiale nelle vicinanze. Da altre foto abbiamo visto che il materiale intorno alla quercia è stato tolto (anno 2010).  Essa comunque é ben protetta da un cancello che non ne permette l’accesso. Meno male.

 

Una Giornata con i Grandi Alberi all’Ortobotanico di Roma

Premesso che, una dettagliata relazione sugli alberi dell’Ortobotanico di Roma è stata già scritta da Tiziano Fratus nel suo sito dedicato ai cercatori di alberi www.homoradix.com e che Loreta Gratani Direttrice dell’Ortobotanico nello splendido Libro “L’orto botanico di Roma”, parla di alberi monumentali, anche noi, di molisealberi, abbiamo voluto raccontare una giornata in compagnia di alcuni grandi alberi. Da non esperti ci siamo un po’ documentati. Quando si va nel Lazio e a Roma a vedere gli alberi dobbiamo citare anche Antimo Palumbo e la sua Associazione “l’Adea” a questo link.
Il File pdf può essere scaricato qui o anche su scribd.

Giganti verdi, le Sequoie anche in Molise?

Campobasso metasequoiaCi sono sulla terra alberi giganti. Come e perché il gigantismo è più diffuso tra le piante ? Come fa una pianta a crescere fino a quasi 120 metri d’altezza? Non abbiamo una risposta univoca. Anzi meglio non rispondere o si risponde facilmente: “Sono i segreti e la forza della Natura”. E l’argomento è chiuso.  Parlare di alberi giganti, vengono in mente  le Sequoie della California o meglio quelle del  dell’Humboldt Redwoods State Park.

Proprio in questo parco nazionale ci sono gli esseri viventi più alti del mondo. Qui c’è Hyperion una Sequoia Sempervirens scoperta nel 2006 da due naturalisti la cui altezza è stata accertata essere di 115,55 metri (precisione estrema). Sempre in California ma nel Parco nazionale delle Sequoie c’è il conosciutissimo Generale Sherman che non è una Sempervirens ma una Sequoiadendron gigantea, Lindl (Sequoiadendron giganteum, Buchholz)   con una altezza di circa 84 metri  un volume di circa 1500  metri cubi e il peso in 2000 tonnellate, numeri da  “brividi”. Questo  è considerato l’albero più grande del mondo.

Precedentemente il record di altezza apparteneva alla sequoia Helios, alta 114,30 metri, anch’essa situata nel  Parco nazionale di Redwood. Siamo comunque sempre in California. Un albero gigante  ha bisogno di una grande quantità di acqua che deve poter sollevare dalle radici fino alla foglia più alta. Nelle sequoie pare che una goccia d’acqua ci mette un mese per arrivare in cima.

In Italia forse quella più grande l’ha incontrata ultimamente alle porte di Biella, in località Chiavazza, Tiziano Fratus descrivendola egregiamente. Ma Fratus ha descritto molte sequoie anche nel suoi Piemonte in molti Parchi, a Merano a Reggello e cosi via. Ma le sequoie che ha descritto “l’Uomo radice” sono presenti un po’ in tutta Italia in  Piemonte,  Liguria,  Trentino Alto Adige,  Friuli Venezia Giulia, e in Toscana quasi tutte con una storia e con le loro particolarità. Alcune foto le potete vedere qui nell’Album: Giona delle Sequoie.  Buona parte delle Sequoie in Italia furono piantate intorno al 1850.

Qui in Molise ci accontentiamo di poco: abbiamo oggi 2 sequoie e mezzo a Campobasso. Quella di Piazza Cesare Battisti ormai a tronco “tagliato” perciò “mezza sequoia secca” con qulache foglia (vedi foto), le altre 2 in Via Mazzini all’interno del giardino del Convitto Mario Pagano e l’altra al Centro Potito. Queste ultime due stanno ancora bene, vuol dire che hanno una buona risorsa d’acqua, ma non potranno vivere molto a lungo (massimo 200-250 anni) dato che si trovano fuori del loro ambiente ideale. Qui alcune foto del 2010 in cui si cominciò a tagliare la Sequoia di Piazza Cesare Battisti.  Ecco dov’è ubicata la mezza Sequoia di Piazza Cesare Battisti a Campobasso per chi non la conosce ancora.

Visualizza Grandi Alberi in Molise in una mappa di dimensioni maggiori

Qui invece una foto del 2012 della Sequoia a circa 30 mt di distanza da quella abbattuta.

La sequoia al Convitto Mario Pagano
La sequoia al Convitto Mario Pagano Circonferenza 5,80 mt altezza 23-25 mt
La sequoia all'interno del Convitto Mario Pagano a Campobasso
La sequoia all’interno del Convitto Mario Pagano a Campobasso

 

La tutela dei boschi e dei grandi alberi serve ancora?

Agnone AlberoLa nostra Associazione, come da statuto, è impegnata a diffondere la cultura del territorio dei boschi e degli alberi in particolare dei grandi alberi denominati: “patriarchi”, “alberi monumentali”, “alberi secolari”, “grandi alberi” “monumenti della natura” Alberi quasi tutti protetti e salvaguardati oggi da una legge nazionale e da alcune leggi regionali. Le leggi comunque servono a ben poco se non c’è il rispetto e la consapevolezza dell’esistenza di un patrimonio vegetale, di monumenti naturali, di boschi, di alcune aree del Molise (collina e montagna) da difendere e valorizzare contro molti  pericoli dell’attività umana (incendi, tagli irrazionali, distruzione di specie rare o in via di estinzione, cave, impianti e centrali fortemente inquinanti e spesso inutili, impianti fotovoltaici eolici capannoni ecc…..) riducendo la biodiversità e aumentando la CO2 (anidride carbonica) nell’aria; problemi di cui i mass-media e studi di dettaglio parlano spesso ma che poco interessano la gente “comune” perchè in molte zone del Molise ancora non colpiscono da vicino “l’orticello di ognuno” anche se si sente parlare di diossina, pcb, nitrati, mercurio nell’aria e gravi malattie. In periodi di crisi economica, ed energetica, con l’ inflazione, i mutui, il costo del petrolio  che aumenta parlare di alberi, anidride carbonica, biodiversità interessa ben poco.

Ci rendiamo perfettamente conto che la materia e la terminologia forestale legate alla natura degli alberi e del bosco è un po’ complicata. Termini quali: biodiversità, biocenosi, valutazione di incidenza, habitat prioritari, zone di protezione speciale, rete natura 2000, condizionalità, unità ambientali, unità fitoclimatica, termotipi sintaxa, orno-ostrieti, dendrochirurgia, ipsometria, fitoiatria, fitosociologia, fotobionti, dendrocronologia, ecocertificazione forestale, e sigle varie come FSC, CFC, PFEC, GFS ecc…stanno complicando la vita anche a chi si occupa di alberi e  boschi.

Su questo sito cerchiamo il piu’ possibile di essere comprensibili e semplici con un vocabolario sui termini legati ai boschi e agli alberi più limitato. Dovremo fare un glossario ma forse non lo faremo mai: ne esistono già tanti. Come cita il Capodarca nel suo bellissimo libro “Alberi monumentali delle Marche”: gli alberi come ogni essere vivente seguono il ciclo eterno stabilito della natura crescono, vivono, fanno carriera, si ammalano e muoiono. Termini molto semplici. Si scrive molto, si fanno studi, relazioni, analisi, convegni ecc..  ma forse ancora si fa ben poco per gli alberi e i boschi mentre le frane, le erosioni, il degrado del territorio, il consumo di suolo continuano in molte zone del Molise.

Dei 136 comuni molisani circa 50 hanno una superficie boschiva sotto il 20% del loro territorio ed in particolare nella provincia di Campobasso. Questi boschi non sono poi in condizioni migliori, spesso non c’è rinnovazione, i boschi privati e spesso alcuni sono abbandonati o tagliati irrazionalmente per il solo scopo economico.

cartina_piccolaLa legna è un bene economico primario e le prescrizioni di massima e di polizia forestale pur se utili non sempre hanno un buon effetto visto le irrisorie sanzioni che prevedono. Se la superficie boschiva o meglio i terreni abbandonati all’agricoltura e “marginali” stanno sempre aumentando in Provincia di Isernia, non dobbiamo essere contenti perchè occorre vedere cosa fare con questi suoli polverizzati, frammezzati con vegetazione soggetta più facilmente ad incendi, degrado ,  ecc,

Occorre quindi partire da una azione programmatica come citava il vecchio Piano Forestale Regionale nel 2006:

– tutela e miglioramento del patrimonio forestale del Molise;
– miglioramento degli strumenti di conoscenza, normativi e informativi sulle risorse forestali;
– aumento dei livelli di occupazione e delle occasioni di impiego legati al miglioramento produttivo della filiera bosco – prodotti della selvicoltura.
– miglioramento dell’offerta dei servizi turistico – ricreativi connessi al patrimonio forestale.
– Gestione forestale sostenibile (GFS), che prevede il soddisfacimento dei bisogni delle generazioni attuali senza compromettere quelli delle generazioni future, garantendo la perpetuità dei valori del bosco, con specifiche azioni per il mantenimento ed il miglioramento della biodiversità.
Importanza strategica è attribuita alla migliore conoscenza delle risorse forestali della Regione, che il Piano pone fra i primi obiettivi da realizzare, al fine di avere tutte quelle informazioni che consentiranno di migliorare i futuri strumenti di programmazione.
Valorizzazione dell’aspetto paesaggistico delle aree montane inciderà positivamente sull’offerta dei servizi legati all’uso multiplo del bosco. E’ necessario attivare un insieme di iniziative culturali, sociali e turistiche che aiutino le aree interne ad uscire dall’ isolamento, rafforzando anche un processo di residenzialità a vantaggio sopratutto dei piccoli centri rurali.
– lavori selvicolturali di prevenzione degli incendi e manutenzione dei soprassuoli boschivi;
– ripulitura delle fasce boscate limitrofe alle strade d’accesso e d’attraversamento di superfici boscate;
– creazione di cinture verdi parafuoco ai margini dei boschi limitrofi ai campi coltivati;
– formazione e qualificazione professionale.
– l’allontanamento dei residui vegetali accumulati negli strati superficiali del suolo (resti di lavorazione, ramaglia, piante secche);
– la potatura dei rami secchi e bassi, onde evitare che eventuali incendi radenti possano tramutarsi in incendi di chioma;
– lo sfoltimento dei rimboschimenti troppo densi;
– l’allontanamento dal bosco di piante secche in piedi per evitare la risalita delle fiamme e la permanenza in loco del fuoco …
Quante cose ci sono da fare intorno e dentro un bosco  Forse molte  cose si fanno, ma molte no.  Basta guardarsi un po’ intorno.

 

Dov’è l’albero più antico del mondo?

PietrabbondanteQuando si parla di grandi alberi stimare l’età è sempre difficile, se poi cominciamo a farci  domande del tipo: dov’è l’albero più antico del mondo? Le cose si complicano e la risposta non è semplice. Diremo dov’è l’albero più vecchio del mondo? Che tipo di albero è? Girovagando sulla rete, abbiamo trovato che nel 2008 il prof Leif Kullmann della Umea University in Svezia studiando i cambiamenti climatici che influenzano il limite superiore del bosco ed estraendo de pezzi di legno e archivi naturali in alcuni luoghi della Svezia settentrionale attraverso metodi del radiocarbonio e l’analisi di megafossili è risalito a stabilire un’età intorno ad 8000 anni per un abete rosso. Sorprendentemente, Kullman ha trovato diversi  cloni di abete rosso, che sembrano essere resistiti dalla ultima era glaciale.

Da un punto di vista scientifico, l’aspetto più importante di questi risultati è che l’abete è emigrato in alta quota, fino a ovest in Scandinavia, molto prima di quanto sia stato stimato  con il  metodo standard di analisi dei pollini per esempio. Questo ha causato una discrepanza temporale dell’ordine di 6000-7000 anni, o anche più tra la prima presenza locale di abete desunti dall’analisi del polline e quelle mediante il  radiocarbonio. Questi studi sui megafossili rappresentano un modo diverso per la conoscenza della storia della vegetazione. Prima di questi studi, la convinzione generale era che gli abeti sopravvissuti all’ultima era glaciale erano molto più a est, in Russia e si diffusero  gradualmente verso ovest  in Svezia e Norvegia, 2000-3000 anni fa, o anche più tardi. Con gli studi sui megafossili invece e curiosamente, i cloni più antichi di abete rosso (“OLD TJIKKO” e “OLD RASMUS”), sono entrambi datati circa 9550 anni  Questi potrebbero essere i più antichi abeti rossi che vivono nel mondo, anche se attualmente vivono come steli e rami.

L’esatta posizione di questi alberi non viene rivelata al pubblico, dal momento che calpestando una zona vasta intorno alle abeti sarebbe certamente a rischio la loro sopravvivenza.  Se alcuni di questi abeti rossi sono gli alberi più antichi del mondo è, naturalmente, frutto di ricerca  che può essere messa subito discussione, senza la prospettiva di trovare una risposta definitiva.

Noi di molisealberi abbiamo capito che  alcuni steli e rami di abeti rossi presenti in Scandinavia forse sono gli alberi più vecchi del mondo (8000-9000 anni)  ma poi non ne siamo tanti sicuri e la ricerca anche sulla rete continua. Sta di fatto immaginare che ci sono alberi di 8000-9000 anni fa ancora “in vita”.

Il Senso degli Alberi

A memoria di Enzo Biagi (tratto da Alberi e uomini di Michela Ivancich).

Rami di nottePiangono gli alberi? Si chiedeva Enzo Biagi in Quante Storie. E parafrasando ci si può chiedere qual’è il senso degli alberi? Il nostro mondo è legato all’immagine, all’apparire al vedere, ma quanti di noi hanno mai annusato il delicato fiore del larice e quanti di noi hanno mai assaggiato la giovane pigna del pino cembro, o accarezzato i nuovi germogli del larice?

Scrive Michela Ivancich nel suo libro “Alberi e Uomini”

Pratogentile1000“Gli alberi e i boschi ci parlano, e non si tratta solo delle voci degli alberi, ma di note diverse in luoghi diversi, sotto chiome diverse, in momenti diversi del giorno e dell’anno. Cupi risuonano  spesso gli abeti, ma sanno anche sospirare adagio, quando la brezza tocca solo le corde delle cime, mentre più lievi sussurrano larici e faggi alla carezza del vento; tintinnano i pioppi, tremando e scricchiolano a volte i tronchi ondeggiando. Crepitano le foglie dei castagni, frusciano quelle dei faggi; tonfano pigne e castagne. Ovattata arriva la loro voce quando l’inverno ammanta le cime, più secca, quasi un fischio, quando l’autunno prepara le selve al sonno. E spandono profumi: di umido e buio dove il bosco è più fitto di frassini e ontani, di sole e di resina, pini isolati al calore delle altezze, di frescura dissetante l’ombra che piove dai faggi, di estate e di vento il profumo inconfondibile dei pini. Sono profumati i tigli turriti, i ruvidi carpini, lisci e  grigi i giovani faggi; sono freddi e caldi, bagnati dalla pioggia e arsi dal sole, palpitano sotto la corteccia, tremano al rombare della tempesta”.  

 

Hermann Hesse – La Natura ci parla

Abeti SopraniGli alberi sono sempre stati per me i più persuasivi predicatori. Io li adoro quando stanno in popolazioni e famiglie, nei boschi e nei boschetti. E ancora di più li adoro quando stanno isolati. Sono come uomini solitari. Non come eremiti che se la sono svignata per qualche debolezza, ma come grandi uomini soli, come Beethoven e Nietzsche. Tra le loro fronde stormisce il vento, le loro radici riposano nell’infinito; ma essi non vi si smarriscono, bensì mirano, con tutte le loro forze vitali, a un’unica cosa: realizzare la legge che in loro stessi è insita, costruire la propria forma, rappresentare se stessi. Nulla è più sacro, nulla è più esemplare di un albero bello e robusto. Quando un albero è stato segato ed espone al sole la sua nuda ferita mortale, dalla chiara sezione del suo tronco e lapide funebre si può leggere tutta la sua storia: negli anelli corrispondenti agli anni e nelle escrescenze stanno fedelmente scritti tutta la lotta, tutta la sofferenza, tutti i malanni, tutta la felicità e la prosperità, anni stentati e anni rigogliosi, assalti sostenuti, tempeste superate. E ogni contadinello sa che il legno più duro e prezioso ha gli anelli più stretti, che sulla cima delle montagne, nel pericolo incessante, crescono i tronchi più indistruttibili, più robusti, più perfetti.
Gli alberi sono santuari. Chi sa parlare con loro, chi sa ascoltarli, conosce la verità. Essi non predicano dottrine o ricette, predicano, incuranti del singolo, la legge primordiale della vita. Un albero dice: in me è nascosto un seme, una scintilla, un’idea, io sono vita della vita perenne. Unico è l’esperimento e il disegno che l’eterna madre con me ha tentato, unica è la mia forma e la venatura della mia epidermide, unica la più piccola screziatura di foglie delle mie fronde e la più piccola cicatrice della mia corteccia. Il mio compito è – nella spiccata unicità – dare forma ed evidenza all’eterno.
alberoUn albero dice: la mia forza è la fiducia. Io non so niente dei miei padri, non so niente degli innumerevoli figli che ogni anno nascono in me. Vivo fino al termine il segreto del mio seme, non mi preoccupo d’altro. Confido che Dio è in me. Confido che il mio compito è sacro. Di questa fiducia vivo.
Quando siamo tristi, e non possiamo più sopportare la vita, un albero può dirci: sta calmo! Sta calmo! guardami! Vivere non è facile, vivere non è difficile. Questi sono pensieri puerili. Lascia parlare Dio in te e questi pensieri taceranno. Tu sei angosciato perché il tuo cammino ti porta via dalla madre e dalla casa. Ma ogni passo e ogni giorno ti portano nuovamente incontro alla madre. La tua casa non è in questo o quel posto. La tua casa è dentro di te o in nessun luogo.
La nostalgia del peregrinare mi spezza il cuore quando ascolto gli alberi che a sera mormorano al vento. Se si ascoltano con raccoglimento e a lungo, anche la nostalgia del peregrinare rivela la sua quintessenza e il suo senso. Non è, come sembra, un voler fuggire al dolore, è desiderio della propria casa, del ricordo della madre, di nuovi simboli di vita. Conduce a casa. Ogni strada porta a casa, ogni passo è nascita, ogni passo è morte, ogni tomba è madre.
Così mormora il vento a sera, quando siamo angosciati dai nostri stessi pensieri puerili. Gli alberi hanno pensieri di lunga durata, di lungo respiro e tranquilli, come hanno una vita più lunga di noi. Sono più saggi di noi, finché non li ascoltiamo. Ma quando abbiamo imparato ad ascoltare gli alberi, allora proprio la brevità, rapidità e fretta puerile dei nostri pensieri acquista una letizia senza pari. Chi ha imparato ad ascoltare gli alberi non brama più di essere un albero. Brama di essere quello che è. Questa è la propria casa. Questa è la felicità.
Hermann Hesse – La Natura ci parla – Oscar Mondadori. Arnoldo Mondadori. Milano.1990.

Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani

Art. 7 della legge nazionale 14 Gennaio 2013 n. 10

Disposizioni per la tutela e la salvaguardia degli alberi monumentali, dei filari e delle alberate di particolare pregio paesaggistico, naturalistico, monumentale, storico e culturale

1. Agli effetti della presente legge e di ogni altra normativa in vigore nel territorio della Repubblica, per «albero monumentale» si intendono:

a) l’albero ad alto fusto isolato o facente parte di formazioni boschive naturali o artificiali ovunque ubicate ovvero l’albero secolare tipico, che possono essere considerati come rari esempi di maestosita’ e longevita’, per eta’ o dimensioni, o di particolare pregio naturalistico, per rarita’ botanica e peculiarita’ della specie, ovvero che recano un preciso riferimento ad eventi o memorie rilevanti dal  punto di vista storico, culturale, documentario o delle
tradizioni locali;
b) i filari e le alberate di particolare pregio paesaggistico, monumentale, storico e culturale, ivi compresi quelli inseriti nei centri urbani;
c) gli alberi ad alto fusto inseriti in particolari complessi architettonici di importanza storica e culturale, quali ad esempio ville, monasteri, chiese, orti botanici e residenze storiche private.

2. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro per i beni e le attivita’ culturali ed il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive
modificazioni, sono stabiliti i principi e i criteri direttivi per il censimento degli alberi monumentali ad opera dei comuni e per la redazione ed il periodico aggiornamento da parte delle regioni e dei comuni degli elenchi di cui al comma 3, ed e’ istituito l’elenco degli alberi monumentali d’Italia alla cui gestione provvede il Corpo forestale dello Stato. Dell’avvenuto inserimento di un albero nell’elenco e’ data pubblicita’ mediante l’albo pretorio, con la specificazione della localita’ nella quale esso sorge, affinche’ chiunque vi abbia interesse possa ricorrere avverso l’inserimento. L’elenco degli alberi monumentali d’Italia e’ aggiornato periodicamente ed e’ messo a disposizione, tramite sito internet, delle amministrazioni pubbliche e della collettivita’.

3. Entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, le regioni recepiscono la definizione di albero monumentale di cui al comma 1, effettuano la raccolta dei dati risultanti dal censimento operato dai comuni e, sulla base degli elenchi comunali, redigono gli elenchi regionali e li trasmettono al Corpo forestale dello Stato. L’inottemperanza o la persistente inerzia delle regioni comporta, previa diffida ad adempiere entro un determinato termine, l’attivazione dei poteri sostitutivi da parte del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali.

4. Salvo che il fatto costituisca reato, per l’abbattimento o il danneggiamento di alberi monumentali si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 5.000 a euro 100.000. Sono fatti salvi gli abbattimenti, le modifiche della chioma e dell’apparato radicale effettuati per casi motivati e improcrastinabili, dietro specifica autorizzazione comunale, previo parere obbligatorio e vincolante del Corpo forestale dello Stato.

5. Per l’attuazione del presente articolo e’ autorizzata la spesa di 2 milioni di euro per l’anno 2013 e di 1 milione di euro per l’anno 2014. Al relativo onere si provvede mediante corrispondente riduzione della dotazione del Fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all’articolo 10, comma 5, del
decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307.

Specie forestali tipiche della zona del Lauretum

La flora che vegeta nelle fasce basali delle nostra colline e montagne è caratterizzata da aspetti morfologici e processi fisiologici particolari. In ambienti caldi, infatti, vegetano le piante sempreverdi tipiche della macchia mediterranea. I caratteri di queste specie sono: foglie molto ispessite, semipersistenti o persistenti sugli alberi, ritmi di vegetazione diversi rispetto alle altre specie (in genere hanno due interruzioni del ciclo vegetativo: una in inverno e l’altra d’estate). Tutti questi particolari non sono altro che adattamenti che le specie hanno messo in pratica per resistere agli ambienti, spesso inospitali, della zona mediterranea, dove le temperature sono molto elevate durante la stagione estiva e l’umidità è pressoché assente. La macchia mediterranea e le altre foreste di sclerofille sono costituite in prevalenza da arbusti (anche le specie arboree assumono spesso la forma arbustiva) e da molti altri arbusti a foglie piccole e rigide, oltre che da diverse specie aromatiche. Anche le forme delle foglie sono da imputare ai climi, in quanto le foglie filiformi riducono la traspirazione e quindi la perdita di acqua da parte della pianta.

In questa sede non verranno trattati tutti i numerosi arbusti che compongono la macchia mediterranea, ma solamente le arboree di maggiore diffusione ed importanza, esse sono: le querce a foglie persistenti (leccio e sughera) e i pini mediterranei (pino domestico, marittimo e d’Aleppo).

LE QUERCE SEMPREVERDI

IL LECCIO (Quercus ilex L.)

Descrizione botanica: Il leccio è un albero alto fino a 25 m e con diametri massimi superiori ad 1 m, anche se, come sopra accennato, spesso nelle formazioni mediterranee assume l’aspetto arbustivo. Negli ambienti ottimali può sopravvivere fino ai 1000 anni. Il tronco è, generalmente, diritto ma non molto alto e su di esso si regge una chioma arrotondata, di colore verde scuro, molto densa di fogliame. La corteccia del leccio a maturità si presenta di colore grigio-rossastra, sottile, screpolata in piccole placche.

Le foglie sono semplici e alterne, spesse e coriacee. Il leccio presenta dimorfismo fogliare tra le piante giovani e quelle adulte. Le foglie degli ultimi getti sono ovali, con margine seghettato-spinoso e quasi glabre; quelle più vecchie sono lanceolate, a margine intero, pubescenti nella pagina inferiore. Il colore del fogliame nella pagina superiore è sempre verde scuro lucido, mentre nell’inferiore biancastro. Le gemme sono piccole (1-2 mm), arrotondate, color fulvo e vellutate.

I fiori maschili sono riuniti in amenti cilindrici, lunghi 4-7 cm, pelosi, di colore giallo chiaro; quelli femminili sono in gruppi di 3-4 riuniti in spighe di colore verde-grigio. Il frutto è una ghianda (in genere sono riunite in gruppi di 2-3) di circa 2 cm, portata su un picciolo di 1 cm, ricoperta da una cupola per circa metà lunghezza. La ghianda è di colore castano-scuro con striature longitudinali ancora più scure. Il leccio forma boschi molto densi, con forte copertura: sotto le leccete più fitte raramente riescono a sopravvivere altre specie arboree o arbustive.

Areale italiano: essendo una pianta tipica degli ambienti mediterranei non è diffusa al nord, ma si trova dalla Valle Padana verso il sud, più abbondante sul versante tirrenico. Spontaneamente si trova nella zona del Lauretum, ma può spingersi anche a quote maggiori (Castanetum), purché non si verifichino temperature troppo basse, neanche durante il riposo vegetativo, in quanto la pianta non sopporta temperature inferiori agli 8°C.

Esigenze: Si adatta bene a qualsiasi tipo di terreno, ma evita quelli troppo argillosi, e poco evoluti (non è una specie pioniera, cioè una pianta che colonizza per prima i terreni nudi, come invece possono fare i pini). E’ esigente in fatto di temperatura, come detto soffre molto il freddo anche se non è in attività vegetativa, mentre sopporta molto bene l’aridità, è sensibile ai ristagni di umidità nel terreno. Non richiede molta illuminazione: da giovane predilige la copertura superiore mentre da adulto sa resistere all’ombreggiamento laterale. E’ molto meno esigente della sughera: resiste meglio al freddo, all’aridità, alle escursioni termiche, alla scarsa illuminazione, a qualsiasi tipo di terreno.

Usi: il legno di leccio è duro, pesante, compatto, difficile da lavorare e da far stagionare. Ha alburno e durame ben distinti: il primo di colore chiaro e il secondo rosso-bruno. Può essere utilizzato solo per piccoli attrezzi, manici di vario tipo, lavori di carradore. Il legname è ottimo come legna da ardere e per fare il carbone.

SUGHERA (Quercus suber L.)

La sughera è molto simile al leccio: è però meno longevo, soprattutto se utilizzato per prelevare il sughero, ha un aspetto molto più irregolare (fusto contorto, chioma asimmetrica). Le foglie sono persistenti, provviste di spine lungo il margine che si formano con il passare degli anni. La sugherà è molto esigente di calore (non sopporta temperature inferiori ai 5°C), di temperatura, di umidità, di luminosità. Esige terreni di origine silicea, poveri di calcio, a reazione acida. In Italia è presente in Sardegna e lungo la costa Toscana fino alla Calabria. Il principale prodotto della specie è il sughero, utilizzato per tappi di bottiglie, pannelli isolanti, pavimentazioni, galleggianti, suole di scarpe.

Il primo prelievo di sughero viene effettuato intorno ai 25-30 anni, questa prima operazione viene detta demaschiatura e permette di eliminare il sugherone o sughero maschio. Tale operazione è necessaria per permettere alla pianta di continuare a produrre sughero, altrimenti nel giro di pochi anni l’attività di produzione si esaurirebbe. Negli anni seguenti il sughero femmina o sughero gentile viene prelevato ogni 9-10 anni. Questo prelievo consiste nell’asportare la parte più superficiale di corteccia (fino ad un massimo di 7 cm) con mezzi manuali, senza danneggiare i tessuti vivi della pianta, che è così capace di rigenerare questo strato di sughero. Nelle sugherete è anche possibile esercitare il pascolo di suini, capre, pecore in quanto le ghiande sono apprezzate dagli animali domestici e selvatici.

I PINI MEDITERRANEI

Sono definiti “Pini mediterranei” quelle specie di pino che vegetano lungo il mediterraneo, nella fascia basale, con trasgressioni più o meno accentuate nelle zone superiori. Le tre specie appartenenti a questo raggruppamento sono: pino marittimo, pino domestico e pino d’Aleppo, nell’insieme ricoprono in Italia 123.300 ettari (come riportato dall’Inventario Forestale Nazionale).

PINO MARITTIMO (Pinus pinaster Ait.)

Questa specie ha un aspetto maestoso, dato dalle ragguardevoli dimensioni che può raggiungere (40 m di altezza e 1 m di diametro) e dal suo portamento (fusto diritto o leggermente arcuato, privo di rami per molti metri, chioma mai appiattita, di colore verde scuro). La corteccia è rossa e profondamente fessurata in placche. I rami principali sono robusti e disposti in palchi. Gli aghi, riuniti in fascetti di 2, sono molto lunghi (fino a 20 cm) e rigidi (larghi oltre 2 cm), di colore verde scuro, appuntiti, concentrati nella parte terminale del rametto, al quale sono legati tramite una guaina, di colore grigio, lunga anche 2,5 cm.

I fiori maschili sono gialli e posizionati alla base dei rametti, quelli femminili sono rossi raggruppati attorno alla gemma terminale. I coni sono riuniti in gruppi di 2, o più, e permangono sul ramo diversi anni (maturano in due anni, ma poi rimango appesi), sono lunghi e privi di peduncolo. Gemme grandi, appuntite, bruno-rosse, non resinose.

Facilmente riconoscibile dagli altri pini mediterranei per la corteccia rossastra, gli aghi lunghi e rigidi, la guaina fogliare lunga, le gemme grosse, lunghe e non resinose. E’ una specie spontanea lungo il Tirreno, poi diffusa nelle restanti aree d’Italia. Non è presente al sud. Nonostante il suo nome, non vegeta sulle coste ma preferisce la collina e la media montagna, si trova tra il Lauretum e il Castanetum caldo (tra i pini mediterranei è quello che si spinge più in alto). Pochissimo esigente in fatto di terreni, sopravvive ovunque, dai suoli silicei a quelli calcarei. Ha bisogno di molta umidità sia atmosferica che edafica, mentre non esige temperature troppo elevate (dimostrato dalla sua trasgressione verso l’alto). Specie eliofila.

Questo pino viene usato per ricoprire suoli nudi e poveri, in quanto pianta che dissemina abbondantemente, cresce velocemente nei primi anni, ha poche esigenze di terreni e sopporta la luce. Tutte queste caratteristiche, tipiche delle specie pioniere, lo rendono adatto a colonizzare terreni poveri. La specie veniva in passato utilizzata per l’estrazione della resina, più abbondante che negli altri pini; oggi questa pratica è quasi abbandonata.

Il legno è pesante, con durame rossiccio e alburno giallastro, con fibre grossolane. Non è adatto ai lavori di falegnameria fine, ma viene utilizzato per pali telegrafici, traverse e per la produzione di carta. Può essere impiegato anche come combustibile.

PINO DOMESTICO (Pinus pinea L.)

E’ il pino dall’aspetto più caratteristico, da adulto infatti assume una forma così detta ad ombrello, con altezze di 30 m. L’albero che da giovane ha una chioma globosa, con il passare degli anni perde i rami bassi e quelli alti si dispongono a raggiera e sorreggono una chioma che è diventata appiattita.

Gli aghi sono simili a quelli del pino marittimo ma leggermente più corti e contorti, di colore verde chiaro. Gli strobili sono lunghi fino a 15 cm e larghi 10, bruni, ricoperti di resina, brevemente peduncolati. La maturazione dei coni avviene in tre anni e contengono dei semi eduli: i classici pinoli.

Probabilmente in Italia il pino domestico non è spontaneo ma è stato importato molti secoli or sono, esso si è naturalizzato nel nostro territorio tanto che risulta difficile definire l’areale con precisione. Vegeta nel Lauretum, e in casi particolari, anche nel Castanetum caldo. Poco esigente di terreni (come il marittimo), rifugge quelli troppo calcarei, compatti e con ristagni di umidità. Sopporta le alte temperature e l’aridità. Ha bisogno di molta luce per la sua crescita, che è molto rapida. Il suo uso primario è per la raccolta dei pinoli, impiegati nell’industria dolciaria e culinaria; i coni vengono raccolti da ottobre a fine inverno e tenuti a lungo in mucchi; in primavera sono distesi al sole per aprirsi e lasciare uscire i semi.

PINO D’ALEPPO (Pinus halepensis Mill.)

Questo pino è tipico della costa dove cresce anche sui dirupi scoscesi e rocciosi. E’ un albero di media altezza (intorno ai 20 m), dall’aspetto irregolare sia nel fusto (spesso tortuoso) che nella chioma (asimmetrica con foglie riunite nelle sommità dei rami). La corteccia, a maturità rossiccia, si fessura longitudinalmente in placche. Gli aghi sono riuniti in gruppi di 2, brevi rispetto agli altri pini mediterranei (intorno ai 10 cm), sottili, di colore verde chiaro, con guaina fogliare grigia lunga 8 mm circa.

Gli strobili, che maturano in due anni, sono tenuti sui rami per tre anni, pertanto negli stessi rami sono presenti coni di 1, 2 e 3 anni. Essi sono solitari o a due, di forma ovato-conica, bruno-rossastri, lunghi circa quanto gli aghi, portati su un breve peduncolo. In Italia è presente lungo le coste, dove vegeta nella zona del Lauretum sottozone calda e media. Affatto esigente verso i terreni, richiede invece molto calore e luce per il suo sviluppo. Sopporta l’aridità.

Specie a rapido accrescimento, il suo legname, duro e di media pesantezza, con durame ed alburno distinti, viene utilizzato per le costruzioni navali e la falegnameria grossolana. Discreto combustibile.