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Il Bosco degli Abeti Soprani e i suoi “giganti”

Tiziano Fratus nel suo libro: “L’Italia è un Bosco” parla del Molise e in particolare del Bosco degli Abeti Soprani a Pescopennataro – Sant’Angelo del Pesco. Egli dice: “Nonostante sia una piccola regione, il Molise ha diversi boschi di valore. Curiosamente ospita quattro concentrazioni d’abete bianco tra cui il bosco degli Abeti soprani (1000 ettari). Nonostante ciò, nessun abete bianco è segnalato fra i monumentali censiti su “Molise Alberi”, uno dei siti di riferimento dei cercatori d’alberi in Italia”.

Allora noi siamo andati a trovare un bel po’ di abeti bianchi per misurarli, fotografarli e per stabilire l’albero “simbolo, di notevole interesse e forse monumentale” per questo bosco. E’ stato difficile scegliere un abete, in quanto abbiamo constatato che se facessimo riferimento solo alla circonferenza del tronco, quelle che superano i 2,50-2,90 metri sarebbero tutte piante monumentali. E con le altezze di queste piante come la mettiamo? Prendiamo per esempio l’abetina di Rosello in vicinanza del nostro bosco degli Abeti Soprani. Qui dal libro sui grandi alberi d’Abruzzo di Francesco Nasini si fa riferimento all’abete tra i più alti d’Italia con una circonferenza di 2,90 mt e una altezza di 54 mt descritto da Franco Tassi: “Alberi spontanei presenti in una forra poco conosciuta dei Monti dei Frentani al limite meridionale dell’Abruzzo e non lontano dal Molise… individui che raggiungono i 50 metri e talvolta li superano… un autentico miracolo della natura… stranamente questi altissimi alberi possiedono una circonferenza che non supera mai i 3 metri.” Inoltre si afferma nel libro: “…che abeti di altezza più modesta (45 mt) presentano una circonferenza di oltre 4 metri”.

Noi di molisealberi abbiamo invece trovato in vicinanza della strada Pescopennataro-Prato Gentile di Capracotta un esemplare di abete bianco che ha un’altezza stimata di 25 mt con una circonferenza di 3,40 mt (foto 1) ed in vicinanza altri esemplari di abete bianco con circonferenza di 2,70 mt ma altezza molto superiore, 27-30 metri. Allora quale dei due possiamo considerare “monumentale”? Quello con il tronco più largo e molto corto in altezza o al contrario, con tronco “stretto” e altezza elevata? Conclusione: difficile parlare di alberi “monumentali” se facciamo riferimento solo alla circonferenza o solo all’altezza. Abbiamo trovato (foto 2) alberi con circonferenza di 2,50 – 2,70 mt alti oltre i 25-30 metri. Il nostro albero di 3.40 mt di circonferenza (54 cm di diametro del tronco) anche se non è un gigante, è monumentale? Per noi sì, perchè circonferenze di questo genere non sono facili da trovare e poi si presentava bene anche con un po’ d’edera, con qualche ramo rotto, in bella raggiera con la sua età (150-170 anni).

Altra verifica. Dalla tavola cormometrica ad una sola entrata del bosco Abeti Soprani di Cantiani per l’abete bianco con il diametro del tronco di 54 cm, il volume cormometrico è di 2,33 mc ed una altezza di 25 metri. L’età in base alla tabella seguente per il nostro abete di 2,33 mc supera i 170 anni (con mc 2,27 calcolati l’eta è 170 anni). Comunque questa tabella dovrebbe essere utilizzata al contrario, partendo dall’età e poi non è riferita al nostro bosco di abete.

Variazioni delle altezze cormometriche dei diametri e dei volumi in funzione dell'età
Variazioni delle altezze cormometriche dei diametri e dei volumi in funzione dell’età

Valido Capodarca, che di grandi alberi se ne intende, in un post del 20 Agosto 2014 su facebook risponde alla domanda: Quali sono i criteri per stabilire se un albero è monumentale? “Meglio lasciar perdere“. Lo stesso facciamo anche noi. Inoltre Valido Capodarca dice:”…pur continuando a misurare i miei alberi, gli unici parametri che ho tenuto da conto (ovviamente di nessun valore in termini giuridici) è l’emozione che la pianta mi suscita…

Da wikipedia “L’abete bianco è un albero maestoso, slanciato e longevo, e data anche la sua notevole altezza (in media 30 metri, alcuni esemplari possono superare 50 metri),è soprannominato “il principe dei boschi“.

Camaldoli – Il Castagno di Miraglia

Specie: Castanea sativa L.(Castagno)
Comune: Poppi (AR)
Località: Metaleto (vivaio)
Circonferenza: 8,5 mt, scesa rispetto a 9,30 di Valido Capodarca censita nel 1980
Età: circa 400-500 anni (difficile, sicuramente sopra i 300)
Quota: 900 mslm

Camaldoli - Il Castagno di Miraglia  Siamo vicino a Camaldoli, in provincia di Arezzo, tra castagni monumentali. Siamo andati a trovare la pianta più conosciuta all’interno del Parco delle Foreste Casentinesi. Si trova nel vivaio forestale di Metaleto. Le sue dimensioni sono eccezionali.

Per i tanti visitatori e per evitare danni all’albero, è stata costruita una staccionata intorno. Le condizioni per noi non appaiono buone. L’età si comincia a sentire. La cavità nel tronco è una caratteristica che lo rende molto particolare ed unico per la sua grandezza. Si rimane sempre affascinati da questi monumenti della natura. Chiamato il Castagno di Miraglia forse per volontà del direttore del Ministero dell’Agricoltura, Nicola Miraglia che alla fine dell’800 dedicò questa pianta in onore della moglie, la contessa Elena Mazzarini. Non è da tutti dedicare un simile monumento di 300-400 anni alla propria moglie e per lo più contessa. Si racconta anche che la contessa fece mettere un piccolo tavolino e due sedie all’interno della grande cavità dell’albero dove trascorreva lunghe ore a ricamare. Il tavolo comunque c’era (lo dice Valido Capodarca) ed è rimasto a lungo anche come centro per “banchetti” forse di castagne.

Valido Capdarca, ci racconta di un’altra credenza popolare legata al nome dell’albero. Nella prima metà del Novecento venne visto per diverso tempo da quelle parti un ammiraglio il quale, ritiratosi in pensione, amava trascorrere gran parte del suo tempo in contemplazione davanti al castagno. L’azione del “mirare” (ammirare), associata al grado militare prestigioso, avrebbe originato il nome.

Castagnodimiraglia2Per maggiori dettagli l’articolo di Valido Capodarca é a questo link oppure sul sito di Eno Santecchia nella sezione dedicata agli alberi.

 

Quercus crenate (le cerro-sughere) anche in Molise? Forse no, ma c’è la sughera di Jelsi

Riprendiamo un articolo di Homo Radix: “Un ibrido naturale popola i boschi del Nord Ovest”. Si tratta della Quercus crenata o cerrosughera o rovere verde, ibrido fra sughera (Quercus suber L.) e cerro (Quercus cerris L.)”. Diciamo che le più grandi si trovano in Ligura e in Toscana. Noi abbiamo parlato della “Ro Verda” che sta nel Bòsc Grand, di Casalborgone in provincia di Torino. In Italia la quercia crenata è abbastanza rara. Qui vicino a noi è segnalata in Campania a Roccamonfina e la chiamano: “albero Frisco”. E’ in Molise? La cerro-sughera non c’è. Almeno crediamo, anche se di cerri ce ne sono molti, ma le foglie sono diverse.

Se non ci sono cerro-sughere, una bella sughera (Quercus suber L.) esiste invece in C.da Fascia nel Comune di Jelsi censita nell’elenco degli alberi monumentali della Regione Molise. Età circa 100-150 anni e circonferenza di mt 2,50. Comunque sarebbe bello che qualche altra sughera, proveniente dalle zone del Tirreno riesca ad insediarsi anche da queste parti. Ecco le foto della sughera di Contrada Fascia ad Jelsi. Si ringrazia Lino Cirucci per l’autorizzazione e la concessione alla pubblicazione. Pare che la pianta stia abbastanza bene, una vera fortuna avere una sughera in Molise, oltre ad essere una “rarità”.

Se qualcuno conosce qualche altra sughera in regione può segnalarcela.

La Sughera di Jelsi La Sughera di Jelsi La Sughera di Jelsi La Sughera di Jelsi

Il limite superiore del bosco (prima parte)

Chi va in montagna conosce molto bene che esiste una zona molto marcata che i botanici e gli studiosi hanno chiamato “Limite superiore del Bosco”. Questo limite è molto evidente, rappresentando una caratteristica del paesaggio montano.

limitesuperioredelboscoIn Molise, sul Matese ed in particolare sulle Mainarde-Meta “Il limite del bosco” è abbastanza evidente. Cerchiamo di capire come mai gli alberi ad una certa altitudine non ci sono più. Premettiamo che non esiste una spiegazione unica e convincente per giustificare il limite del bosco. Sicuramente sono molte le cause che possono influenzare lo sviluppo degli alberi in una fascia di transizione di circa 200-300 metri.

Salendo all’interno di un bosco possiamo accorgerci del suo limite vedendo alberi più distanziati, a volte meno cresciuti, più distorti con individui sparsi e arbusti bassi e foglie più piccole. Possiamo avere già due limiti: quelli del bosco chiuso e quello degli alberi isolati e sparsi. Il problema sta nel fatto che il limite di bosco non coincide quasi mai con il limite delle fasce di vegetazione.

Nel nostro Appennino il limite di bosco comprende sia una fascia montana dove ci sono ancora alberi (faggio e conifere in particolare) che subalpina o boreale con arbusti e piccoli alberelli sparsi. Per meglio localizzare il limite del bosco per le due grandi catene montuose del Molise (Matese e Mainarde-Meta) si può stimare in media 1650-1800 mt. Sono numeri da prendere con “le pinze” perchè per ogni montagna esso varia in funzione del: tipo di vegetazione, esposizione, latitudine, temperatura del suolo e dell’aria, impatto antropico (pascoli), durata stagione vegetativa, rocciosità, competizione tra le specie vegetali, periodo di presenza di neve, gelate tardive, valanghe, mancanza d’acqua, vento e condizioni microclimatiche particolari. A questi da aggiungere i grandi fenomeni del riscaldamento globale e dell’incremento dell’anidride carbonica nell’aria. Tutti questi fattori illustrati giocano, chi in maniera più marcata chi in maniera meno e poco significativa, sul limite della crescita degli alberi e del bosco.

Sicuramente il “limite del bosco” non è una linea rettilinea che spesso si vede a distanza sulle nostre montagne. Il clima in corso permette alla foresta, seppure lentamente, di riconquistare il terreno che aveva perduto, ma non sempre. Unico dato certo è che nella zona di transizione (Ecotono) gli alberi sono più sensibili alle variazioni climatiche ed è opportuno prima di tutto andare a vedere per esempio cosa accade nelle aree alle singole piante di faggio sul Matese e sulle Mainarde-Meta e a tutte le quote sopra i 1650-1700 mtsm delle montagne del Molise. Ci sono comunque alcuni dati, occorrono tempi e lunghe osservazioni per lo studio di queste comunità vegetali.

In un successivo articolo cercheremo di esaminare i singoli meccanismi e gli elementi che fanno variare il limite del bosco, ma non è detto che poi sull’Appennino sia variato o è in corso di variazione in modo rapido: la dinamica è abbastanza lenta (almeno 30-40 anni). Occorrerebbero studi più approfonditi e di dettaglio e molte cartografie e immagini satellitari a distanza di anni da poter confrontare, come si sta facendo adesso per esempio per i ghiacciai.

Limite superiore del Bosco

Protocollo di Kyoto, troppa anidride carbonica ancora, “povere” foreste. Il flop dell’Italia

Contabilità di Kyoto un po’ complicata, cosa succede? Riprendiamo un articolo de La Stampa del 16/04/2014 dal titolo: “Protocollo di Kyoto, flop dell’Italia. Mancati gli obiettivi sulla CO2”. Noi di Molisealberi siamo andati un po’ in dettaglio. L’Ispra, con i dati riportati nell’Inventario nazionale delle emissioni di gas serra del 2012, attesta il fallimento del nostro paese sugli obiettivi di Kyoto.

L’obiettivo di riduzione, nel quinquennio 2008-2012, era del 6,5% rispetto ai valori registrati nel 1990 e l’Italia si è fermata a una riduzione del 4,6%. Informazioni dettagliate si possono trovare seguendo il video della Conferenza del 16/04/2014 svoltasi a Roma dal titolo: L’inventario nazionale delle emissioni di gas serra ed il protocollo di Kyoto. In parole semplici, nel video qui sotto, che cosa è successo. La contabilizzazione del Protocollo di Kyoto prende in considerazioni diversi elementi: le emissioni stimate nell’Inventario Nazionale delle emissioni di gas serra, le quote assegnate alle industrie attraverso il meccanismo dell’ Emission Trading Scheme (ETS), gli eventuali crediti derivanti dai meccanismi flessibili ammessi dal protocollo di Kyoto (Clean Developlment Mechanism e Joint Implementation) e i crediti relativi alle attività forestali.

Marina Vitullo, responsabile della parte dell’inventario relativo alle foreste, con l’intervento “Emissioni e assorbimenti forestali e criticità rispetto agli obiettivi di Kyoto”, spiega che c’è ancora la possibilità che il numero finale possa subire delle piccole modifiche a causa di alcune peculiarità specifiche del settore forestale, che prevedono una specifica verifica da parte dell’UNFCCC.

È difficile però che il nostro deficit delle emissioni si discosti molto dalle 16,9 milioni di tonnellate di CO2 di cui risultiamo oggi deficitari e che dovremo acquistare sul mercato. Quindi l’Italia dovrà acquistare i crediti necessari per colmare tale gap sul mercato internazionale (il costo, calcolato sugli attuali costi della CO2, sarebbe superiore ai 20 milioni di euro). Qualcuno deve pagare. 

La contabilizzazione dei crediti di carbonioPer quanto riguarda la parte forestale, si rileva, infine, come le maggiori criticità siano relativi alle attività di afforestazione e riforestazione, come specifica il protocollo di Kyoto, per le quali va dimostrato il carattere antropico. Secondo Marina abbiamo degli strumenti normativi in Italia che tutelano le foreste ma non abbiamo però alcun strumento che leghi o protegga la cosiddetta riforestazione naturale che è una parte non irrilevante di tutta la quantita’ che viene riportata nell’ambito delle attività di afforestazione e riforestazione.

L’articolo può essere scaricato qui

Ecco il Video:

Fonte: ISPRA – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale

I vecchi e grandi alberi di Torino. Il Platano del Parco della Tesoreria

Libro di Tiziano Fratus sui Vecchi e grandi alberi di Torino Torino è una delle poche città in Italia che ha un Regolamento del verde pubblico e privato dal 2006,  anno in cui iniziammo anche noi di molisealberi a parlare di “grandi alberi”. I regolamenti sul verde servono a poco se poi non vengono applicati, come succede in molte altre città. Torino, forse è da chiamare la città “degli alberi di pregio” per l’attenzione e la cura da parte del Settore Gestione del Verde per i propri alberi e alberature, tanto da riuscire a numerarli e classificarli.  E’ una città tra le più verdi d’Italia. Ci sono 70 specie diverse di piante,  con alberi come il  Platano (Platanus acerifolia), con oltre 15.000 esemplari, Il Tiglio (Tilia ibrida), con circa 10.000 esemplari, Il Bagolaro (Celtis australis), con circa 5.000 esemplari L’Acero (Acer Platanoides), con oltre 5.000 esemplari L’Ippocastano (Aesculus ippocastanum), con oltre 4.000 esemplari e aggiungendo molti altri si arriva a 160 mila alberi inclusi quelli dei parchi e aree a verde come si legge dall’opuscolo e  sito internet  del Comune.

Tiziano Fratus ha scritto nel 2013 un bel libro da titolo “Vecchi e grandi alberi di Torino”. Una guida insolita alla ricerca dei maggiori e più annosi alberi della città. Ben  tredici “itinerari per camminanti” scritti in forma epistolare: Parco del Valentino, Giardini Reali, Parco della Tesoriera, Parco di Villa Genero, Parco Rignon, Parco Millefonti, Cimitero Monumentale, Parco della Rimembranza, Parco Ruffini, Orto botanico, Parco pubblico Giacomo Leopardi, gli spazi verdi ascendendo alla Basilica di Superga, Giardini Cavour. Val e la pena leggerlo. Inoltre Tiziano Fratus ha stilato e crediamo non sia stato facile, una classifica dei più grandi platani di Torino che come detto è la specie più numerosa della città. Noi di molisealberi abbiamo visto il grande Platano che sta al parco della Tesoreria, che è il più famoso, e che i Torinesi chiamano “il nonno” sicuramente per la sua età (forse inizio 700) con i suoi cm 660 di circonferenza. Ecco il Platano della Tesoreria in una nostra foto del febbraio 2013:

Il grande Platano della Tesoreria a Torino
Il grande Platano del Parco della Tesoreria a Torino cm 660 di circonferenza età 300-400 anni

Il patrimonio arboreo Torinese comprende diversi esemplari particolarmente pregiati, per:

  • Dimensioni
  • Età
  • Sviluppo complessivo
  • Particolarità del genere e della specie
  • Inserimento nel paesaggio
  • Particolarità botaniche
  • Riferimento ad eventi o memorie rilevanti dal punto di vista storico, culturale, tradizionale.

Questi alberi, che possono non solo essere parte del patrimonio pubblico della città, ma anche essere proprietà privata, necessitano di particolare attenzione, cura e tutela, ed è a questo proposito che il Regolamento del Verde Pubblico e Privato della Città di Torino, adottato nel marzo 2006, ha introdotto specifiche norme in questo senso.

Queste norme, valide per il territorio comunale, si aggiungono a quelle previste, per tutto il territorio della Regione Piemonte, dalla Legge Regionale n° 50/1995 “Tutela e valorizzazione degli Alberi Monumentali, di Alto Pregio Naturalistico e/o storico del Piemonte” e s.m.i. che prevede procedure e tutele particolari per gli alberi che hanno le caratteristiche ivi previste.

In particolare, il Regolamento comunale istituisce un “Elenco degli alberi di pregio della Città di Torino” e l’inserimento in tale elenco può essere proposto non solo da enti pubblici, ma anche dai privati, per esemplari anche non in loro proprietà.

Un’apposita Commissione, istituita dal Settore Gestione Verde della Città, in presenza di segnalazioni, valuta i seguenti parametri prima di procedere ad inserire un esemplare in elenco:

  • Dimensioni (gli alberi per essere di pregio devono avere una dimensione (diametro) del tronco, misurata a 130 cm di altezza, superiore a 80 cm di diametro per le specie di prima grandezza, superiore a 60 cm di diametro per le specie di seconda grandezza e superiore a 40 cm per le specie di terza grandezza)
  • Sviluppo complessivo dell’esemplare
  • Stato di salute della pianta
  • Particolarità del genere e della specie
  • Significativo pregio paesaggistico, storico, culturale, botanico
  • Ubicazione nel contesto urbano
  • Esistenza per l’esemplare di precisi riferimenti ad eventi o memorie rilevanti dal punto di vista storico o culturale
  • Esistenza per l’esemplare di riferimenti tradizionali riguardanti l’esemplare per la popolazione locale, o significative potenzialità di diventare un riferimento tradizionale per la città

Una volta deciso l’inserimento dell’albero nell’elenco, è prevista una condizione di particolare tutela e attenzione:

  • L’inserimento dell’albero nell’Elenco è comunicato al proprietario entro 30 giorni
  • È fatto obbligo ai privati di rimuovere le cause di danno alla vitalità delle piante e di adottare i provvedimenti necessari per la protezione contro eventuali effetti nocivi. In caso di inerzia protrattasi per almeno 30 giorni dalla notifica della rilevazione della causa di danno o in caso di grave pericolo per la vita delle piante, l’Amministrazione Comunale potrà effettuare gli interventi necessari in danno del privato proprietario
  • Qualsiasi intervento su un albero di pregio riveste carattere di assoluta eccezionalità
  • È vietato l’abbattimento; in caso di rischio di schianto andranno preventivamente individuate opere provvisionali di mantenimento in sito alternative all’abbattimento
  • Eventuali inderogabili interventi di abbattimento, interventi di potatura drastica, di modifica sostanziale della chioma e dell’apparato radicale che si rendessero indispensabili devono essere preventivamente autorizzati dall’Amministrazione Comunale tramite la Commissione Alberi di Pregio, previo parere del Settore Fitosanitario Regionale per quanto riguarda il genere Platanus. Il proprietario degli alberi di pregio può eseguire, senza necessità di autorizzazioni comunali, la potatura a tutta cima con la tecnica del taglio di ritorno, la rimonda periodica del secco e conservare la forma della chioma degli esemplari allevati in forma obbligata, per i quali un abbandono al libero sviluppo vegetativo comporterebbe pericoli di scosciatura o instabilità
  • Salvo casi particolari, in caso di abbattimento autorizzato di alberi di pregio, per ogni albero dovranno essere poste a dimora, in sostituzione, e secondo le indicazioni impartite dalla Commissione Alberi di Pregio, piante della stessa specie
  • L’Amministrazione Comunale potrà erogare contributi per la cura ordinaria e straordinaria degli alberi di pregio ai proprietari o agli aventi diritto che ne facciano richiesta, nel limite massimo del 50% delle spese sostenute e compatibilmente con le risorse disponibili
  • L’Amministrazione Comunale, anche su istanza dei proprietari o degli aventi diritto, può promuovere iniziative di valorizzazione degli alberi, filari ed alberate monumentali e/o di pregio, al fine di divulgarne la conoscenza ed il significato della tutela, nonchè per migliorare il contesto territoriale ed ambientale circostante

È possibile scaricare segnalazione alberi di pregio Torino in formato pdf, che va inviata a Città di Torino – Divisione Ambiente e Verde, Settore Gestione Verde, via Padova 29 – 10152 TORINO

Fonti:

Sito internet della Città di Torino
http://www.comune.torino.it/verdepubblico/patrimonioverde/alberi/conoscere.shtml#
e dell’Uomo Radice (Tiziano Fratus)  http://homoradixnew.wordpress.com

Perchè ancora scrivere di grandi alberi ?

Nonostante siano passati otto anni da quando scrivemmo quest’articolo sul  sito Molise Alberi noi dell’Asociazione Ophrys ancora continuiamo a richiamare l’attenzione verso i “Grandi Alberi” chiamati anche “Alberi monumentali” o più in generale “Patriarchi della natura”. Molte cose sono cambiate in questi anni, abbiamo visto un maggiore interesse verso la “cultura” degli alberi, ci sono stati studi, ricerche, sono nati siti internet, sono stati scritti libri, sono aumentati i dibattiti e le conferenze sui grandi alberi, sono stati effettuati censimenti dalle regioni, è stata promulgata una legge nazionale nel febbraio 2013 per la loro “monumentalità” per il ritorno alle giornate e alle feste dell’albero. Abbiamo notato una maggiore conoscenza, forse più consapevolezza sulla salvaguardia, tutela e valorizzazione dei grandi alberi e dei boschi. Le informazioni viaggiano molto veloci sulla rete, tutti possono leggere sul nostro gruppo facebook e in molti altri siti e gruppi, molto meglio del nostro della storia di un  albero in un comune, in una località, in una regione dove si abita oppure guardare velocemente le migliaia di foto di “grandi e  bellissimi alberi sparsi un  po’ dappertutto in Italia e nel mondo.

Gli alberi,  comunque, vanno un po’ più lentamente, vivono più di noi ci raccontano sempre qualcosa, ci fanno provare delle sensazioni nuove, non tanto con la fotografia ma quando ci si avvicina a loro “realmente”. Esortiamo a fermarsi più spesso vicino e sotto ad un grande e bell’albero, anche del proprio giardino. Fermiamoci pochi minuti ad osservare e a pensare, pare che abbracciando un albero si riduce anche lo stress e l’ansia accumulata giornalmente. Poi c’è sempre una storia, una leggenda, una curiosità dietro un “grande albero”.

Ecco il primo articolo del nostro vecchio sito del 2006 un po’ aggiornato:

Nello scrivere sugli “Alberi monumentali” abbiamo svolto una breve ricerca bibliografica. Esistono libri, studi, pubblicazioni, guide, censimenti, normative forse un po’ disaggregate a partire già dagli anni 70 in quasi tutte le regioni e province italiane. Si cita una pubblicazione di Franco Tassi “ Le radici dei Patriarchi” il libro “Alberi Monumentali d’Italia” di Bortolotti e Alessandrini e delle prime iniziative del WWF con la “Campagna per i Grandi Alberi” per la sensibilizzazione dell’opinione pubblica e degli amministratori sui molteplici valori degli alberi monumentali e l’incremento delle forme di tutela attraverso mirate azioni politico-istituzionali. Obiettivo era quello di creare un repertorio degli alberi monumentali d’ Italia e una banca dati sui patriarchi verdi. Si fa cenno anche alla guida di Lega Ambiente “Alberi monumentali d’ Italia” e della campagna “Un albero per amico”.

Altra iniziativa fu l’individuazione “alberi di notevole interesse”, lanciata agli inizi degli anni 80, dal Corpo Forestale dello Stato, che ha raccolto numerosi dati. Sono stati segnalati migliaia di alberi. I risultati sono stati pubblicati in una grande libro.  E’ stata una lunga e difficile indagine per l’alto significato culturale come si riprende dallo stesso sito del corpo forestale perché il censimento, infatti, non ha interessato gli alberi come categoria vegetale, o come risorsa economica, ma singoli soggetti arborei che hanno una propria “individualità” per essere eccezionalmente vecchi, per essere stati protagonisti di episodi storici o per essere legati alla vita di grandi uomini o di Santi. Con questa e unica iniziativa di individuare gli “alberi di notevole interesse”, il Corpo forestale dello Stato ha raccolto una massa imponente di dati: 22.000 schede di alberi di particolare interesse che sono state poi ulteriormente selezionate, fino ad individuare 2.000 esemplari di grande interesse e, fra di essi, 150 che presentano un eccezionale valore storico o monumentale. E’ chiaro che un censimento di questo tipo non può che restare aperto ad ulteriori revisioni ed acquisizioni, perché il nostro territorio presenta tante “pieghe” che possono essere sfuggite all’occhio dei Forestali, ed e’ talmente ricco di storia e tradizioni locali che e’ difficile raccogliere tutte le testimonianze legate agli alberi.

I dati che suscitano immediato interesse sono alcuni “primati”. L’albero più grande d’Italia veniva considerato il “Castagno dei Cento Cavalli ” in comune di Sant’Alfio (CT), seguito da un castagno un po’ più “piccolo”, che cresce nel comune di Mascali (CT) e il cui tronco misura 20 metri di circonferenza.

Sempre secondo le indagini del corpo forestale l’albero più alto, e qui la cosa e’ controversa poiche’ e’ più difficile misurare le altezze che le circonferenze, dovrebbe essere un Liriodendro che cresce nel parco Besana di Sirtori (Lecco) o forse una delle Sequoie sempreverdi che crescono nel Parco Burcina di Pollone (VC). In entrambi i casi si tratta di piante esotiche. La loro altezza si aggira sui 50 metri. Ancora più difficile e’ stabilire quale sia l’albero più vecchio d’Italia. Probabilmente questo primato spetta ad un oleastro, specie notoriamente di lento accrescimento, che dovrebbe impiegare oltre due millenni per raggiungere le eccezionali dimensioni che oggi presenta l’oleastro di San Baltolu di Luras (SS), e cioè una circonferenza del tronco di 11 metri e 80 ed un’altezza di 15 metri. (ripetiamo i dati sono del 1982)

Che degli alberi, anche nel nostro Paese, possano raggiungere età cosi venerande potrebbe essere verificato con il conteggio degli anelli annuali, ma per i grandi esemplari arborei questa operazione, purtroppo, si può compiere solo dopo la morte. Per un grande Larice della Val d’Ultimo, al limite del Parco nazionale dello Stelvio, ciò é stato possibile per comparazione. In quella valle nei pressi di S. Geltrude (BZ), vi sono tre larici venerandi, il più grosso dei quali misura m. 8,20 di circonferenza e 28 di altezza. Un quarto esemplare, che misurava metri 7,80 di circonferenza, venne sradicato da una bufera nel 1930. Sulla ceppaia vennero contati 2.200 anelli, probabile età anche degli alberi rimasti.

Molti alberi sono legati alla vita dei Santi e per questo si sono conservati nei secoli fino ai giorni nostri. Il Santo a cui sono legati più alberi, forse per l’amore per tutte le creature che lo animava, e’ S. Francesco d’Assisi e l’albero francescano più famoso, e’ quello della predica agli uccelli, rappresentato da Giotto alla fine del XII secolo negli affreschi della Basilica superiore d’Assisi. Tra i grandi personaggi storici il cui ricordo vive anche attraverso gli alberi, al primo posto si colloca Garibaldi ricordato a Caprera, sull’Aspromonte, a Todi e in altre località. E’ invece morta la famosa “Quercia del Tasso”, di cui rimane soltanto il tronco inaridito. Vicino al rudere venerando, cresce un’altra quercia, già di notevoli dimensioni, destinata a prenderne il posto e il nome. Questo processo di sostituzione e’ avvenuto, evidentemente, in altri casi dove l’età desumibile dalle dimensioni dell’albero e’ palesemente in contraddizione con l’età che ad esso attribuisce la tradizione. La sostituzione in questi casi non e’ un falso. Essa risponde al desiderio di perpetuare una tradizione o una memoria anche al di la’ dell’arco di vita di una pianta.

Tra gli alberi legati ad episodi storici, vanno ricordati gli “Alberi della Libertà”, piantati dagli aderenti ai moti carbonari nella prima meta’ del secolo passato, mentre fra gli alberi legati ad usi e tradizioni si può ricordare il Cerro di Vetralla (VT) ai piedi del quale ogni anno si celebra lo “Sposalizio dell’albero”, cerimonia analoga allo “Sposalizio del mare”, che il Doge di Venezia celebrava gettando l’anello nella Laguna. Non e’ stato invece ritrovato il mitico “Noce di Benevento”, ammesso che sia mai esistito. Sotto di esso, secondo la leggenda, si intrecciavano le danze delle streghe. Una “Quercia delle streghe” invece, esiste in Comune di Capannori (LU), e probabilmente questo nome le e’ stato attribuito per l’aspetto bizzarro e un po’ tetro.  La descrive sempre  meglio il nostro amico Tiziano Fratus “l’Uomo Radice” in questo articolo del 2012 sulla Stampa. Un’altra leggenda vuole che questa Quercia ha ispirato Collodi nel Suo Pinocchio ed è diventata la quercia dove furno nascosti i denari. Qui le foto di Tiziano Fratus.

Ci preme, in particolare, sottolineare la passione e l’amore di semplici cittadini che in giro per l’Italia hanno trovato piante belle e suggestive. Il capitano Valido Capodarca già negli anni 80 ha scritto dei libri che hanno fatto storia come: “Toscana 100 alberi da salvare”, “Marche, 50 alberi da salvare”; “Emilia Romagna 80 alberi da salvare”; “Abruzzo 60 alberi da salvare” e altri . Abbiamo letto alcuni di questi libri, sono semplici e ci raccontano la storia, le tradizioni le leggende e le testimonianze, tutte legate ai nostri patriarchi naturali. Oggi (2014)  scrive nel nostro gruppo di facebook quasi ogni giorno e noi lo ringraziamo pubblicamnete raccontatoci ancora storie leggende curiosità sui grandi alberi. Dal 01/02/2013 nel nostro gruppo il “grande” Valido Capodarca non solo ha inserito circa 400 foto di grandi alberi ma per ognuno ci fornisce una descrizione,  un racconto… una storia…  sempre emozionante e di grande interesse anche per quegli alberi che oggi non ci sono più.

Ecco il primo articolo che ha scritto Valido Capodarca sul nostro Gruppo “molisealberi” di facebook in riferimento all’Acero di Valle Ura di Pizzone. Un vero omaggio a noi di molisealberi e a tutti i molisani crediamo.  L’articolo è del 1988 (noi non sapevamo niente sui grandi alberi) ed è tratto dal Suo libro “Abruzzo Sessanta Alberi da salvare” un po’ “la bibbia” per i grandi alberi  in molise e in abruzzo.

UN ACERO INCANTATO di Valido Capodarca
acerovalleura3gfSe qualcuno è alla ricerca di un acero che sia fa i più grandi d’Italia, che sia di aspetto assolutamente singolare, e che sia dotato di una storia straordinaria, eccolo servito: il monumentale Acero di Valle Ura, in comune di Pizzone, in pieno Parco Nazionale d’Abruzzo, è l’albero che fa al caso suo. La singolarità dell’albero sta nel fatto che, in realtà, esso è costituito da due aceri distinti, saldati alla base fino a un paio di metri di altezza. La circonferenza dell’insieme, all’altezza di m. 1,30 dal suolo era di m. 6,60 nel 1988. Si può ipotizzare che nei 25 anni trascorsi essa possa essersi incrementata di diversi centimetri. Uno dei due tronchi è cavo tanto che può contenere tranquillamente un uomo in piedi. Tuttavia, confrontando la foto che ci manda Alfonso Notardonato con quella che appare nel mio vecchio libro sull’Abruzzo, balza all’evidenza un notevole restringimento dell’apertura (25 anni fa, l’uomo all’interno si sarebbe agevolmente affacciato alla finestra).

Acero di Valle Ura Secondo i montanari di Pizzone, sull’Acero veglierebbe un qualche sortilegio. Non si spiegherebbe, altrimenti, come mai tutte le valanghe che da secoli scendono giù per il canalone di Valle Ura, schiantando tutti i faggi che incontrano sul loro cammino, si limitano a sfiorare il suo piede senza mai travolgerlo. La ragione risiederebbe in un patto che antichi briganti fecero con il diavolo. Essi avrebbero nascosto un tesoro frutto delle loro rapine sotto il terreno nella cavità dell’acero. Per assicurarsi la protezione di Satana, essi gli avrebbero sacrificato un neonato, sgozzandolo sopra il terreno che copriva il tesoro. Da allora, il diavolo ha sempre mantenuto il patto di sangue stipulato sì che, ogni volta che qualcuno si azzarda a tentare di trafugare il tesoro, all’improvviso attorno all’acero si scatena una tempesta di vento, pioggia e fulmini che mette in fuga gli incauti. Si racconta che una volta, in piena notte, alcuni montanari avrebbero tentato l’impresa. Giunti davanti all’acero, furono raggelati da due occhi gialli, fosforescenti, che li fissavano dal fondo della caverna. Si trattava probabilmente di un gufo a animale simile ma si conoscono bene gli effetti della paura. Gli ardimentosi se la diedero a gambe senza più tornare indietro.

I particolari in: Abruzzo, sessanta alberi da salvare – Edizioni Il Vantaggio – Firenze, 1988.

Questo raccontato è un esempio ed e’ evidente la ricchezza degli spunti culturali, oltre che naturalistici, legati alla vita degli alberi. Ma nel momento in cui il nostro patrimonio arboreo viene colpito da malattie di varia origine, occorre avere una cura particolare per i vecchi alberi, che fra tutti sono quelli sicuramente più esposti ai rischi maggiori. Perderli significherebbe rinunciare ad alcune pagine della nostra storia. Perderli significa anche non avere un po’ di rispetto per loro.  Per i  motivi suddetti continuiamo a scrivere di grandi alberi.

Fonti:

Valido Capodarca www.capodarca.com

Tiziano Fratus http://homoradixnew.wordpress.com/

Intervista tra cercatori di alberi  di Tiziano Fratus a Valido Capodarca

www.corpoforestale.it

Le Foreste vetuste. Cerchiamo di capire cosa sono

Nel  2010  Il MInistro dell’Ambiente, la Società Botanica Italiana, il Centro di Ricerca Interuniversitario“Biodiversità, Fitosociologia ed Ecologia del Paesaggio” della Università della Sapienza di Roma grazie al  gruppo ricerca foreste vetuste fece una pubblicazione dal titolo: “Foreste Vetuste in Italia”. Riprendiamo alcune parti di questa pubblicazione e ne facciamo una sintesi. Già non è chiara la definizione di “foresta” e di “bosco” in particolare dal punto di vista giuridico se poi aggiungiamo il termine “vetusto” esso può significare:

– comunità forestali che hanno raggiunto una fase di sviluppo caratterizzata da un’elevata eterogeneità strutturale.

– una foresta vetusta è un bosco primario o secondario che abbia raggiunto un’età nella quale specie e attributi strutturali normalmente associati con foreste primarie senescenti dello stesso tipo, si siano sufficientemente accumulati così da renderlo distinto come ecosistema rispetto a boschi più giovani  (FAO anno  2001).

Troppo generale la definizione FAO, poi Americani, Asiatici, Australiani Europei e Italiani hanno  dato  diversi significati di foreste vetuste. Quella Italiana, che secondo noi è la più obiettiva e chiara è: “Foreste in cui il disturbo antropico sia assente o trascurabile, caratterizzate da: una dinamica naturale che determina la presenza, al loro interno, di tutte le fasi di rigenerazione, compresa quella senescente”. Tale fase è caratterizzata da individui di notevoli dimensioni ed età; presenza di legno morto (alberi morti in piedi, rami e alberi caduti a terra); una flora coerente con il contesto biogeografico caratterizzata dalla presenza di specie altamente specializzate che beneficiano del basso grado di disturbo e di specie legate ai microhabitat determinati dall’eterogeneità strutturale.” Bella definizione, un pò difficile da applicare nella pratica secondo noi.

Dire che una foresta è vetusta deve essere molto difficile.  L’ecosistema bosco già di per se è molto complesso (alberi di diversà età, alberi di disturbo, competitività tra alberi, auto-diradamento, chiusura della volta arborea, accumulo di biomassa a terra, tipo di sottobosco  ecc.. ) e le cause legate allo sviluppo e maturazione del bosco sono diverse e numerose (densita di copertura, umidiità del suolo, luce, tipo di terreno  ecc.). Le specie morte di alcuni individui delle volte consentono una maggiore disponibilità luminosa al suolo e la riaffermazione di una più ricca comunità nel sottobosco. (Morte tua vita mia, anche tra gli alberi nei boschi). In Italia i boschi sono stati sottoposti a sfruttamento da secoli.

Solo in aree prottette e nei parchi nazionali secondo noi si ha quindi una maggiore  probabilità di trovare e studiare le foreste vetuste. Infatti c’è la necessità di creare una rete nazionale delle Foreste Vetuste  nelle aree protette in cui potersi concentrare per ulteriori indagini ai fini della definizione di linee guida, diversificate per tipologie vegetazionali, per la gestione sostenibile delle foreste in termini di biodiversità. Si studiano le foreste vetuste da diversi anni.  Come già molti autori hanno scritto sono un importante punto di riferimento al fine della valutazione dell’impatto delle attività umane sugli ecosistemi forestali.

Foreste vetuste, riferimento necessario per lo sviluppo di tecniche per una gestione sostenibile che integri funzioni ecologiche, sociali ed economiche del bosco. Si conclude nella pubblicazione che ” I siti con le caratteristiche di vetustà più marcate dovranno essere monitorati attraverso un approccio ecosistemico, includendo indagini sulla biodiversità, specialmente per quei taxa noti per essere strettamente legati a foreste vetuste (organismi saproxilici, licheni, briofite etc.). Queste analisi potrebbero rappresentare un ulteriore passo verso una conoscenza completa della foreste italiane più vicine a condizioni di naturalità”.

Al giorno d’oggi infatti, non è più pensabile considerare il valore di un bosco tenendo conto esclusivamente della funzione economica e produttiva tralasciando le altre funzioni di cui abbiamo più volte scritto anche in questo sito. Lo studio delle  foreste vetuste porta a conoscere di più i nostri vecchi  alberi che sono sicuramente qui molto numerosi,  di grandi dimensioni e  che stanno per morire o meglio stanno in fase di deperimento. L’esempio più  evidente è  per i nostri vecchi o “senescenti”  faggi presenti in quei luoghi nascosti, inaccessibili, dove il disturbo dell’uomo è assente, e dove si vedono anche numerose piante “morte” in “piedi o a terra” con una elevata presenza di legno morto. Nelle foreste vetuste  siamo piu vicini alla naturalità, alla biodiversità e al mondo degli  alberi, qui l’uomo non può e non deve intervenire.

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Siamo oltre quello che si definisce “riserva naturale integrale” intesa come  un’area naturale protetta nella quale non sono ammesse attività antropiche di nessun tipo, ad eccezione della ricerca scientifica. Perciò, non  si eseguono interventi di alcun genere: ad esempio, se un albero cade per vari motivi, viene lasciato dov’è. Noi cercatori di grandi e vecchi alberi saremo più contenti quando l’uomo in questi boschi “vetusti” entra quasi in punta di piedi in silenzio ad osservare e a studiare il meraviglioso mondo degli alberi.

Il documento è scaricabile qui Foreste Vetuste in Italia

Fonte del documento

Il limite superiore del Bosco in Molise

Monte Meta nei pressi di Passo dei Monaci
Monte Meta nei pressi di Passo dei Monaci

Chi va in montagna conosce molto bene che esiste una zona molto marcata che i botanici e studiosi hanno chiamato “Limite superiore del Bosco”. Questo limite è molto evidente rappresentando una caratteristica del paesaggio montano. In Molise sul Matese e in particolare sulle montagne Mainarde-Meta il “limite del bosco” è abbastanza evidente. Ci ha sempre incuriosito come mai gli alberi ad una certa altitudine sulle nostre montagne non ci sono più. Per molti la risposta è molto semplice, per noi invece, e la biografia lo dimostra non esiste una spiegazione unica e forse non convincente per giustificare il limite del bosco. Sicuramente ci sono molti fattori che possono influenzare lo sviluppo degli alberi in una fascia di transizione di circa 200-300 metri. Salendo all’interno di un bosco possiamo accorgerci del suo limite vedendo alberi più distanziati, a volte meno cresciuti, più distorti con individui sparsi e arbusti bassi, foglie più piccole,… Si possono avere già due limiti quelli del bosco chiuso e quello degli alberi isolati e sparsi. Il problema sta nel fatto che il limite di bosco non coincide quasi mai con il limite delle fasce di vegetazione.
Nel nostro Appennino il limite di bosco comprende sia una fascia montana dove ci sono ancora alberi (faggio e conifere in particolare) che subalpina o boreale con arbusti e piccoli alberelli sparsi.
Per meglio localizzare il limite del bosco per le due grandi catene montuose del Molise (Matese e Mainarde-Meta) si può stimare in media 1650-1800 mt. Sono numeri da prendere con “le pinze” perchè esso varia in funzione del: tipo di vegetazione, esposizione, latitudine, temperatura del suolo e dell’aria, impatto antropico (pascoli), durata stagione vegetativa, rocciosità competizione tra le specie vegetali, periodo di presenza di neve, gelate tardive, valanghe mancanza d’acqua, vento e condizioni microclimatiche particolari. A questi da aggiungere i grandi fenomeni del riscaldamento globale  dell’incremento dell’anidride carbonica nell’aria. Tutti questi fattori illustrati giocano chi in maniera più marcata chi in maniera meno e poco significativa il limite della crescita degli alberi e del bosco.
Sicuramente il “limite del bosco” non è una linea rettilinea che spesso si vede a distanza sulle nostre montagne. Il clima in corso permette seppure lentamente alla foresta di riconquistare il terreno che aveva perduto, ma non sempre. Unico dato certo é che nella zona di transizione (Ecotono) gli alberi sono più sensibili alle variazioni climatiche ed è opportuno prima di tutto andare a vedere per esempio cosa accade nelle aree alle singole piante di faggio sul Matese e sulle Mainarde-Meta e a tutte le quote sopra i 1650-1700 mtsm delle montagne del Molise.

Occorrono comunque dati e tempi e lunghe osservazioni per lo studio di queste comunità vegetali. Successivamente cercheremo di esaminare i singoli meccanismi e gli elementi che fanno variare questo limite del bosco ma non è detto che poi sull’Appennino questo limite sia variato o e in corso di variazione in modo rapido: la dinamica è abbastanza lenta (almeno 30 anni). Occorrerebbero studi più approfonditi e di dettaglio e molte cartografie e immagini satellitari a distanza di anni, un po’ come si sta facendo per i ghiacciai.