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Isernia – Il Pinus Pinea delle Piane

Specie: Pinus Pinea L.
Nome Comune: Pino Domestico
Circonferenza (mt): 3.9
Stato Vegetativo: buono
Altezza (mt): 25-28
Età (anni): 60-80

Pino domestico isolato alle Piane di Isernia, o meglio in località Tremolicci, facilmente individuabile. Sono rimasti pochi esemplari nelle vicinanze. In particolare lungo le principali vie e su stradine di campagna. La chioma ombrelliforme, il tronco eretto con i rami che dal basso salgono verso l’alto fino quasi al culmine, determinano una bellezza inconfondibile. La circonferenza del tronco, la corteccia color ruggine, la tipica forma e l’elevata altezza, rendono suggestiva questa specie. Forse è l’albero più fotografato ad Isernia, escludendo quelli della Villa comunale.

In effetti nel centro urbano, tranne qualche eccezione, grandi spazi verdi e alberi di un certo pregio non li abbiamo visti. Anzi ci sono alcuni esemplari di sempreverdi lungo alcune strade cittadine che dovrebbero essere meglio potati e in alcuni casi tagliati in quanto quasi completamente secchi. Questi hanno forma quasi unica a “cilindro” e senza o con poca chioma e forse instabili.

Di foto di alberi e brutture di tagli agli alberi ce ne sono un’infinità sulla rete; basta scrivere “capitozzatura di alberi”. Si vedono immagini che fanno mettere le mani nelle “chiome” dei capelli più volte almeno per coloro che si occupano di arboricoltura e per gli addetti a lavori.

Isernia Pinus Pinea in località le Piane
Isernia Pinus Pinea in località le Piane

 

Isernia Pinus Pinea in località le Piane  un po' di anni fà
Isernia Pinus Pinea in località le Piane un po’ di anni fa


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Casalborgone “la rul verda” un Quercus Crenata

Siamo stati in Piemonte nel Bosco del Vaj e nel territorio di Castagneto Po’ e Casalborgone. Abbiamo preso un po’ di materiale relativo agli alberi e ai boschi di questi luoghi e scoperto che tutto si muove intorno ad un Quercus Crenata. Un po’ come “giriamo” attorno un albero.

Esiste una Associazione culturale «Attorno alla Ro Verda» che da anni si batte per la valorizzazione e la tutela di un albero monumentale, la rovere verde o cerrosughera (Quercus crenata) di Casalborgone, localmente nota come la “Rul verda” (della quale Tiziano Fratus ha parlato in vari libri, l’ultimo dei quali è “La linfa nelle vene”, anno 2012) e dell’intera area del Bosc Grand, e del Bosco del Vaj.

Siamo nella maggiore area boscata della Collina di Torino che si sviluppa intorno al Bric Turniola. Dal lavoro che da anni vede impegnati molti appassionati, c’è il sito del Bosc Grand dove è stata scelta una poesia di Tiziano Fratus, dal titolo Bagolaro, pubblicata nel 2010 in Nuova Poesia Creaturale (Edizioni della Manifattura Torino Poesia) e poi ripubblicata nella selezione antologica: “Gli scorpioni delle Langhe. Poesie con radici” (2012, La vita felice, Milano). .

Si ringrazia Florence Baptiste che ci ha fornito notizie e alcune foto del Quercus crenata dal sito www.boscgrand.eu e Tiziano Fratus a cui si rimanda all’ articolo del 2012.

Rul Verda di casalborgone
Rul Verda di Casalborgone
Area SIC
Area SIC Cartografia e Tabellone d’Insieme

 

Albero monumentale: Pioppo a Vallese di Oppeano (VR)

Pioppo a Vallese di Oppeano (VR) Segnalato da leonino – Buttapietra VR

Nome comune dell’albero: Pioppo
Circonferenza (cm): 580 cm
Tipo: Albero singolo
Numero esemplari: 1
L’albero ha un solo fusto

Comune di: Vallese di Oppeano
Località: Oppeano
Indirizzo: via Spinetta
Di chi é l’albero monumentale: pubblico

Ambiente Urbano: verde pubblico
La pianta é segnalata per: Forma o portamento particolari, Valore storico-culturale, Valore paesaggistico
Descrizione della motivazione: Parlando con degli anziani del paese mi hanno detto che è stato piantato ai tempi dell’occupazione dei Tedeschi durante la prima guerra mondiale.

 

Pioppo a Vallese di Oppeano (VR)

Il limite superiore del bosco (prima parte)

Chi va in montagna conosce molto bene che esiste una zona molto marcata che i botanici e gli studiosi hanno chiamato “Limite superiore del Bosco”. Questo limite è molto evidente, rappresentando una caratteristica del paesaggio montano.

limitesuperioredelboscoIn Molise, sul Matese ed in particolare sulle Mainarde-Meta “Il limite del bosco” è abbastanza evidente. Cerchiamo di capire come mai gli alberi ad una certa altitudine non ci sono più. Premettiamo che non esiste una spiegazione unica e convincente per giustificare il limite del bosco. Sicuramente sono molte le cause che possono influenzare lo sviluppo degli alberi in una fascia di transizione di circa 200-300 metri.

Salendo all’interno di un bosco possiamo accorgerci del suo limite vedendo alberi più distanziati, a volte meno cresciuti, più distorti con individui sparsi e arbusti bassi e foglie più piccole. Possiamo avere già due limiti: quelli del bosco chiuso e quello degli alberi isolati e sparsi. Il problema sta nel fatto che il limite di bosco non coincide quasi mai con il limite delle fasce di vegetazione.

Nel nostro Appennino il limite di bosco comprende sia una fascia montana dove ci sono ancora alberi (faggio e conifere in particolare) che subalpina o boreale con arbusti e piccoli alberelli sparsi. Per meglio localizzare il limite del bosco per le due grandi catene montuose del Molise (Matese e Mainarde-Meta) si può stimare in media 1650-1800 mt. Sono numeri da prendere con “le pinze” perchè per ogni montagna esso varia in funzione del: tipo di vegetazione, esposizione, latitudine, temperatura del suolo e dell’aria, impatto antropico (pascoli), durata stagione vegetativa, rocciosità, competizione tra le specie vegetali, periodo di presenza di neve, gelate tardive, valanghe, mancanza d’acqua, vento e condizioni microclimatiche particolari. A questi da aggiungere i grandi fenomeni del riscaldamento globale e dell’incremento dell’anidride carbonica nell’aria. Tutti questi fattori illustrati giocano, chi in maniera più marcata chi in maniera meno e poco significativa, sul limite della crescita degli alberi e del bosco.

Sicuramente il “limite del bosco” non è una linea rettilinea che spesso si vede a distanza sulle nostre montagne. Il clima in corso permette alla foresta, seppure lentamente, di riconquistare il terreno che aveva perduto, ma non sempre. Unico dato certo è che nella zona di transizione (Ecotono) gli alberi sono più sensibili alle variazioni climatiche ed è opportuno prima di tutto andare a vedere per esempio cosa accade nelle aree alle singole piante di faggio sul Matese e sulle Mainarde-Meta e a tutte le quote sopra i 1650-1700 mtsm delle montagne del Molise. Ci sono comunque alcuni dati, occorrono tempi e lunghe osservazioni per lo studio di queste comunità vegetali.

In un successivo articolo cercheremo di esaminare i singoli meccanismi e gli elementi che fanno variare il limite del bosco, ma non è detto che poi sull’Appennino sia variato o è in corso di variazione in modo rapido: la dinamica è abbastanza lenta (almeno 30-40 anni). Occorrerebbero studi più approfonditi e di dettaglio e molte cartografie e immagini satellitari a distanza di anni da poter confrontare, come si sta facendo adesso per esempio per i ghiacciai.

Limite superiore del Bosco

Guardiaregia – I tre Frati (I tre faggi)

Specie: Fagus Sylvatica L.
Nome Comune: I Tre Faggi
Circonferenza (mt): 5.30 – 4.50 – 4.20
Stato Vegetativo: buono
Altezza (mt): 28-32 stimata
Età (anni): 250-400 circa
Quota Slm (mt): 1130

Chi non conosce i tre frati di Guardiaregia nella zona dello splendido Monte Mutria e della riserva regionale gestita dal WWF? Speriamo pochi. Qui ci sono i tre spettacolari faggi, anche se nelle vicinanze se ne vedono di altri di indubbia bellezza. Perchè sono stati chiamati tre frati? Come vuole la leggenda raccontata da Nicola Merola responsabile dell’Oasi WWF: “Tre fratelli per furto di bestiame, furono impiccati sul posto proprio sugli alberi di questa località. I faggi, da allora denominati dei “Tre Frati”, non furono più toccati nei secoli a venire, lasciati lì apposta a futura memoria del tragico ed “esemplare” episodio. Inoltre, leggenda nella leggenda, ancor oggi nelle sere di tempesta, il rumoroso turbinio del vento e della neve sui possenti rami, sembrano quasi ricordare le voci urlanti dei tre fratelli appena catturati e di lì a breve impiccati.” I faggi “un po’ maledetti” non essendo più stati tagliati possono oggi essere visti nella loro bellezza.

Il piu grande dei tre frati

Il primo, quello più vecchio è un vero e proprio patriarca della natura con un’età stimata in 400 anni circa. Le sue lunghe radici superficiali ricoperte di muschio sembrano come numerose zampe di gallina. Gli altri esemplari dimostrano un età tra i 250 ed i 300 anni. Chiome slanciate branche e rami altissimi. Tra i faggi più conosciuti in Regione i tre frati meritano comunque una visita e una abbraccio del tronco. Bisogna essere almeno in quattro, per quello più grande che si trova più a valle rispetto ai primi due.

Sono tutti e tre vicini, facilmente raggiungibili da una stradina che parte in vicinanza della diga di Arcichiaro da 891 mslm in località San Nicola per fonte Macchio. La strada è denominata comunale Cusano Mutri. Ci si arriva dopo circa 1,30 ore di cammino a quota 1130 mslm e si può poi scendere facendo anche un giro ad anello. Meglio farsi accompagnare comunque da qualcuno se non si conosce bene il posto. I faggi sono ubicati in una piccola conca dove c’é anche un quarto che per grandezza e altezza promette bene. Hanno perso dei rami in basso ma in alto le chiome sono veramente molto belle e regolari.

Uno dei tre Frati

Anche se, come al solito, le foto non rendono l’idea della maestosità dei “frati”, consigliamo di arrivare in questi luoghi percorrendo buona parte il sentiero nella faggeta, non solo per guardarli, ma fermarsi ed osservarli un po’ più a lungo. Respiriamo quindi sotto le imponenti fronde “un’aria che sa di magia e di antiche leggende” come affermato da Nicola Merola responsabile dell’Oasi. Si ringrazia per le informazioni fornite il responsabile dell’Oasi WWF-Riserva regionale di Guardiaregia-Campochiaro.


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Santa Gertrude in Alto Adige – I larici millenari

Larici di San Geltrude (Trentino Alto Adige)
Specie: Larix decidua.
Età stimata: meno di mille anni

Ci piace la parola “ultimo”, perchè pensiamo di poter andare nella Val d’Ultimo. Questa Valle esiste davvero. Si trova vicino il parco Nazionale dello Stelvio in zona contornata dalle cime dell’Ortles. Accanto al Maso Ausserlahner in località St. Gertraud (Santa Geltrude) a Ulten (Ultimo), crescono i tre Larici che per quasi un secolo sono stati considerati gli alberi più antichi forse del Nord Italia, con oltre 2200 anni. Recenti analisi dendrocronologiche ne hanno dimezzata l’età (1000 anni). Restano comunque un riferimento essenziale del patrimonio arboreo italiano. Noi abbiamo allegato la foto che ci ha mandato Guido Leonardi che ringraziamo e che gestisce un sito ricco di informazioni su quel territorio www.ultental-valdultimo.com e che inizia dal comune di Lana e le località San Pancrazio, Santa Valburga, Pracupola, San Nicolò e Santa Gertrude dove ci sono i Larici. Posti incantevoli per escursionismo, passeggiate, alpinismo ecc…

Poi c’è sempre una descrizione dettagliata sempre di l’Homo Radix (Tiziano Fratus) su questi Larici. Noi di molisealberi quando leggiamo di larici di altezze sopra i 30 mt o quasi e circonferenze sopra gli 8 metri, non possiamo far altro che mostrare rispetto per queste creature viventi. Poche parole, molte emozioni quando gli alberi sanno parlare da soli. Ecco una immagine dei Larici.

I Larici di Val d'Ultimo
I Larici di Val d’Ultimo

Si Ringrazia per la foto: Guido Leonardi
Link: www.ultental-valdultimo.com

Larici millenari della val d'Ultimo
Larici millenari della val d’Ultimo

Fonte: Natura Mediterraneo

 

Frosolone – il Tiglio di Santa Maria delle Grazie

Specie: Tilius Cordata L.
Nome Comune: Tiglio
Circonferenza (mt): 3.70
Età (anni): 100 presumibile

Nella lista degli alberi monumentali della Regione Molise non poteva mancare questo grande Tiglio. Il tiglio é un albero longevo che può vivere fino a 200-250 anni. L’albero si trova di fronte la Chiesa di Santa Maria delle Grazie, lungo la strada per il cimitero. Ha un tronco robusto e una chioma molto larga. Nelle giornate calde è possibile rinfrescarsi sotto di esso. Vale la pena una sosta anche per visitare la Chiesa (in passato c’era anche un convento dei Cappuccini).

Questo Tiglio può rappresentare il monumento naturale “tipo” per la zona di Frosolone e dintorni assieme al maestoso faggio del Pedalone, nel bosco della Grisciata e anche una grande quercia in località San Pietro in Valle. Nella patria dei coltelli per fortuna non abbiamo notato evidenti incisioni sulla corteccia. Il tiglio però non sta tanto bene, è un po’ instabile, il terreno forse non lo regge e la “vecchiaia” comincia a farsi sentire.

Tiglio di Frosolone
Tiglio di Frosolone


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Isernia – La Romana una analisi dei valori ambientali e vegetazionali (prima parte)

Molti anni fa noi dell’Associazione Ophrys effettuammo uno studio dal Titolo “Ipotesi di un diverso utilizzo di un’area del Torrente Vandra”. L’area interessata allo studio di circa 300 ettari era la zona della Romana – Feudo. Quest’area, ricadente in gran parte nel territorio del Comune di Isernia, ha sempre avuto una valenza naturalistica, paesaggistica, storica e archeologica anche per le testimonianze delle popolazioni italiche che l’hanno abitata.

La Romana si trova nel settore Nord occidentale del Comune di Isernia distante a circa 7 km dal centro abitato. Tale area si presenta come uno spartiacque caratterizzato nel versante NO dalla valle fluviale del Torrente Vandra, dal tipico profilo a V e dai versanti ripidi e scoscesi, mentre il versante SE si delinea con pendenze meno accentuate ad un paesaggio che si apre nella piana di Isernia. In ordine di successione da Nord, si individuano dapprima l’emergenza rocciosa del Macerone (787 mslm), quindi morbidi profili di Colle Martino (810 mslm) e per ultimo la possente rupe, ammantata di vegetazione, de La Romana (882 mslm) ove si riscontrano le acclività maggiori.

Nel territorio del Comune di Isernia la zona della Romana presenta ancora aspetti che dal punto di vista vegetazionale sono di interessanti per la presenza di numerose specie. Si passa in un limitato spazio in diverse fasce vegetazionali dai 300 mslm del Torrente Vandra agli 880 mslm di Monte La Romana. (anche se dalla cartografia non è indicato il Monte). Ciò permette, per chi si occupa di botanica, di scoprire, classificare oltre che fotografare molti fiori, arbusti e alberi in una superficie limitata di circa 80 ettari, che si riducono se si considerano le zone inaccessibili per le forti acclività. Attualmente La Romana fa parte del sito di importanza comunitaria con codice IT7212130 denominato Bosco La Difesa – Colle Lucina – La Romana.

 

 

Isernia - Cartografia della zona della Romana
Isernia – Cartografia della zona della Romana

 

i confini dell'area SIC della Romana
I confini dell’area SIC della Romana

La vicinanza delle curve di livello nella cartografia indica le forti pendenze dell’area

Isernia Area SIC la Romana
Isernia Area SIC la Romana

 

L’Area MAB di Collemeluccio (quarta parte)

Riserva MAB Montedimezzo e Collemeluccio
Logo Riserva MAB Montedimezzo e Collemeluccio

Un po’ tormentata la stora della foresta di Collemeluccio in quest’ultimo secolo. Divisioni tra proprietari, metodi e tecniche selvicolturali diverse secondo le necessità del periodo e ovviamente differenti risultati. Il bosco fino alla ricomposizione avvenuta alla fine degli anni ’60, è stato trattato come un ceduo per alcune aree e a fustaia in altre. Poi in alcune zone si è favorita la proliferazione del cerro, mentre in altre quella dell’abete bianco. Attualmente gli interventi selvicolturali sono stati limitati al minimo indispensabile ed utilizzando metodologie di selvicoltura “naturalistica” orientati a favorire il ritorno della foresta ad una condizione di “naturalità” e di equilibrio con le condizioni locali. Equilibrio che non si raggiunge rapidamente, per un bosco cerro-abete.

Logo Riserva MAB Alto Molise
Logo Riserva MAB Alto Molise

Gli interventi di taglio nella riserva sono ormai quasi totalmente cessati, anche se si ritiene che degli sfoltimenti per alcune piante siano necessari. Sono stati, invece, recentemente ripresi gli interventi finalizzati a prevenire gli incendi nell’area protetta che si collocano nel più ampio contesto delle iniziative volte a proteggere e a preservare questo pregevole ambiente naturale. Infatti esiste un piano prevenzione agli incendi boschivi come stabilito dalla legge. Esso consiste nella ripulitura di fasce tagliafuoco lungo la viabilità pubblica e lungo la strada di servizio e i sentieri principali che corrono internamente alla foresta e lungo i suoi margini, il tutto annualmente percorso da numerosi visitatori. Nelle zone più “sensibili” si provvede altresì alla rimozione della legna “morta” in eccesso frequentemente rappresentata da soggetti ultra maturi di abete che, a causa di intemperie e di altre di natura biologica (es. attacchi fungini da Fomes), subiscono schianti e sradicamenti.

Ringraziamenti:

Si ringrazia il sito Agraria.org che ha ripreso una nostra foto e che ci ha citati.

Inoltre si segnala il sito Riserve MAB Alto Molise

Pescolanciano L’abetina di Collemeluccio  (prima parte)
Pescolanciano – La Riserva di Collemeluccio (seconda parte)
Il Piano di Gestione della Riserva di Collemeluccio (terza parte)

Pescolanciano Prati di Collemeluccio

Poggio Sannita – Le ramificanti Roverelle a San Cataldo

Nome Comune: Roverella
Specie:  Quercus Pubescens
Circonferenza: 4,70 mt
Altezza: 15 mt circa

Siamo a Poggio Sannita, abitanti 800. Il paese era chiamato Caccavone. Il nome si riferiva al fatto che in antichità la località era sede della produzione del caccavo, una sorta di grande paiolo o pentola di rame usato dai contadini per la coagulazione del latte; tale strumento comunque rimane tuttora presente nello stemma del comune. Caccavone era un feudo intorno all’anno 1000. Nome cambiato in Poggio Sannita solo nel 1921.

Scendendo lungo la strada che da località i Mucchi va verso il fiume Verrino, si possono notare numerose querce sparse in modo disordinato su terreni agricoli. In passato in quell’area ci doveva essere un antico Monastero fondato da San Cataldo. La tipicità di queste piante è la forte ramificazione.

Le querce rendono il paesaggio circostante meno monotono. In passato questi esemplari sparsi per i campi e in vicinanza di ruderi di fabbricati rurali erano sicuramente molti di più. Solo qualche proprietario ha saputo conservare con il tempo queste piante non utilizzandole come legna da ardere. Quattro roverelle sono state censite nel 2009 ed inserite nell’elenco regionale degli alberi monumentali. La più interessante ha una circonferenza di 4,70 mt.

Le Roverelle in Località San Cataldo a Poggio Sannita
Le Roverelle in Località San Cataldo a Poggio Sannita

 


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