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L’Area MAB di Collemeluccio (quarta parte)

Riserva MAB Montedimezzo e Collemeluccio
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Un po’ tormentata la stora della foresta di Collemeluccio in quest’ultimo secolo. Divisioni tra proprietari, metodi e tecniche selvicolturali diverse secondo le necessità del periodo e ovviamente differenti risultati. Il bosco fino alla ricomposizione avvenuta alla fine degli anni ’60, è stato trattato come un ceduo per alcune aree e a fustaia in altre. Poi in alcune zone si è favorita la proliferazione del cerro, mentre in altre quella dell’abete bianco. Attualmente gli interventi selvicolturali sono stati limitati al minimo indispensabile ed utilizzando metodologie di selvicoltura “naturalistica” orientati a favorire il ritorno della foresta ad una condizione di “naturalità” e di equilibrio con le condizioni locali. Equilibrio che non si raggiunge rapidamente, per un bosco cerro-abete.

Logo Riserva MAB Alto Molise
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Gli interventi di taglio nella riserva sono ormai quasi totalmente cessati, anche se si ritiene che degli sfoltimenti per alcune piante siano necessari. Sono stati, invece, recentemente ripresi gli interventi finalizzati a prevenire gli incendi nell’area protetta che si collocano nel più ampio contesto delle iniziative volte a proteggere e a preservare questo pregevole ambiente naturale. Infatti esiste un piano prevenzione agli incendi boschivi come stabilito dalla legge. Esso consiste nella ripulitura di fasce tagliafuoco lungo la viabilità pubblica e lungo la strada di servizio e i sentieri principali che corrono internamente alla foresta e lungo i suoi margini, il tutto annualmente percorso da numerosi visitatori. Nelle zone più “sensibili” si provvede altresì alla rimozione della legna “morta” in eccesso frequentemente rappresentata da soggetti ultra maturi di abete che, a causa di intemperie e di altre di natura biologica (es. attacchi fungini da Fomes), subiscono schianti e sradicamenti.

Ringraziamenti:

Si ringrazia il sito Agraria.org che ha ripreso una nostra foto e che ci ha citati.

Inoltre si segnala il sito Riserve MAB Alto Molise

Pescolanciano L’abetina di Collemeluccio  (prima parte)
Pescolanciano – La Riserva di Collemeluccio (seconda parte)
Il Piano di Gestione della Riserva di Collemeluccio (terza parte)

Pescolanciano Prati di Collemeluccio

Il Piano di Gestione della Riserva di Collemeluccio (Terza parte)

Parliamo brevemente del Piano di Gestione della Riserva di Collemeluccio a Pescolanciano.

Il Piano proponeva delle prescrizioni di intervento selvicolturale per la conversione ad alto fusto del ceduo di cerro costituitosi all’interno dell’abetaia in seguito alle intense utilizzazioni e antropizzazioni che il bosco aveva subito nell’arco delle due guerre mondiali.
L’esecuzione di un primo intervento preparatorio di avviamento ad alto fusto era previsto adottando la tecnica consigliata da Ezio Magini (1917-2000) negli anni 70 che può essere riassunta in quattro punti essenziali:
1. Eliminazione preliminare di tutto il piano sottoposto (ripulitura) togliendo tutte le piante ed i polloni alti meno di 3-3,5 metri. Tale prescrizione fu modificata dalle modalità di intervento previste dal Piano di Gestione Naturalistica, che limitava radicalmente l’intervento nel sottopiano arboreo, come salvaguardia della biodiversità all’interno del bosco.
2. Diradamento energico del piano dominante lasciando il migliore pollone per ceppaia (raramente due, ma non più).
3. La densità dei polloni da conservare nel piano dominante è stata regolata in funzione della loro altezza: per un’altezza media di 10-12 m i polloni da lasciare vanno da 1300 a 1600 per ettaro; per un’altezza media di 10-12 m pari a 8-9 m il numero dei polloni varia fra 2300 e 2600 per ettaro.
4. I polloni dominati (in sovrannumero) devono essere tolti dalle ceppaie nelle quali vengono riservati 1 o 2 polloni dominanti; sono invece rilasciati sulle ceppaie dominate, purché di altezza superiore a 3-3,5 m.

I criteri d’intervento proposti per la conversione ad alto fusto, vennero sconvolti da una “disposizione data sottotraccia” al Piano, che poneva un limite diametrico al taglio di conversione. Tale limite vietando l’utilizzazione dei polloni che presentavano un diametro superiore agli 8 cm, trasformò il processo di conversione in un modesto taglio di ripulitura, che ebbe l’effetto di eliminare solo le piante situate nel piano dominato e soprattutto di non intervenire sui piani dominati e intermedi. Per tale motivo venne l’esigenza di istituire delle aree sperimentali di limitata superficie dove avviare sperimentalmente il protocollo sperimentale proposto da Magini.

Nel 1993 il processo di conversione fu avviato da un primo taglio conversione ad alto fusto con lo scopo di favorire la rinnovazione naturale dell’abete bianco e di altre specie decidue che partecipavano alla mescolanza con la conifera e ripristinare le condizioni strutturali e compositive necessarie all’abete bianco per insediarsi e colonizzare aree boschive precedentemente abbandonate.

EZIO MAGINI:  Massimo studioso di selvicoltura italiana su basi naturali, intesa nel senso più ampio e profondo del termine. Tra i numerosi studi e ricerche ha scritto: Esiste sull’Appennino una varietà di abete bianco? (1973).

Pescolanciano L’abetina di Collemeluccio  (prima parte)

Pescolanciano – La Riserva di Collemeluccio (seconda parte)

L’Area MAB di Collemeluccio (quarta parte)

Mappa di Collemeluccio
Mappa di Collemeluccio

Pescolanciano – La Riserva di Collemeluccio (seconda parte)

Locandina della riserva di Collemeluccio
Locandina della riserva di Collemeluccio

L’altitudine della Riserva di Collemeluccio varia tra i 795 ed i 1.075 m.s.lm, la pendenza è generalmente modesta ed i terreni, del tipo “suolo bruno calcarei”, derivano da un’unica formazione miocenica, costituita da arenarie micacee, argille scistose e calcari marnosi. Le precipitazioni sono in media di 900-1000 mm annui e vi è umidità diffusa e stagnante, specie nelle arre in vicinanza di fossi e valloni. Questa umidità secondo noi crea un microclima e un habitat ideale per le varie specie arboree e arbustive presenti e una biodiversità unica. Il clima meno rigido determina sicuramente accrescimenti delle piante più sostenuti.

Collemeluccio è una eccezionalità dal punto di vista fitosociologico (termine che vuol dire in poche parole le piante-sociali o meglio comunità vegetali  che si associano come indicatori di ambiente). Nonostante il rifornimento di specie dei querceti con cui sono collegati dinamicamente, la foresta di Collemeluccio è stata ascritta all’associazione Aquifolio-Fagetum  caratteristica dei faggeti meridionali. Il pregio di queste cenosi, ampiamente rappresentate all’interno della riserva, consiste sia nell’eccezionalità della consociazione cerro-abete bianco sia nel grado di conservazione che ha consentito di mantenere, nel complesso, un notevole grado di ricchezza di flora.

Nel’ambito della classificazione della Rete Natura 2000 e dalla cartografia della riserva codice  IT212134  (Bosco di Collemeluccio – Selvapiana – Castiglione – La Cocozza) la riserva fa parte quasi completamente  all’habitat numero 09515. Questo habitat significa:  “Boschi relittuali di abete bianco, spesso accompagnati da cerro e faggio, localizzati in aree montane dell’Appennino meridionale, all’interno della fascia potenzialmente occupata dalle faggete“. Tali formazioni vengono comunemente inquadrate nell’alleanza Geranio versicoloris-Fagion sylvaticae. Le Specie guida per l’identificazione dell’habitat 9510 sono Abies alba Mill.,  Fagus sylvatica L. subsp. sylvatica, Quercus cerris L., Geranio versicoloris-Fagion sylvaticae, Anemono penninae-Fagetum sylvaticae.

In Molise solo il bosco degli Abeti Soprani e il  Bosco Vallazzuna hanno l’habitat numero 9510.  Nel gruppo dei siti forestali individuati con il codice 9510 sono comprese, per affinità ecologica e di distribuzione, l’abete accompagnato normalmente da Quercus cerris ma anche, laddove le condizioni microclimatiche sono favorevoli, da Fagus sylvatica. Tra le altre specie che caratterizzano questo sito possiamo citare: Acer lobelii, Adenostyles australis, Alnus cordata, Chardamine caledonia, Doronicum columnae, Geranium versicolor, Lilium croceum, Luzula sieberi, Potentilla micrantha, Ranunculus brutius.

Pescolanciano L’abetina di Collemeluccio  (prima parte)

Il Piano di Gestione della Riserva di Collemeluccio (Terza parte)

L’Area MAB di Collemeluccio (quarta parte)

Collemeluccio Habitata 9510
Collemeluccio Habitata 9510

 

Pescolanciano – L’abetina di Collemeluccio (prima parte)

Mappa di Collemeluccio

Collemeluccio si trova tra Pescolanciano e Pietrabbondante in Alto Molise. La Foresta di Collemeluccio è una consociazione di Abete Bianco con il Cerro. L’abetina ha una valenza ecologica elevata ed è sottoposta a studi e ad una attenta gestione. Abete bianco e Cerro non è facile trovarli insieme nel nostro Appennino molisano. Di solito l’Abete bianco sta in consociazione con il faggio, ma qui scende di quota nel piano della Cerreta. Stranezze della natura.

Il bosco di Collemeluccio per diventare com’è oggi ha aspettato molto tempo, l’uomo ha fatto il resto. L’Abetina di Collemeluccio fa parte di un sito SIC (Sito di importanza Comunitaria) denominato  IT7212134 Bosco di Colle Meluccio – Selvapiana – Castiglione – La Cocozza per una superficie di circa 4000 ettari. L’Abetina di Collemeluccio rientra nell’habitat indicato con il numero  9510 per una superficie di 484 Ettari pari a circa l’8% dell’area SIC L’habitat di Collemeluccio n. 9510 è detto prioritario: “Foreste sud-appenniniche di Abies alba” descritto come: “Boschi relittuali di abete bianco, spesso accompagnati da cerro e faggio, localizzati in aree montane dell’Appennino meridionale, all’interno della fascia potenzialmente occupata dalle faggete”.

Tali formazioni vengono comunemente inquadrate (per chi si occupa un po’ di fitosociologia) nell’alleanza Geranio versicoloris-Fagion sylvaticae. Gli habitat prioritari sono habitat naturali che rischiano di scomparire in Europa e per la cui conservazione un po’ tutti noi abbiamo una grossa responsabilità. Ormai si parla di habitat prioritari dal 1992, anno della “famosa” direttiva Habitat.

Facciamo un po’ di storia del Bosco di Collemeluccio che preferiamo chiamare Foresta. Il nome di Collemeluccio forse deriva dal nome della nobildonna Desiderata Mellucci consorte del duca D’Alessandro di Pescolanciano. Siamo nell’anno 1628 e qui già c’era l’Abete bianco. Prima si chiamava Feudo Vignali o secondo altri: Selva di Santa Maria in Salcito, proprietà del Duca D’Alessandro fino al 1895, anno in cui fu espropriato dal Banco di Napoli ed acquistato da altre  famiglie. Poi la foresta fu suddivisa nel tempo, per una serie di successioni ereditarie, in tante piccole quote (frammentazione fondiaria). A partire dal 1969, la foresta è diventata un bene inalienabile dello Stato, gestito dall’ex Azienda di Stato per le Foreste Demaniali, oggi dall’ Ufficio Territoriale della della Biodiversità di Isernia.

Durante il periodo di gestione privata fino al 1890 circa, il bosco era regolarmente utilizzato ed il legname di abete venduto per travame ed altri prodotti artigianali, con mercato ristretto ai comuni limitrofi. La vendita dell’abete avveniva per alberi in piedi generalmente con diametri superiori a 40-45 cm. Il legname d’abete veniva utilizzato per le manutenzioni dei fabbricati per fare attrezzature varie connesse all’attività agricola e pastorale e anche da artigiani per la trasformazione dei grossi tronchi. Nel 1870 il bosco venne diviso il 8 sezioni per l’utilizzo di una sezione ogni 8 anni seguito poi da un periodo di uguale durata nel quale non era previsto nessun taglio. Il bosco veniva, poi, abbondantemente pascolato, e i D’Alessandro concedevano le fide pascolo per i capi bovini, equini ed ovini.

Le latifoglie generalmente del piano intermedio del bosco consociate alla conifera erano governate a ceduo per la produzione di legna da ardere e carbone vegetale, mentre nel piano dominante si interveniva con un taglio a scelta che interessava le piante di abete di maggiori dimensioni. Sembra tuttavia che, soprattutto per quanto riguarda la fustaia di abete, le utilizzazioni fossero alquanto contenute ed eseguite nel rispetto di elementari norme tecniche che hanno consentito al soprassuolo di rinnovarsi naturalmente, in una certa misura, e di sopravvivere, poi, a due periodi di crisi particolare, caratterizzati da drastiche utilizzazioni in corrispondenza degli ultimi conflitti mondiali. Durante la prima guerra mondiale infatti, il bosco di Collemeluccio fu requisito dalle autorità militari e tutte le piante di abete con diametro superiore  a 15-20 cm furono tagliate. Analoghi tagli si ebbero durante il periodo dal 1940 al 1946. Nel 1968 l’Azienda di Stato delle Foreste demaniali ne prese la gestione per circa 363 ettari, la foresta è diventata una riserva orientata non più soggetta a tagli irrazionali. (fine prima parte)

Pescolanciano – La Riserva di Collemeluccio (II parte)

Il Piano di Gestione della Riserva di Collemeluccio (Terza parte)

L’Area MAB di Collemeluccio (quarta parte)