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L’Albero del Piccioni nelle Marche, una grande emozione

Siamo stati a Mozzano vicino Ascoli Piceno. Un passaggio veloce con l’auto sulla strada Salaria. Ho inserito per gioco, su maps di google “Albero del Piccioni”, e l’abbiamo trovato.

Lo conosciamo bene in  quanto chi ha letto il libro di Valido Capodarca “Alberi monumentali delle Marche; non può che rimanere senza fiato ed un po’ emozionato nella lunga descrizione e della storia di quest’albero. La riassumiamo brevemente, poi le fotografie fanno il resto.  Diciamo che un platano con un tronco di circonferenza di 8,70 metri non l’abbiamo mai visto. Alla base comunque la circonferenza è di 10,50 metri. Diciamo pure che  circa 25  metri di diametro della chioma sono un numero di tutto rispetto e l’età millenaria di questo Platano ci fa  capire come sia la pianta tra le più maestose originali e unica per questa specie. Un patriarca con la “P” maiuscola. Valido Capodarca afferma: “l’Albero del Piccioni è oggi, senza tema di smentite, la pianta più conosciuta dell’intera regione Marche e noi aggiungiamo di tutti i cercatori di alberi e non solo.  La denominazione “di Piccioni” deriva probabilmente dal fatto che l’albero si trovasse nel i terrreni di Piccione Parisani, nobile ascolano, e l’albero era citato nei documenti come albero di confine della via Salaria  tra il territorio di Mozzano e Ascoli Piceno. Secondo una tradizione popolare invece il nome sarebbe legato al celebre brigante Giovanni “Piccioni” . Gia intorno all’anno 1000 ci sono dei documenti che forse ne attestano la sua esistenza, ma ci sono dei dubbi, anche perchè un platano in media arriva fino a 300-450 anni. Ci viene in mente il platano dell’Ortobotanico di Roma.  Vedendo le foglie dell’albero a prima vista sembra un Platanus  Orientalis, ma ci sono alcuni dubbi, e potrebbe essere una antico ibrido sterile come afferma anche Valido Capodarca. Non potrebbe essere nemmeno un Platanus acerifolia o hybryda cioè  un incrocio di vivaio o spontaneo fra il platano orientale arrivato in Italia duemila anni fa e quello occidentale o sicomoro americano in quanto è arrivato in Italia importato solo all’ inizio seicento (Cit. Tiziano Fratus).  Un platanus orientalis con una circonferenza di 6,50 metri si trova all’ortobotanico di Roma  https://www.flickr.com/photos/molisealberi/5725541579 ed è datato  da 300 a 500 anni  con circonferenza di  220 cm  più piccolo di quello del Piccioni.  Ipoteticamente per un platano ci vogliono  300-500  anni per aumentare il diametro del tronco di 2 metri. Quindi potrebbe avere un millennio di età, ma forse abbiamo esagerato con questo numero a tre cifre, se pensiamo ad altri alberi millenari. Il tronco dell’albero ha tre aperture, tanto che mi sono divertito  ad entrare ed uscire più volte senza toccarlo. Una curiosità e un fatto forse unico che descrive Valido Capodarca nel suo libro. Nel 2004 un camion andò a finire contro l’albero, travolgendo anche il  cartello con la scritta sulle sue caratteristiche. L’autista si salvò grazie all’albero. Sotto c’è una a scarpata abbastanza alta che porta su una stradina e poi un  dirupo sul fiume Tronto. Consigliamo una visita a questo pianta cercando di non scrivere sul tronco dell’albero e di non lascaire i rifiuti visto che c’è una panchina e un cestello di raccolta.

per dettagli Alberi Monuemtali delle Marche di Valido Capodarca Edizioni Roberto Scocco anno 2008

La “Cerquabella” Storia di una fine di un grande monumento (anno1986)

Siamo nelle Marche, a Montegiorgio sulla via Faleriense nella terra di Valido Capodarca uno dei primissimi cercatori di alberi, almeno in Italia. Valido ha vissuto un po’ tutta la storia della Cerquabella di Montegiorgio. La descrive nel suo libro Alberi Monumentali delle Marche. E’ stata tanto famosa da essere nota come la quercia più bella d’Italia. Forse è la quercia con più pubblicaizioni di ogni genere. Già nel  1981 era sulle Carte del Touring Club Italiano. Scrive Valido: …quando pochi grandi alberi erano conosciuti a livello nazionale, ce n’era solo uno che aveva l’onore di essere riportato, con nome e tondino di localizzazione, sulle carte automobilistiche del T.C.I. Questo albero era Querciabella, della quale –morta nel 1986 – è conservato il rudere ancora in piedi. Consideriamo che nemmeno il Castagno dei Cento Cavalli o il Platano dei Cento Bersaglieri avevano questo onore.  La circonferenza del fusto prima di morire era  di 5,60 per Querciabella, il diametro della chioma è 34 metri  L’altezza era di 22 metri. la sua biografia era ricchissima di episodi e anedotti. …. Sotto la chiona per secoli avevano bivaccato Carovane di zingari e la sua ombra aveva offerto riparo a tente famiglie nella tradizionale scampagnata del Primo Maggio….  Oggi Cerquabella è ridotta a un rudere, impressionante per le su dimensioni e per tutti i significati allegorici che sembra voler trasmettere a chi lo osserva. Cerquabella era un albero che avrebbe meritato un monumento per la incomparabile bellezza, ma non c’è n’è stato bisogno: il suo monumento se l’è eretto da sola”. da: “Alberi monumentali delle Marche” di Valido CAPODARCA – 2007
Quando nel 1984 Valido Capodarca, scrisse: Marche cinquanta alberi da salvare e quando nel 1986 la pianta non cominciò più a germogliare ad indicare la fine della sua storia noi di molisealberi non ancora esistevamo. Solo dopo circa 15 anni abbiamo cominiciato a leggere i libri di Valido Capodarca e in particolare: “Abruzzo sessanta alberi da salvare” del 1988.

 da gli alberi di Valido. Foto della Cerquabella di Motegiorgio di Valido Capodarca

Cerquabella_1983
Cerquabella_1983
Cerquabella_1987
Cerquabella_1987
Cerquabella2009
Cerquabella 2016 da Google Earth

 

Villa Lagarina (TN) località Bellaria Il faggio di Ca Vecia – da gli alberi di Valido

Dopo aver conosciuto il grande Platano di Villa Lagarina, chi avrà la pazienza di accompagnarmi ancora per qualche post, potrà conoscere gli alberi più monumentali e significativi della Val Lagarina, quel tratto della valle dell’Adige che va da Bolzano a Verona.

Già nello stesso comune di Villa Lagarina, sui monti che sovrastano da sinistra la valle, si incontra il primo degli stupendi faggi della regione. E’ Chiamato “Il Faggio di Ca’ Vecia” dal nome della casa accanto alla quale dimora da qualche secolo. Lo si raggiunge dopo svariati chilometri di ardui tornanti, in località Bellaria, un chilometro dopo il lago di CEI. 

L’albero, nei suoi trecento anni, ha mutato più volte proprietari, dall’iniziale conte Lodron, all’attuale Giuliana Caviggioli Le dimensioni parlano da sole: il tronco ha una circonferenza di metri 5,55 ma quello che fa più spalancare gli occhi dallo stupore è l’ampiezza della chioma che, al momento del rilevamento (1992) raggiungeva i 35 metri di diametro. Era, in quel momento, record assoluto per un faggio italiano. Sarebbe stato battuto dieci anni dopo dai 36 metri del Faggione di Luogomano. Poiché però qualche settimana fa l’ultimo è crollato al suolo per metà, il primato è tornato al faggio di Ca’ Vecia.

Eppure, al momento della mia visita del 1992, il Faggio di Ca’ Vecia si trovava al minimo della sua estensione. Era avvenuto che tutto l’albero era stato invaso da larve di coleotteri, che aveva fatto seccare numerosi rami periferici, ma che avevano anche attirato la presenza di tanti picchi che erano arrivati per nutrirsene. Nel 1991 era giunta un ditta specializzata del Trentino che aveva asportato tutte le parti malate e disinfestato la pianta dai parassiti. Dopo la cura, la pianta era sembrata ringiovanita e, pur ridotta di diametro, misurava ancora 35 metri. Purtroppo, insieme alle larve dei coleotteri, erano spariti anche i picchi.

Il faggio dovrebbe essere rappresentato in questa foto del 2010 di google.

Avio (Trento) I Tre faggi di Malga Trett – da gli alberi di Valido

Continuano i racconti e le storie riprese dal Gruppo facebook molisealberi degli Alberi di Valido.

faggiodimalgatrett
Un faggio di Malga Trett – Comune di Avio (TN)

I TRE FAGGI DI MALGA TRETT  (Malga Tretto)
Primavera del 1992. Con il mitico Luigi Scaccabarozzi che mi fa da guida, abbiamo appena visitato il Faggio di Ca’ Vecia. Avevamo deciso di lasciare la mia macchina al casello di Villa Lagarina e proseguire il viaggio con una macchina sola. Davanti a noi, una serie interminabile di tornanti oltre i quali si spalancano precipizi verticali di centinaia di metri, prima di raggiungere il casello. Che strano modo di guidare, Scaccabarozzi! Sparato fino alla curva, poi frenata brusca all’ultimo momento. Ovviamente:
“Luigi – gli dico – ma non sarebbe meglio che rallenti prima, invece di frenare all’ultimo metro?”
“Sai che ho avuto una paresi facciale da poco – mi risponde – e quando abbasso la testa, l’occhio sinistro mi si riempie di lacrime e non ci vedo più”.
“Ma hai l’altro occhio!” Ribatto.
“Con quello sono cieco da anni!”
Lascia immaginare con quale sollievo rividi la pianura e la mia auto.
“Da qui si cambia, Luigi! Tu vai avanti con la tua, io ti seguo con la mia!”
Macchine in colonna, si risale la valle, di nuovo in altura, fino ai faggi di Malga Trett. Qui i faggi monumentali sono addirittura tre. Il faggio nr. 3, sui 4 metri di circonferenza, è in prossimità della recinzione del pascolo. Il faggio nr. 2, isolato, è proprio in mezzo al pascolo. Ha una circonferenza di m. 5,29 ed è quello di cui presentiamo l’immagine. Il nr. 1 è un esemplare da favola, di m. 5,54 di circonferenza. Allora, direte, perché non ci fai vedere il nr. 1? Perché la pianta è assolutamente infotografabile. Da lontano, si vedrebbe solo la massa scura di un bosco. Da vicino, occorre arrivare a 20 cm di distanza, scansando con energia il resto della vegetazione, per vedere e toccare il fusto. Gli integralisti della natura direbbero che va bene così: la natura deve fare il suo corso. Personalmente, penso che una saggia azione di diradamento della vegetazione minore circostante, non potrebbe che portare beneficio alla pianta, consentendole di assorbire aria e luce, con deciso prolungamento della sua vita.

da Gli Alberi di Valido Capodarca

Dal censimento del CFS, Il faggio aveva una circonferenza di 596 cm.

Malga Tret
Comune di Avio (Tn) Lago di Pra da Stua – Malga Tretto

Un acero incantato di Valido Capodarca (l’Acero di Valle Ura a Pizzone)

Acero di Valle Ura
Acero di Valle Ura

Se qualcuno è alla ricerca di un acero che sia fra i più grandi d’Italia, che sia di aspetto assolutamente singolare e che sia dotato di una storia straordinaria, eccolo servito: il monumentale Acero di Valle Ura, in comune di Pizzone, in pieno Parco Nazionale d’Abruzzo; è l’albero che fa al caso suo. La singolarità dell’albero sta nel fatto che, in realtà, esso è costituito da due aceri distinti, saldati alla base fino a un paio di metri di altezza. La circonferenza dell’insieme, all’altezza di m. 1,30 dal suolo era di m. 6,60 nel 1988. Si può ipotizzare che nei 25 anni trascorsi essa possa essersi incrementata di diversi centimetri. Uno dei due tronchi è cavo tanto che può contenere tranquillamente un uomo in piedi.

Secondo i montanari di Pizzone, sull’Acero veglierebbe un qualche sortilegio. Non si spiegherebbe, altrimenti, come mai tutte le valanghe che da secoli scendono giù per il canalone di Valle Ura, schiantando tutti i faggi che incontrano sul loro cammino, si limitano a sfiorare il suo piede senza mai travolgerlo. La ragione risiederebbe in un patto che antichi briganti fecero con il diavolo. Essi avrebbero nascosto un tesoro frutto delle loro rapine sotto il terreno nella cavità dell’acero. Per assicurarsi la protezione di Satana, essi gli avrebbero sacrificato un neonato, sgozzandolo sopra il terreno che copriva il tesoro. Da allora, il diavolo ha sempre mantenuto il patto di sangue stipulato sì che, ogni volta che qualcuno si azzarda a tentare di trafugare il tesoro, all’improvviso attorno all’acero si scatena una tempesta di vento, pioggia e fulmini che mette in fuga gli incauti.

Si racconta che una volta, in piena notte, alcuni montanari avrebbero tentato l’impresa. Giunti davanti all’acero, furono raggelati da due occhi gialli, fosforescenti, che li fissavano dal fondo della caverna. Si trattava probabilmente di un gufo o un animale simile, ma si conoscono bene gli effetti della paura. Gli ardimentosi se la diedero a gambe senza più tornare indietro.

da Gli Alberi di Valido Capodarca

I particolari in:
Abruzzo, sessanta alberi da salvare – Edizioni Il Vantaggio – Firenze, 1988.

Precedente articolo con fotografie ed ubicazione dell’acero a questo link

 

Le foto e i racconti di alberi di Valido Capodarca

Ripercorriamo un po’ le storie, rivedendo le quasi 800 foto con le descrizioni di grandi alberi che Valido Capodarca ha pubblicato in questi ultimi anni su facebook.  Lui ci ha autorizzati alla divulgazione anche sul nostro sito.

Nei racconti e nelle foto c’è l’Italia, ci sono le regioni, le comunità, i borghi, le località, le persone e in particolare c’è l’amore di Valido per gli alberi. Una vita da cercatore di alberi, uno scrittore, una passione, un grande impegno, una conoscenza e che riassumiamo in un unica frase: “I grandi alberi di Valido”. Grazie Valido: i migliaia di alberi raccontati e fotografati sono un po’ tutti tuoi.

Adesso li stai regalando anche a noi di molisealberi con immagini, fotografie descrizioni, storie, anedotti, leggende. Riesci a farceli amare giorno per giorno. Citiamo una frase di un suo libro: “Caro lettore, che il grande albero, anche se al primo impatto può fornire una rassicurabile senzazione di solidità, di salute, di forza di eternità, è in realta quanto di più fragile possa esistere tra gli esseri viventi. Gli alberi, crescono vivono, fanno carriera, si ammalano, muoiono”.

Fatte queste premesse, partiamo nel lungo viaggio di Valido in molte regioni d’Italia alla ricerca dei grandi alberi. Molti post sono ripresi anche dai suoi libri, ne citiamo alcuni: Toscana cento Alberi da Salvare (1983), Marche cinquanta alberi da salvare (1984), Emilia Romagna,ottanta alberi da salvare (1986) Abruzzo, sessanta alberi da Salvare (1988). Gli alberi monumentali della Toscna (2003). Alberi monumentali delle Marche (2007). Valido poi ha deciso di appendere rotella metrica e penna con cui ha raccontato di migliaia di alberi. Noi non ci abbiamo mai creduto. Lui continua a descrivere di alberi su facebook perchè il mondo dei grandi alberi come egli stesso dice è un libro sempre aperto. C’è sempre qualcuno che deve continuare a riprendere rotella e penna per mantenere questo libro aperto.

Come lo stesso Valido dice alla fine del suo libro sui grandi alberi della sua Regione Marche: “Appendo a quel chiodo la penna e la bindella. Ogni tanto, mi affaccerò alla porta della stanza a controllare, con la speranza, un giorno, di non trovarcele perchè questo significherà che qualcuno le avrà riprese e starà continuando il lavoro da me cominciato trent’anni fa”.  Di nuovo grazie Valido per quello che hai fatto per gli alberi e per quello che ci hai insegnato.

Non potevamo che partire dalla prima foto che Lui ha inserito sul facebook nel 2012.  Si tratta di una coppia tra un leccio e un pino domestico ad indicare l’unione tra gli alberi. Ecco il suo primo racconto:
lecc
QUESTO MATRIMONIO NON S’HA DA FARE
E’ stata, questa, la prima foto da me pubblicata su Facebook, il 18 maggio 2012, ma senza adeguata spiegazione di quanto esposto, come ho poi imparato a fare in seguito. Ritengo che pochi ricordino questi due alberi, in ogni caso, non avendo spiegato di cosa si tratti, ritengo opportuno riproporre la foto con l’opportuna didascalia. La coppia di alberi è costituita da un leccio e un pino domestico, e si trova accanto alla casa di campagna della famiglia Mercuri, in località Cortaglie, in comune di Montelparo (FM). Per Cortaglie si intende una delle due vallette che sono alla testata del torrente Indaco, affluente dell’Aso.
La curiosa figura è composta da due elementi molto poco omogenei: un leccio di dimensioni ordinarie, e un pino che, con m. 3,60 di circonferenza, è uno dei più grandi delle Marche e può accreditarsi del titolo di albero monumentale. Qui, però, ancor più monumentale è ”la strana coppia”. Non si sa se per intenzione di qualcuno o per un evento naturale, i due alberi sono nati e cresciuti estremamente vicini, tanto che sembrano l’uno abbracciato all’altro. Addirittura un ramo del leccio si e ricavato un incavo nel ramo del suo compagno. A causa della eccessiva diversità tra le specie, non si è verificata nessuna anastomosi, in quanto i due rami non sono saldati e non c’è travaso di linfa da una specie all’altra.
L’abbraccio, comunque, c’è, e forte, ma i due alberi hanno trovato il giusto modo per convivere e, più che lottare, sembra che si abbraccino.

Valido Capodarca

Camaldoli – Il Castagno di Miraglia

Specie: Castanea sativa L.(Castagno)
Comune: Poppi (AR)
Località: Metaleto (vivaio)
Circonferenza: 8,5 mt, scesa rispetto a 9,30 di Valido Capodarca censita nel 1980
Età: circa 400-500 anni (difficile, sicuramente sopra i 300)
Quota: 900 mslm

Camaldoli - Il Castagno di Miraglia  Siamo vicino a Camaldoli, in provincia di Arezzo, tra castagni monumentali. Siamo andati a trovare la pianta più conosciuta all’interno del Parco delle Foreste Casentinesi. Si trova nel vivaio forestale di Metaleto. Le sue dimensioni sono eccezionali.

Per i tanti visitatori e per evitare danni all’albero, è stata costruita una staccionata intorno. Le condizioni per noi non appaiono buone. L’età si comincia a sentire. La cavità nel tronco è una caratteristica che lo rende molto particolare ed unico per la sua grandezza. Si rimane sempre affascinati da questi monumenti della natura. Chiamato il Castagno di Miraglia forse per volontà del direttore del Ministero dell’Agricoltura, Nicola Miraglia che alla fine dell’800 dedicò questa pianta in onore della moglie, la contessa Elena Mazzarini. Non è da tutti dedicare un simile monumento di 300-400 anni alla propria moglie e per lo più contessa. Si racconta anche che la contessa fece mettere un piccolo tavolino e due sedie all’interno della grande cavità dell’albero dove trascorreva lunghe ore a ricamare. Il tavolo comunque c’era (lo dice Valido Capodarca) ed è rimasto a lungo anche come centro per “banchetti” forse di castagne.

Valido Capdarca, ci racconta di un’altra credenza popolare legata al nome dell’albero. Nella prima metà del Novecento venne visto per diverso tempo da quelle parti un ammiraglio il quale, ritiratosi in pensione, amava trascorrere gran parte del suo tempo in contemplazione davanti al castagno. L’azione del “mirare” (ammirare), associata al grado militare prestigioso, avrebbe originato il nome.

Castagnodimiraglia2Per maggiori dettagli l’articolo di Valido Capodarca é a questo link oppure sul sito di Eno Santecchia nella sezione dedicata agli alberi.

 

Vastogirardi – r’fajone un buco nel tronco e qualche ramo che cade

R’ Fajone o meglio “r’faone” il più grande faggio d’Italia con una circonferenza misurata di 7,20 mt da Valido Capodarca  comincia a perdere qualche pezzo.

Come lui stesso afferma:

“Eh, sì. Credo che il destino del più grande faggio d’Italia sia questo, speriamo il più tardi possibile, magari fra cento anni: una tempesta di vento, più forte del solito, lo farà crollare al suolo, col tronco spezzato a pochi metri da terra. Intanto continuiamo a godercelo!

Nelle foto si vede il buco nel tronco in basso e un ramo spezzato che cadendo ha rotto parte della staccionata sottostante.

 

Perchè ancora scrivere di grandi alberi ?

Nonostante siano passati otto anni da quando scrivemmo quest’articolo sul  sito Molise Alberi noi dell’Asociazione Ophrys ancora continuiamo a richiamare l’attenzione verso i “Grandi Alberi” chiamati anche “Alberi monumentali” o più in generale “Patriarchi della natura”. Molte cose sono cambiate in questi anni, abbiamo visto un maggiore interesse verso la “cultura” degli alberi, ci sono stati studi, ricerche, sono nati siti internet, sono stati scritti libri, sono aumentati i dibattiti e le conferenze sui grandi alberi, sono stati effettuati censimenti dalle regioni, è stata promulgata una legge nazionale nel febbraio 2013 per la loro “monumentalità” per il ritorno alle giornate e alle feste dell’albero. Abbiamo notato una maggiore conoscenza, forse più consapevolezza sulla salvaguardia, tutela e valorizzazione dei grandi alberi e dei boschi. Le informazioni viaggiano molto veloci sulla rete, tutti possono leggere sul nostro gruppo facebook e in molti altri siti e gruppi, molto meglio del nostro della storia di un  albero in un comune, in una località, in una regione dove si abita oppure guardare velocemente le migliaia di foto di “grandi e  bellissimi alberi sparsi un  po’ dappertutto in Italia e nel mondo.

Gli alberi,  comunque, vanno un po’ più lentamente, vivono più di noi ci raccontano sempre qualcosa, ci fanno provare delle sensazioni nuove, non tanto con la fotografia ma quando ci si avvicina a loro “realmente”. Esortiamo a fermarsi più spesso vicino e sotto ad un grande e bell’albero, anche del proprio giardino. Fermiamoci pochi minuti ad osservare e a pensare, pare che abbracciando un albero si riduce anche lo stress e l’ansia accumulata giornalmente. Poi c’è sempre una storia, una leggenda, una curiosità dietro un “grande albero”.

Ecco il primo articolo del nostro vecchio sito del 2006 un po’ aggiornato:

Nello scrivere sugli “Alberi monumentali” abbiamo svolto una breve ricerca bibliografica. Esistono libri, studi, pubblicazioni, guide, censimenti, normative forse un po’ disaggregate a partire già dagli anni 70 in quasi tutte le regioni e province italiane. Si cita una pubblicazione di Franco Tassi “ Le radici dei Patriarchi” il libro “Alberi Monumentali d’Italia” di Bortolotti e Alessandrini e delle prime iniziative del WWF con la “Campagna per i Grandi Alberi” per la sensibilizzazione dell’opinione pubblica e degli amministratori sui molteplici valori degli alberi monumentali e l’incremento delle forme di tutela attraverso mirate azioni politico-istituzionali. Obiettivo era quello di creare un repertorio degli alberi monumentali d’ Italia e una banca dati sui patriarchi verdi. Si fa cenno anche alla guida di Lega Ambiente “Alberi monumentali d’ Italia” e della campagna “Un albero per amico”.

Altra iniziativa fu l’individuazione “alberi di notevole interesse”, lanciata agli inizi degli anni 80, dal Corpo Forestale dello Stato, che ha raccolto numerosi dati. Sono stati segnalati migliaia di alberi. I risultati sono stati pubblicati in una grande libro.  E’ stata una lunga e difficile indagine per l’alto significato culturale come si riprende dallo stesso sito del corpo forestale perché il censimento, infatti, non ha interessato gli alberi come categoria vegetale, o come risorsa economica, ma singoli soggetti arborei che hanno una propria “individualità” per essere eccezionalmente vecchi, per essere stati protagonisti di episodi storici o per essere legati alla vita di grandi uomini o di Santi. Con questa e unica iniziativa di individuare gli “alberi di notevole interesse”, il Corpo forestale dello Stato ha raccolto una massa imponente di dati: 22.000 schede di alberi di particolare interesse che sono state poi ulteriormente selezionate, fino ad individuare 2.000 esemplari di grande interesse e, fra di essi, 150 che presentano un eccezionale valore storico o monumentale. E’ chiaro che un censimento di questo tipo non può che restare aperto ad ulteriori revisioni ed acquisizioni, perché il nostro territorio presenta tante “pieghe” che possono essere sfuggite all’occhio dei Forestali, ed e’ talmente ricco di storia e tradizioni locali che e’ difficile raccogliere tutte le testimonianze legate agli alberi.

I dati che suscitano immediato interesse sono alcuni “primati”. L’albero più grande d’Italia veniva considerato il “Castagno dei Cento Cavalli ” in comune di Sant’Alfio (CT), seguito da un castagno un po’ più “piccolo”, che cresce nel comune di Mascali (CT) e il cui tronco misura 20 metri di circonferenza.

Sempre secondo le indagini del corpo forestale l’albero più alto, e qui la cosa e’ controversa poiche’ e’ più difficile misurare le altezze che le circonferenze, dovrebbe essere un Liriodendro che cresce nel parco Besana di Sirtori (Lecco) o forse una delle Sequoie sempreverdi che crescono nel Parco Burcina di Pollone (VC). In entrambi i casi si tratta di piante esotiche. La loro altezza si aggira sui 50 metri. Ancora più difficile e’ stabilire quale sia l’albero più vecchio d’Italia. Probabilmente questo primato spetta ad un oleastro, specie notoriamente di lento accrescimento, che dovrebbe impiegare oltre due millenni per raggiungere le eccezionali dimensioni che oggi presenta l’oleastro di San Baltolu di Luras (SS), e cioè una circonferenza del tronco di 11 metri e 80 ed un’altezza di 15 metri. (ripetiamo i dati sono del 1982)

Che degli alberi, anche nel nostro Paese, possano raggiungere età cosi venerande potrebbe essere verificato con il conteggio degli anelli annuali, ma per i grandi esemplari arborei questa operazione, purtroppo, si può compiere solo dopo la morte. Per un grande Larice della Val d’Ultimo, al limite del Parco nazionale dello Stelvio, ciò é stato possibile per comparazione. In quella valle nei pressi di S. Geltrude (BZ), vi sono tre larici venerandi, il più grosso dei quali misura m. 8,20 di circonferenza e 28 di altezza. Un quarto esemplare, che misurava metri 7,80 di circonferenza, venne sradicato da una bufera nel 1930. Sulla ceppaia vennero contati 2.200 anelli, probabile età anche degli alberi rimasti.

Molti alberi sono legati alla vita dei Santi e per questo si sono conservati nei secoli fino ai giorni nostri. Il Santo a cui sono legati più alberi, forse per l’amore per tutte le creature che lo animava, e’ S. Francesco d’Assisi e l’albero francescano più famoso, e’ quello della predica agli uccelli, rappresentato da Giotto alla fine del XII secolo negli affreschi della Basilica superiore d’Assisi. Tra i grandi personaggi storici il cui ricordo vive anche attraverso gli alberi, al primo posto si colloca Garibaldi ricordato a Caprera, sull’Aspromonte, a Todi e in altre località. E’ invece morta la famosa “Quercia del Tasso”, di cui rimane soltanto il tronco inaridito. Vicino al rudere venerando, cresce un’altra quercia, già di notevoli dimensioni, destinata a prenderne il posto e il nome. Questo processo di sostituzione e’ avvenuto, evidentemente, in altri casi dove l’età desumibile dalle dimensioni dell’albero e’ palesemente in contraddizione con l’età che ad esso attribuisce la tradizione. La sostituzione in questi casi non e’ un falso. Essa risponde al desiderio di perpetuare una tradizione o una memoria anche al di la’ dell’arco di vita di una pianta.

Tra gli alberi legati ad episodi storici, vanno ricordati gli “Alberi della Libertà”, piantati dagli aderenti ai moti carbonari nella prima meta’ del secolo passato, mentre fra gli alberi legati ad usi e tradizioni si può ricordare il Cerro di Vetralla (VT) ai piedi del quale ogni anno si celebra lo “Sposalizio dell’albero”, cerimonia analoga allo “Sposalizio del mare”, che il Doge di Venezia celebrava gettando l’anello nella Laguna. Non e’ stato invece ritrovato il mitico “Noce di Benevento”, ammesso che sia mai esistito. Sotto di esso, secondo la leggenda, si intrecciavano le danze delle streghe. Una “Quercia delle streghe” invece, esiste in Comune di Capannori (LU), e probabilmente questo nome le e’ stato attribuito per l’aspetto bizzarro e un po’ tetro.  La descrive sempre  meglio il nostro amico Tiziano Fratus “l’Uomo Radice” in questo articolo del 2012 sulla Stampa. Un’altra leggenda vuole che questa Quercia ha ispirato Collodi nel Suo Pinocchio ed è diventata la quercia dove furno nascosti i denari. Qui le foto di Tiziano Fratus.

Ci preme, in particolare, sottolineare la passione e l’amore di semplici cittadini che in giro per l’Italia hanno trovato piante belle e suggestive. Il capitano Valido Capodarca già negli anni 80 ha scritto dei libri che hanno fatto storia come: “Toscana 100 alberi da salvare”, “Marche, 50 alberi da salvare”; “Emilia Romagna 80 alberi da salvare”; “Abruzzo 60 alberi da salvare” e altri . Abbiamo letto alcuni di questi libri, sono semplici e ci raccontano la storia, le tradizioni le leggende e le testimonianze, tutte legate ai nostri patriarchi naturali. Oggi (2014)  scrive nel nostro gruppo di facebook quasi ogni giorno e noi lo ringraziamo pubblicamnete raccontatoci ancora storie leggende curiosità sui grandi alberi. Dal 01/02/2013 nel nostro gruppo il “grande” Valido Capodarca non solo ha inserito circa 400 foto di grandi alberi ma per ognuno ci fornisce una descrizione,  un racconto… una storia…  sempre emozionante e di grande interesse anche per quegli alberi che oggi non ci sono più.

Ecco il primo articolo che ha scritto Valido Capodarca sul nostro Gruppo “molisealberi” di facebook in riferimento all’Acero di Valle Ura di Pizzone. Un vero omaggio a noi di molisealberi e a tutti i molisani crediamo.  L’articolo è del 1988 (noi non sapevamo niente sui grandi alberi) ed è tratto dal Suo libro “Abruzzo Sessanta Alberi da salvare” un po’ “la bibbia” per i grandi alberi  in molise e in abruzzo.

UN ACERO INCANTATO di Valido Capodarca
acerovalleura3gfSe qualcuno è alla ricerca di un acero che sia fa i più grandi d’Italia, che sia di aspetto assolutamente singolare, e che sia dotato di una storia straordinaria, eccolo servito: il monumentale Acero di Valle Ura, in comune di Pizzone, in pieno Parco Nazionale d’Abruzzo, è l’albero che fa al caso suo. La singolarità dell’albero sta nel fatto che, in realtà, esso è costituito da due aceri distinti, saldati alla base fino a un paio di metri di altezza. La circonferenza dell’insieme, all’altezza di m. 1,30 dal suolo era di m. 6,60 nel 1988. Si può ipotizzare che nei 25 anni trascorsi essa possa essersi incrementata di diversi centimetri. Uno dei due tronchi è cavo tanto che può contenere tranquillamente un uomo in piedi. Tuttavia, confrontando la foto che ci manda Alfonso Notardonato con quella che appare nel mio vecchio libro sull’Abruzzo, balza all’evidenza un notevole restringimento dell’apertura (25 anni fa, l’uomo all’interno si sarebbe agevolmente affacciato alla finestra).

Acero di Valle Ura Secondo i montanari di Pizzone, sull’Acero veglierebbe un qualche sortilegio. Non si spiegherebbe, altrimenti, come mai tutte le valanghe che da secoli scendono giù per il canalone di Valle Ura, schiantando tutti i faggi che incontrano sul loro cammino, si limitano a sfiorare il suo piede senza mai travolgerlo. La ragione risiederebbe in un patto che antichi briganti fecero con il diavolo. Essi avrebbero nascosto un tesoro frutto delle loro rapine sotto il terreno nella cavità dell’acero. Per assicurarsi la protezione di Satana, essi gli avrebbero sacrificato un neonato, sgozzandolo sopra il terreno che copriva il tesoro. Da allora, il diavolo ha sempre mantenuto il patto di sangue stipulato sì che, ogni volta che qualcuno si azzarda a tentare di trafugare il tesoro, all’improvviso attorno all’acero si scatena una tempesta di vento, pioggia e fulmini che mette in fuga gli incauti. Si racconta che una volta, in piena notte, alcuni montanari avrebbero tentato l’impresa. Giunti davanti all’acero, furono raggelati da due occhi gialli, fosforescenti, che li fissavano dal fondo della caverna. Si trattava probabilmente di un gufo a animale simile ma si conoscono bene gli effetti della paura. Gli ardimentosi se la diedero a gambe senza più tornare indietro.

I particolari in: Abruzzo, sessanta alberi da salvare – Edizioni Il Vantaggio – Firenze, 1988.

Questo raccontato è un esempio ed e’ evidente la ricchezza degli spunti culturali, oltre che naturalistici, legati alla vita degli alberi. Ma nel momento in cui il nostro patrimonio arboreo viene colpito da malattie di varia origine, occorre avere una cura particolare per i vecchi alberi, che fra tutti sono quelli sicuramente più esposti ai rischi maggiori. Perderli significherebbe rinunciare ad alcune pagine della nostra storia. Perderli significa anche non avere un po’ di rispetto per loro.  Per i  motivi suddetti continuiamo a scrivere di grandi alberi.

Fonti:

Valido Capodarca www.capodarca.com

Tiziano Fratus http://homoradixnew.wordpress.com/

Intervista tra cercatori di alberi  di Tiziano Fratus a Valido Capodarca

www.corpoforestale.it

Una vecchia intervista a Valido Capodarca il custode degli alberi monumentali

Riprendiamo una vecchia intervista del 2010 a Valido Capodarca dal sito Florablog

Senza Valido Capodarca e il suo amore per gli alberi monumentali forse oggi saremmo tutti un po’ più poveri. Nata quasi per caso alla fine degli anni settanta, la sua passione per queste piante è andata a colmare una grave lacuna del nostro patrimonio ambientale che, fino ad allora, non contemplava nessun elenco o censimento degli esemplari di alberi cosiddetti “monumentali”, ritenuti cioè, per un motivo o per un altro, di grande valore, non solo naturalistico ma anche culturale.

E così, a partire da quegli anni, ufficiale dell’esercito di stanza a Firenze (come spesso succede nella vita, le passioni non coincidono di solito con la principale attività lavorativa), Capodarca ha cominciato a ricercare, fotografare e misurare questi monumenti della natura fino a raccogliere materiale sufficiente per un primo libro (Toscana, cento alberi da salvare – Vallecchi Editore – Firenze – 1983) e a dare di fatto il via a un censimento degli alberi monumentali a livello nazionale e soprattutto a far nascere verso questi esemplari quella coscienza e quella sensibilità che oggi paiono acquisite ma che già pochi anni fa erano poco considerate.
Visto che anche questo blog si interessa all’argomento ho approfittato della gentilezza di Valido Capodarca per rivolgergli qualche domanda sulla sua esperienza. Ne è nata un’intervista a distanza che vi consiglio caldamente di leggere perché è ricca di spunti, aneddoti e insegnamenti davvero interessanti, oltre a contenere un’imperdibile quanto “sofferta” (perché comunque incompleta) top ten degli alberi monumentali d’Italia da vedere assolutamente.

Innanzitutto qualcosa su di lei: chi è Valido Capodarca?
Sono nato a Porchia, frazione di Montalto Marche, l’8 agosto 1945 (due giorni dopo la bomba di Hiroshima e un giorno prima di quella di Nagasaki). Sono sposato e ha due figli, una femmina di 37 anni e un maschio di 33. Ho trascorso l’infanzia a Ortezzano (AP), la giovinezza a Fermo (AP), laureandomi in Lingue e Letterature Straniere Moderne presso l’Università di Macerata. Nel 1970 ho intrapreso la carriera militare quale Ufficiale del Corpo Automobilistico dell’Esercito, facendo servizio per 3 anni a Roma e 27 anni a Firenze. In pensione dal primo gennaio 2001, sono tornato ad abitare a Fermo dove coltivo il mio campicello di 3000 mq, faccio volontariato come autista della Croce Verde Valdaso, suono la tastiera nel complesso orchestrale “I Diamanti”, canto nella corale San Bartolomeo di Campofilone nella sezione tenori e soprattutto continuo a scrivere libri (tre libri sono stati pubblicati dopo il pensionamento e un quarto è in fase di pubblicazione) e tengo conferenze sul tema dei grandi alberi.

Quando e perché è nata la sua passione per gli alberi monumentali?
La passione per gli alberi nacque in un giorno del 1978 quando, partecipando a un’esercitazione con carri armati nella zona di Monteromano, vidi un carro che buttava giù senza pudore alcuni alberelli. “Povere querce!” esclamai.
“Ma tu riconosci gli alberi? – mi chiese il mio collega, tenente Vellico – per me sono verdura e basta!” Certo che li conosco – risposi – quasi tutti!”. Poi, fra me, dovetti riconoscere che, se mi guardavo intorno, avrei saputo dare un nome a nemmeno il 10 per cento degli alberi che incontravo. Così acquistai il libro “Conoscere gli alberi” di G. Voghi, e cominciai a guardarmi in giro per dare un nome a ogni albero. Andando in giro con i miei bambini, feci loro delle foto accanto ad alcuni alberi che mi avevano colpito per le loro dimensioni e misi le foto negli album di famiglia. Una sera, riordinando gli album, mi accorsi che c’erano tre foto di altrettanti grandi alberi e mi venne l’idea di riempire un album con questi soggetti. Dapprima mi recai a fotografare i due o tre che conoscevo già, poi cominciai ad informarmi su dove avrei potuto trovarne altri e a cercare pubblicazioni sul tema. Con mia sorpresa, mi accorsi che non esisteva alcuna pubblicazione, non esistevano elenchi di censimenti effettuati, né presso la forestale né presso la soprintendenza ai monumenti. Perciò il censimento me lo feci da solo, domandando a parroci, a gente anziana, ad agenti delle stazioni forestali, a chiunque.
Per curiosità, cominciai a misurare gli alberi che trovavo e, man mano che li mettevo nell’album, scrivevo accanto alle foto la località, le misure, l’età presunta, e tutte le curiosità che la gente mi raccontava. Presto un album non bastò più, e ne feci due, uno per la Toscana, uno per le Marche, poi non bastarono più neppure quelli, e ne feci uno per ogni provincia. Le annotazioni si arricchivano, diventando dei testi di una certa ampiezza, fino a che mi accorsi che in pratica avevo scritto dei libri. Ragruppando le province, sarebbe venuto un libro per la Toscana e uno per le Marche. Su suggerimento di un amico, inoltrai la proposta alla Casa Editrice Vallecchi, che apprezzò l’idea e fece uscire il mio primo libro “Toscana,cento alberi da salvare”; l’anno dopo, a seguito del successo del primo, uscì quello sulle Marche, seguito da altri ancora.

Quali sono le sue opere sull’argomento?
Toscana, cento alberi da salvare
 – Vallecchi Editore – Firenze – 1983
Marche, cinquanta alberi da salvare
 – Vallecchi Editore – Firenze, 1984
Emilia Romagna, ottanta alberi da salvare
 – Vallecchi Editore – Firenze, 1986;
Abruzzo, sessanta alberi da salvare
 – Edizioni Il Vantaggio – Firenze, 1988;
Alberi Monumentali di Firenze e Provincia
 – EDIFIR- Firenze 2001
Alberi Monumentali della Toscana
 – EDIFIR – 2003
Alberi Monumentali delle Marche
 – Scocco Editore – Macerata, 2008
In fase di realizzazione: Alberi Monumentali del Lazio – Casa Editrice Aracne, data prevista 2010.
Ho scritto, inoltre:
Ultime voci dalla Grande Guerra (1915-1918) – Brancato Editore – Firenze 1991
Immagini ed Evoluzione del Corpo Automobilistico – in tre volumi – ROMA 1994,1995

Cosa ci insegnano gli alberi monumentali?
Gli alberi monumentali non hanno pretesa di insegnarci nulla. Sono creature miti, ci chiedono solo di esistere e ci ricambiano con la loro bellezza. La loro bellezza è la loro unica difesa, ma non sempre è sufficiente.
A saperli leggere, ci saprebbero raccontare tante cose del nostro passato. Una volta capitai con un esperto maresciallo forestale vicino a un vecchio cipresso. Io non vi leggevo quasi nulla; invece il maresciallo cominciò ad esplorare ogni traccia e, pur senza conoscere la pianta, me ne seppe raccontare tutta la vita: quanti anni aveva, quante malattie aveva avuto, incidenti subiti, interventi effettuati ed epoca degli stessi, ecc. Alla fine il cipresso era diventato un libro aperto.

Nel Paese del cemento e delle frane, dove il 70% del territorio è a rischio idrogeologico (fonte Legambiente), che spazio possono trovare questi “miracolati” della Natura?
È ovvio che da solo, un grande albero può poco, anche se certamente può più di un albero comune. Il mio paese d’origine, Porchia, si dice sche si regga sulle radici di una enorme quercia abbattuta 57 anni fa. Il paese sorge, infatti, su una rupe di arenaria, fiancheggiata da due fossi che confluiscono nello stesso punto nel torrente Menocchia. Proprio sotto Porchia, nel pendio che scende verso il fosso di destra, chiamato Munata, c’era questa enorme Quercia chiamata, appunto, Lu Cerquò (il Quercione). Esso venne abbattuto nel 1953, per essere venduto ai cantieri di san Benedetto del Tronto ma, una volta tagliato, nessuna macchina riuscì mai a recupararlo dal fondo del fosso dov’era precipitato e costituì riserva di legna per i porchiesi per diversi anni. Qualche anno dopo, un porchiese effettuò degli scavi nella sua cantina situata sul pendio del fosso di destra, cioè dall’altra parte del paese, e rinvenne delle radici, ancora fresche, che provenivano dalla parte opposta.
Erano proprio le radici del Quercione che avevano attraversato tutta la collina ed erano sbucate dall’altra parte (distanza, più di cento metri). In pratica, l’apparato radicale del Quercione ha costituito un graticcio sotto il paese che lo garantisce dalle frane.
Immaginiamo in quale misura la presenza di dieci alberi di quella sorta avrebbero impedito le recenti frane di San Fratello e di Maierato.
C’è da aggiungere che, essendo arrivati alla loro età e alle loro dimensioni, devono possedere un patrimonio genetico non comune. Potrebbero perciò essere usati i loro semi o le loro talee per produrre individui più resistenti. Questo è stato fatto, ad esempio, dal Corpo Forestale, con l’Olmo di Campagnola Emilia, albero colossale e bellissimo il quale, non si sa perché, è sopravvissuto alla grafiosi che ha sterminato tutti gli olmi, grandi e piccoli, del nostro Paese.

È ancora possibile, nell’Italia del 2010, scoprire un nuovo esemplare di albero monumentale?
Quando mandai alle stampe il mio primo libro, domandai al maresciallo forestale Urbano Livi, della stazione forestale di Siena, se qualche albero avrebbe potuto essermi sfuggito. “Lei potrà cercare per venti anni – mi rispose il sottufficiale – poi, quando sarà convinto di averli trovati tutti, uscirà fuori qualcuno a segnalarle un grande albero che le sarà sfuggito”. Profezia azzeccatissima. Non da 20 anni, ma da 30, giro le Marche e ricevo informazioni da decine di persone. Avevo appena ritirato dall’Editore Scocco il libro fresco di stampa, frutto di questi 30 anni di ricerche e stavo tornando a casa quando, scendendo da Macerata (città dove avevo frequentato l’Università e che conoscevo come le mie tasche, o credevo di conoscere), dentro un giardino vidi una quercia fuori del comune: quasi 5 metri di circonferenza e
un aspetto antichissimo, di almeno 500 anni. Dov’era stata fino a quel momento? Eppure non è che fosse tanto nascosta, stava dentro un giardino pubblico, circondata da giochi per bambini. Ed era sfuggita perfino all’ufficio ambiente del Comune, che aveva censito gli alberi di Macerata, e su quelli più importanti aveva apposto dei cartelli  informativi. Tra qualche giorno andrò in provincia di Rieti, a fotografare alcuni alberi (già noti) per il libro sul Lazio, e sono certo che nel corso del viaggio farò qualche nuova scoperta.

In conclusione, ci dica almeno 10 alberi del nostro Paese da vedere assolutamente
È, questa, forse la domanda più difficile. Perché qualunque albero io metta fra i primi dieci in Italia, poi avrei il rimorso per quelli che ho tralasciato. Comunque, collocato al primo posto, per età e fama, direi il Castagno dei Cento Cavalli, a Sant’Alfio (CT), poi citerei l’Olivastro di Luras (SS), il Platano di Caprino Veronese, la Roverella di Patrica, il Ficus di Piazza Garibaldi a Palermo, i Larici della Val d’Ultimo (BZ) e poi il Tiglio di Macugnaga, sul Monte Rosa, il Platano di Villa Olmo a Como, la Quercia di Bertiolo (PN) e il Platano di Curinga (CZ).