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Specie forestali tipiche della zona del Castanetum

La zona del Castanetum deriva il suo nome dalla presenza massiccia del castagno. Oltre a questa specie, la zona è anche caratterizzata da boschi di querce caducifoglie (farnia, rovere, roverella e cerro). Questa fascia è stata anche definita “orizzonte delle latiglie eliofile” (Negri), in quanto sono presenti in prevalenza latifoglie (le conifere sono relegate a coprire piccoli lembi di terra) con predominanza di quelle eliofile (cioè con elevate esigenze di illuminazione). In questi ambienti le querce finiscono spesso per imporsi a discapito delle altre piante, in quanto riescono a formare una copertura, al di sotto della quale solo poche specie sciafile riescono a sopravvivere. Queste specie correlate alle querce sono: carpino bianco e carpino nero, acero campestre, orniello, sorbi torminale e domestico.

CASTAGNO (Castanea sativa Miller)

Descrizione botanica: Il castagno è un albero maestoso, con altezze che possono raggiungere i 30 m e diametri massimi di 6-8 m, longevo: può vivere fino a 500 anni. Il fusto è diritto ma non slanciato, si suddivide in rami a breve altezza da terra, si apre in una chioma ampia e rotondeggiante. La corteccia è liscia e di colore rosso-bruna fino ai 20-25 anni, poi diventa grigiastra, si screpola e forma lunghi cordoni spessi, che hanno andamento spiralato attorno al fusto. Le foglie, lunghe 15-20 cm e larghe 3-6 cm, sono alterne, oblunghe e appuntite, con base arrotondata, a bordo seghettato. Le lamine fogliari sono attraversate da evidenti nervature parallele e sono portate da picciolo lungo intorno ai 2 cm. Apparato radicale robusto, ma poco profondo.

I fiori maschili sono dei lunghi amenti gialli (10-12 cm) e compaiono in estate; quelli femminili, isolati o in gruppi massimi di 3, nascono più tardivi alla base degli amenti maschili. Dopo la fecondazione il fiore femminile forma la cupola spinosa (riccio), che dapprima verde diventa a maturazione di color bruno-giallastro. All’interno sono contenute 2-3 castagne (acheni) bruno-rossicce lucenti, quando i frutti sono maturi il riccio si apre in quattro valve e lascia fuoriuscire le castagne.

Areale italiano: Il castagno è una specie tipica della zona del Mediterraneo-orientale, da quando è stata esportata fuori dai suoi Paesi di origine, si è così estesa che è difficile comprendere qual è il suo vero areale di provenienza. Attualmente, in Italia, lo troviamo nella bassa collina di Alpi e Prealpi e nella fascia medio montana dell’Appennino e delle isole. La zona fitoclimatica del castagno va dai limiti superiori della fascia dell’olivo, fino a tutta la fascia della vite, con delle trasgressioni nelle aree superiori.

Esigenze: Esigente in fatto di terreni, che devono essere sciolti, leggeri, freschi, ricchi di potassio e fosforo. Il castagno è una specie a temperamento oceanico (giustificabile con la sua provenienza mediterranea), cioè con temperature miti e prive di forti escursioni termiche. Non ha però grandi esigenze per la temperatura (mesofila) pur essendo molto sensibile alle gelate tardive. Richiede umidità ed è mediamente eliofila.

Usi: Il legname di castagno è compatto ed elastico, di media pesantezza, molto simile, esteticamente, a quello delle querce. Ha una netta differenziazione tra alburno e durame. Il legno di castagno è molto resistente alle intemperie e alle variazioni di umidità, pertanto è ottimo usato all’aperto per palizzate, palerie, etc. Viene impiegato anche in falegnameria, per i travami e i mobili. Ma il castagno è apprezzato anche per la produzione dei frutti. Oggi il loro uso è molto diminuito rispetto a qualche decennio passato, quando veniva impiegato per la produzione di farina, e quindi del pane. Attualmente le castagne vengono usate dall’industria dolciaria per i marron-glaces e per dolci a base di castagne. Solamente una piccola quantità è destinata all’uso fresco.

LE QUERCE CADUCIFOGLIE

Le querce caducifoglie in Italia sono dodici, ma le specie più importanti sono solo cinque: rovere, farnia, frainetto, cerro e roverella. Raramente si hanno boschi puri di querce caducifoglie, esse, infatti, sono molto spesso mescolate ad altre latifoglie tipiche della zona del Castanetum (carpini, aceri, frassini, sorbi, olmi …). Le specie più interessanti dal punto di vista economico sono la rovere e la farnia, per il pregio del loro legname, ma queste specie sono anche le meno estese in superficie, a causa dell’uso indiscriminato fatto dall’uomo fino a questo momento. Cerro, roverella e farnetto sono presenti nei boschi misti di latifoglie ed occupano superfici molto più estese di rovere e farnia; di seguito viene data breve descrizione delle due specie più diffuse nelle nostre colline: cerro e roverella.

CERRO (Quercus cerris L.)

E’ tra le querce a crescita più rapida, longevità fino a 200 anni, altezza massima di 35 m e diametri di 1,3 m.Tronco diritto e slanciato, chioma a cupola di media compattezza. La corteccia, da adulta, è di colore grigio cenere, profondamente e irregolarmente fessurata con solchi verticali e orizzontali. Nel cerro è presente un forte dimorfismo fogliare (cioè le foglie assumono forme diverse), in generale sono semplici, alterne, con 7-9 paia di lobi ineguali, più o meno profondamente incisi; la lamina fogliare è ruvida su entrambi i lati e pubescente, verde scura e opaca nella pagina superiore. Le foglie cadono piuttosto tardi durante l’inverno ma non sono persistenti quanto la roverella. Le gemme sono: piccole, bruno-rossastre, pubescenti.

I fiori maschili sono amenti cilindrici, pendenti, lunghi 5-6 cm, gialli a maturazione; quelli femminili sono spighe di 1-5 fiori, lunghe circa 5 mm. I frutti, che si formano dopo oltre 1 anno dall’impollinazione, sono ghiande strette e ovoidali, lunghe fino a 3 cm e larghe 1, contenute in cupole per circa due terzi della loro lunghezza. Le cupole sono caratteristiche per le loro squame lunghe, appuntite, di colore verde chiaro. L’apparato radicale, come in tutte le querce, è fittonante e di rapido accrescimento (mal si presta ai trapianti). In Italia è presente in modo massiccio dalla Pianura Padana verso il sud; scarso al nord.

I boschi a prevalenza di cerro occupano, nella zona del Castanetum, tutti i terreni, anche quelli argillosi poco graditi dalle altre specie; le cerrete sono diffuse soprattutto nell’Italia centrale e meridionale. E’ una specie poco esigente nei confronti di umidità, luce e terreni. Il suo uso è limitato ai rimboschimento a scopo di difesa idrogeologica, in quanto il suo legname non è ottimo (scadente rispetto alle altre querce) e le sue ghiande, ricche di tannini, sono poco apprezzate dai suini.

ROVERELLA (Quercus pubescens Willd.)

La roverella è un albero di media grandezza, raramente raggiunge i 25 m. Il fusto è tozzo, contorto e si divide in rami a breve distanza da terra, la chioma ampia e irregolare, non molto densa. Specie a lento accrescimento. Molto simile al cerro, si distingue da questo per le foglie con meno lobi, ruvide solo nella pagina inferiore. La defogliazione avviene molto tardi in inverno; nelle piante più giovani è possibile che le foglie rimangano secche sull’albero fino alla primavera successiva. E’ una specie che si adatta perfettamente ai climi caldi e aridi, occupando le pendici più soleggiate, lasciate libere dalle altre specie. Sopporta qualsiasi tipo di terreno, anche quelli rocciosi, calcarei, aridi. In Italia vegeta tra il Lauretum freddo e il Castanetum sottozona calda, dall’arco prealpino fino alle isole. Si trova spesso in boschi misti con cerro, orniello, carpino nero, acero campestre… a seconda delle esposizioni.

Il legno è di aspetto simile a quello delle querce più pregiate (rovere e farnia) ma ha fibre contorte e quindi risulta di difficile lavorabilità; viene usato per travature e costruzioni navali. Il legno è ottimo come combustibile: sia legna da ardere che carbone. La ghianda è molto appetita dai suini, tanto che esistono ancora in Toscana dei querceti da ghianda. La funzione dei boschi di roverella è spesso protettiva.

LE LATIFOGLIE DELLA ZONA DEL CASTANETUM

In questo raggruppamento rientrano molte specie che costituiscono, generalmente, il piano inferiore dei boschi di querce.

I CARPINI: Carpino bianco e nero sono le uniche specie capaci di formare boschi puri, oltre che trovarsi spesso misti con le altre latifoglie all’interno dei querceti. Il carpino bianco ha un areale più settentrionale rispetto al carpino nero, tanto che in Italia si trova in prevalenza nell’arco alpino e nell’appennino settentrionale fino alla Toscana, assente al sud.La sua importanza è comunque minore rispetto al Carpino nero (Ostrya carpinifolia Scop.).

Questa è una specie di media taglia, altezza fino a 20 m, tronco diritto e regolare, chioma conico-allungata e raccolta. La corteccia a maturità tende a screpolarsi in lunghe placche longitudinali di colore rosso-nerastre. Le foglie sono semplici, alterne, ovali, con punta acuminata e margine doppiamente seghettato. Sono sorrette da un breve picciolo di 0,5-1,5 cm. Le nervature secondarie e terziarie sono molto evidenti nella pagina inferiore e questo carattere permette di distinguerle da quelle del carpino bianco, dove le nervature secondarie e terziarie non sono visibili ad occhio nudo.

I fiori maschili sono amenti lunghi 5-8 cm, penduli e compaiono in primavera, quelli femminili sono più corti (3-5 cm), portati terminali sui rami e appaiono durante la fogliazione. Il frutto è un achenio bianco.

Il Italia si trova in tutto l’arco alpino a quote basse e sull’appennino, in prevalenza sul versante tirrenico e ionico; occupa la fascia dal Lauretum sottozona fredda al Castanetum sottozona calda. Il carpino nero preferisce suoli calcarei e freschi, ma può trovarsi anche in terreni superficiali e poveri. Sopporta i climi caldi, ma è esigente nei confronti dell’umidità edafica. Nasce sotto copertura. Il suo legname viene utilizzato per la costruzione di piccoli utensili e come combustibile.

L’acero campestre (Acer campestre L.) è un albero di piccole dimensioni, raramente supera i 15 m, di crescita lenta e di longevità limitata (120 anni). Questo acero si trova spesso allo stato arbustivo, il fusto è breve e contorto, la chioma rotondeggiante ma poco densa. Le foglie sono piccole, a cinque lobi (3 più accentuati e i 2 basali appena accennati), di colore verde opaco nella pagina superiore e chiare inferiormente. I fiori, riuniti in grappolo, appaiono contemporaneamente alle foglie.L’areale dell’acero campestre è molto vasto; in Italia è diffuso un po’ ovunque, dal livello del mare fino alla zona del Castanetum, nel Fagetum si dirada notevolmente. Vuole terreni calcarei, anche se argillosi, predilige le alte temperature e sopporta anche l’aridità. Molto esigente verso la luce.

L’acero campestre, deriva il proprio nome dall’uso di un tempo come pianta camporile, cioè usata per maritare le viti. Il legname di questo acero è di colore rosa, ha anelli irregolari, viene usato in prevalenza come combustibile, fornisce infatti un ottimo carbone.

L’Orniello (Fraxinus ornus L.) è un albero di piccola taglia, raramente supera i 10 m di altezza, ha fusto diritto e chioma regolare e arrotondata. La corteccia grigiastra si mantiene uniforme anche da adulta. Questa specie, come gli altri frassini, è riconoscibile per le foglie opposte e composte da 5-9 foglioline, queste ultime sono picciolate, con margine seghettato. La nervatura della pagina inferiore è ricoperta di fitta peluria. I fiori, riuniti in pannocchie dense, bianche ed odorose, compaiono in primavera dopo la fogliazione. I frutti, marroni a maturità, pendono in gruppi numerosi e sono provvisti di una sottile ala.

L’orniello vegeta in tutta Italia, comprese le isole, in prevalenza nella zona del Castanetum. Si trova spesso nei boschi misti di latifoglie, in esposizioni soleggiate. E’, infatti, una specie che sopporta bene l’aridità, l’illuminazione e le alte temperature. Predilige i terreni calcarei. Il suo legno, elastico e resistente, è usato per lavori al tornio, piccoli attrezzi, paleria, cerchi da botte. Buono anche come combustibile.

Specie forestali tipiche della fascia del Fagetum

La fascia fitoclimatica del Fagetum costituisce la zona più alta presente negli Appennini e quindi è al confine con il limite superiore della vegetazione; mentre nelle Alpi rappresenta una fascia intermedia (tra Picetum e Castanetum). Indubbiamente il valore di questa zona su Alpi e Appennini è differente, così come diverse sono le condizioni in cui le piante si trovano.

La fascia è caratterizzata da due specie: l’abete bianco e il faggio, alle quali si aggiungono altre specie  delle zone superiori (abete rosso e larice) e inferiori (aceri, olmi…). A queste quote si trovano anche: pino silvestre, pino nero, acero montano

ABETE BIANCO (Abies alba Mill.)

Descrizione botanica: Albero di grandi dimensioni, può raggiungere altezze di 50 m e diametri di 3 m, molto longevo (fino a 300 anni). In bosco l’albero si spoglia di rami per circa i 2/3 del fusto e la chioma si concentra nella parte apicale del tronco, mentre se isolato i rami giungono fino a terra e la chioma è molto fitta. Questa appare piramidale e slanciata negli individui giovani, mentre negli esemplari più vecchi l’accrescimento apicale (cioè della gemma verticale) si blocca e partono le gemme laterali, producendo il così detto “nido di cicogna”; a maturità, quindi, la chioma risulta troncata. Il tronco è diritto e cilindrico e conferisce alla pianta un portamento eretto. La corteccia è di colore argento, spesso ricca di pustole di resina, con tendenza alla fessurazione e alle screpolature. I rametti giovani sono distici (cioè disposti su un piano), pubescenti (ovvero con fitta peluria), di colore grigio.

Gli aghi, persistenti, rimangono sui rami per diversi anni; essi sono disposti a spirale sul rametto, ma a causa della torsione basale risultano tutti sullo stesso piano (distici), eccezione è rappresentata dagli aghi dell’ultimo anno che sono disposti a spazzola intorno al rametto. La loro inserzione è diretta sul ramo (a differenza dell’abete rosso che ha un cuscinetto), pertanto quando una foglia viene staccata rimane una cicatrice circolare piatta e non rilevata. Gli aghi sono lunghi 2-3 cm, larghi 2-3 mm, appiattiti, di colore verde lucente nella parte superiore, argentei nella pagina inferiore, inseriti singolarmente sui rametti. Le gemme sono piccole, coniche, prive di resina, di colore bruno. L’apparato radicale è fittonante, da adulto sviluppa forti radici laterali che si affondano nel terreno verticalmente. In terreni poco profondi può risultare superficiale.

abete bianco

La pianta è monoica: i fiori maschili sono riuniti a gruppi nella parte inferiore del ramo di un anno, di colore giallo, ricchi di polline; quelli femminili si trovano nella superiore dei rami di un anno, nella parte alta della chioma, rossi, compaiono in primavera. Gli strobili hanno forma cilindrica, sono lunghi dai 10 ai 18 cm e larghi circa 4 cm, a maturità assumono il colore rosso-bruno, eretti sul ramo. La loro maturazione avviene tra settembre ed ottobre; quando gli strobili sono pronti per disseminare, si aprono e lasciano cadere i semi, mentre l’asse centrale (rachide) resta sul ramo (differenza con l’abete rosso dove il cono cade intero).

L’abete bianco si rinnova per seme, anche se la sua facoltà germinativa non dura più  anno, la rinnovazione è molto difficile nei boschi puri di abete bianco, mentre è agevole in boschi misti (ad esempio abete bianco, faggio, abete rosso).

abetebianco

Areale italiano: L’abete bianco è molto diffuso in Italia su Alpi e Appennini, nelle prime si trova concentrato in prevalenza sul settore veneto, e diminuisce sul settore occidentale (dove prevalgono larice e pino silvestre), nell’Appennino è diffuso un po’ ovunque in gruppi sparsi. Nelle Alpi si estende dagli 800 m ai 1600 m, negli Appennini dagli 800 m fino ai 1700 m, quindi aree tipiche del Fagetum con alcune trasgressioni in alto e in basso.

Esigenze: Vuole terreni freschi, profondi, di origine silicea. E’ una specie tipica degli ambienti oceanici (poca escursione termica), è molto sensibile alle gelate tardive e vuole lunghi periodi di riposo vegetativo durante l’inverno. Molto esigente in fatto di umidità: molte precipitazioni ed elevata umidità atmosferica. Specie decisamente sciafila: predilige l’ombra.

Usi: Il legno di abete bianco è leggero, tenero, elastico, di buona qualità. Il legname, di colore giallo chiaro, non ha netta distinzione tra durame ed alburno. Viene impiegato come materiale per cellulosa e da lavoro, un tempo usato per la costruzione degli alberi delle navi e dei remi. Scarso potere calorifico. La corteccia contiene modeste quantità di tannini.

FAGGIO (Fagus sylvatica L.)

FAGGI03Descrizione botanica: Il faggio può raggiungere a maturità altezze di 30 m e diametri di 1,5 m, longevità media intorno ai 150 anni. Il fusto è diritto e cilindrico, la chioma è esile e di forma conica nei giovani individui, mentre negli esemplari adulti diventa massiccia e molto ramificata.

La corteccia è liscia, sottile e di colore grigio; queste caratteristiche della corteccia rendono la pianta molto sensibile alle scottature da sole, soprattutto se si trovano improvvisamente isolate per il taglio delle piante circostanti. I giovani rametti sono di colore verde scuro. Le foglie sono alterne, ovali, a margine intero, portate su piccioli di 1-2 cm, di colore verde lucente superiormente, più biancastre nella pagina inferiore. Le lamine fogliari sono attraversate da 6-7 paia di nervature parallele. In autunno, prima della defogliazione, assumono il caratteristico colore rossastro. Le gemme sono fusiformi, appuntite, di colore rosso-bruno.L’apparato radicale del faggio è molto sviluppato e mediamente profondo.

La pianta è monoica, i fiori maschili e femminili appaiono in primavera insieme alle foglie.

Faggio

Il frutto (la faggiola) è un achenio, contenuto all’interno di una cupola che a maturità si apre in quattro valve. Le piante cominciano a fruttificare attorno a 60 anni, la maturazione del seme è, poi, annuale. Il faggio ha ottima capacità pollonifera, che inizia tra i 25 e i 30 anni.

Areale italiano: In Italia il faggio è presente ovunque, dalle Alpi alla Sicilia, ad esclusione della Sardegna. Il faggio, come dice il nome stesso, è tipico della zona del Fagetum, anche se non è infrequente trovarlo nelle fasce fitoclimatiche adiacenti. Nell’Appennino meridionale si trova anche ai 2000 m di quota, mentre sulle Alpi, in particolare su quelle occidentali, non supera i 1200 m.

Esigenze: Predilige suoli freschi e profondi, di medio impasto e ben drenati. Nonostante ciò si adatta anche a terreni poco fertili, purché privi di ristagni di umidità e troppo compatti. Specie definita miglioratrice del terreno, perché riesce a migliorarne la struttura e ad arricchirlo di sostanze nutritive. Sopporta le basse temperature ma è molto sensibile alle gelate primaverili, vegeta in climi oceanici, cioè con limitate escursioni termiche. Molto esigente di umidità atmosferica (igrofila). Il faggio è tra le specie più sciafile (vive in luoghi ombrosi).

Faggio Usi: Il legname del faggio è apprezzato per il suo aspetto estetico e per la sua lavorabilità. Di colore rosato, a grana fine, presenta delle specchiature, ovvero delle striature lucide in sezione radiale, che lo rendono simile al legno di quercia. Viene impiegato per la fabbricazione di mobili e arredamenti, per le lavorazioni al tornio in quanto di facile piegatura. Può essere impiegato nella produzione di carta e cellulosa. E’ un buon combustibile, con alto potere calorifico, è ottimo per il carbone. La faggiola può essere utilizzata come succedaneo del caffè, oltre a poter produrre un olio, secondo alcuni inferiore soltanto all’olio di oliva. Vengono ora di seguito date delle brevi descrizione di alcuni pini e di altre latifoglie tipiche della zona del Fagetum, ma che rivestono una minore importanza sul piano pratico.

 

Zone fitoclimatiche e distribuzione delle specie arboree

La distribuzione delle specie arboree ed arbustive in Italia risente notevolmente del clima e della morfologia delle diverse aree. La flora nazionale è caratterizzata da una forte differenziazione nella distribuzione e nella struttura della vegetazione. Pertanto è possibile suddividere la flora in tre grandi gruppi: quella autoctona delle Alpi, quella dell’Appennino centrale e settentrionale, quella dell’Appennino meridionale e delle isole. All’interno di queste categorie si trovano poi ulteriori raggruppamenti dovuti a condizioni climatiche e pedologiche particolari, ad esempio all’interno del gruppo di specie tipiche delle Alpi si trovano alcune più diffuse nelle Alpi orientali e altre nelle occidentali. Cerchiamo di capire quali sono i fattori che influenzano la distribuzione delle specie arboree. Da quanto sopra detto, risulta evidente che il clima rappresenta l’insieme di fattori che maggiormente influisce sulla distribuzione della vegetazione. Il clima, considerato in tutti i suoi componenti (temperatura, precipitazioni,…), esercita sulla copertura vegetale un’azione che produce la modifica della vegetazione stessa, per adattarsi a quella determinata situazione ambientale. Ad esempio in alta montagna, dove il manto nevoso rimane al suolo per parecchi mesi all’anno e il vento soffia ad alte velocità, le piante si sono adattate assumendo portamenti prostrati o striscianti e vegetando solamente per brevi periodi durante la stagione più calda. E’ pertanto fondamentale, quando si interviene sulla vegetazione, conoscere le caratteristiche climatiche del luogo in cui si opera.

Esistono molte classificazioni climatiche, di cui la più interessante, al fine di questa trattazione, è la classificazione fitoclimatica del Pavari (1916), la quale permette un inquadramento climatico della vegetazione forestale. Tale classificazione si basa su alcuni caratteri termici (temperatura media annua, temperatura media del mese più freddo, temperatura media del mese più caldo, media delle temperature massime estreme, media delle temperature minime estreme) e pluviometrici (precipitazioni annue, precipitazioni del periodo estivo, umidità atmosferica relativa media); in questo modo consente di suddividere l’intero globo in aree con caratteri climatici assimilabili e quindi di poter confrontare tra loro aree fitoclimatiche italiane e di altri Paesi. Ciò consente, ad esempio, di stabilire se una pianta alloctona (cioè proveniente da un altro Paese) può essere piantata in una zona italiana; in generale questo è possibile sono se le fasce fitoclimatiche sono simili.

Poichè questa suddivisione tiene conto del clima, la variazione è sia in senso altitudinale che latitudinale, pertanto si potrà avere la stessa zona fitoclimatica nell’alta montagna dell’Appennino centrale e nella bassa collina delle Alpi austriache. Ogni fascia altitudinale viene definita “zona”.

Esistono 5 zone così denominate, dal basso verso l’alto: Lauretum, Castanetum, Fagetum, Picetum, Alpinetum, i nomi attribuiti alle zone sono tratti dalla specie che caratterizza la zona stessa (nella zona del Castanetum la specie più diffusa è il castagno).
I limiti altitudinali attribuiti alle diverse zone sono solamente indicativi, è ovvio, infatti, che la zona del Lauretum si estende fino ad una altezza di 400 m s.l.m. nell’Italia settentrionale e fino a 900 m s.l.m. nell’Italia meridionale e insulare.
Alcune zone (Lauretum, Castanetum, Fagetum, Picetum) sono poi state ulteriormente suddivise in sottozone, in base a caratteri unicamente pluviometrici (con siccità estiva e senza siccità estiva).

Il Lauretum, corrisponde alla fascia dei climi temperato-caldi, ed è caratterizzata da piogge concentrate nel periodo autunno- invernale e da siccità estive. La vegetazione in questa fascia è rappresentata dalle formazioni sempreverdi mediterranee, cioè da boschi e macchie di specie xerofile (che sopportano la siccità) e termofile (che si adattano alle alte temperature). Questa zona fitoclimatica è la più estesa nell’area peninsulare e insulare dell’Italia, presente infatti in tutte le aree costiere, si propaga fino ai 400-500 m nel centro-nord, fino ai 600-700 m nel centro-sud e fino agli 800-900 m nell’Italia meridionale e sulle isole. Questi limiti altitudinali, come già accennato, sono solamente indicativi, in realtà il Lauretum si interrompe dove, per motivi climatici, non è più possibile la coltivazione degli agrumi.

Nel Castanetum minori sono le possibilità di avere siccità estive e ciò favorisce la crescita delle piante e la produzione di legname. La vegetazione spontanea è rappresentata dal castagno, che dà il nome alla zona, e dalle querce caducifoglie. I limiti altitudinali indicativi sono: nell’Italia settentrionale fino a 700-900 m, nel centro fino agli 800-1000 m e nel meridione e nelle isole fino a 1000-1200. Il Castanetum si trova nella bassa montagna appenninica e alpina e in tutta la Pianura Padana.

Il Fagetum è caratterizzato da abbondanti piogge, assenza di siccità estiva, elevata umidità atmosferica; quindi mentre le precipitazioni non sono fattori limitanti allo sviluppo della vegetazione, come nelle due fasce precedenti, le basse temperature possono costituire un limite alla crescita di alcune specie. Pertanto in questa zona vegetano piante con buona resistenza al freddo (mesofile) e che necessitano di molta umidità per il loro sviluppo (igrofile): faggio (da cui il nome alla zona), alcune querce, abete bianco.Questa zona raggiunge le seguenti quote: settentrione 1200 m, centro 1500 m, meridione e isole 1700 m. Negli Appennini il Fagetum è l’ultima zona altitudinale, pertanto il limite superiore confina con il limite della vegetazione arborea (cioè il limite oltre il quale la vegetazione arborea non riesce più a crescere e lascia il posto alla vegetazione arbustiva ed erbacea).

Nelle Alpi, invece, oltre il Fagetum sono presenti altre due zone e precisamente: il Picetum e l’Alpinetum. In entrambe queste zone il fattore limitante lo sviluppo della vegetazione sono le basse temperature. Il clima è caratterizzato da elevate umidità, con manto nevoso che permane sul suolo per molti mesi all’anno.

Il Picetum presenta formazioni boschive e pascoli permanenti. I boschi sono ancora di alto fusto, ma le piante arboree hanno modificato i ritmi fisiologici, vegetano solo per brevi periodi nella stagione più favorevole, ed hanno adattato la morfologia all’ambiente, ad esempio i fusti sono spesso sciabolati alla base (cioè ricurvi) in seguito al peso continuo della neve. Le specie che vegetano in questa zona sono in prevalenza conifere.Questa fascia fitoclimatica si estende fino ai 1900 m circa.

Nell’Alpinetum non sono presenti boschi d’alto fusto, le piante arboree, infatti, assumono la forma arbustiva per meglio adattarsi ai forti venti ed al peso della copertura nevosa: i tronchi sono contorti e striscianti. Le specie che riescono a sopravvivere in questi ambienti sono tutte microterme, cioè con pochissime esigenze in fatto di temperatura. Man mano che si sale a quote più elevate le piante si diradano fino a lasciare spazio alle sole specie erbacee, quindi alle rocce e ai ghiacci.Nelle Alpi il limite superiore dell’Alpinetum rappresenta il limite della vegetazione arborea.

Come accennato in precedenza, questa classificazione fito-climatica ci permette di collocare le specie arboree ed arbustive nelle zone, indipendentemente dalla collocazione geografica dell’area, in base alle considerazioni sopra esposte. E’ quindi importante sapere per ciascuna zona quali sono le specie arboree caratteristiche, con queste informazioni sarà anche possibile risalire al tipo di ambiente in base alle piante presenti in una certa stazione, così se abbiamo molto faggio spontaneo vuol dire che siamo nel Fagetum o se c’è una macchia di sempreverdi è probabile che ci troviamo nel Lauretum e così via.

Le piante però spesso hanno delle trasgressioni in senso altitudinale e latitudinale sia verso l’alto che verso il basso, per questo non è infrequente trovare l’abete rosso nel Fagetum (quindi a quote inferiori a quelle ideali per la specie) o il Pino silvestre nel Picetum (quindi a quote superiori a quelle ideali per la specie). Queste trasgressioni, che spontaneamente avvengono solamente nelle zone adiacenti, sono abbandanti nelle zone di transizione tra le due zone successive. Infatti, il passaggio tra una zona e l’altra non è netto ma graduale, pertanto esiste una zona intermedia in cui sono presenti specie appartenenti ad entrambe le fasce fitoclimatiche.
All’interno di ciascun genere ci sono poi differenti esigenze tra una specie e l’altra: ad esempio il genere “Acer” comprende più specie, dove l’Acer pseudoplatanus (acero montano) e l’Acer platanoides (acero riccio) possono spingersi a quote più alte perchè hanno meno esigenze di temperature, mentre l’Acer campestris è più termofilo e quindi solo raramente si trova oltre il Castanetum.

Le funzioni del Bosco

In una Regione come il Molise, fortemente interessata dal dissesto idrogeologico, ci sembra particolarmente opportuno riportare il seguente scritto, opera di R. Gellini e di A. Onnis, dal titolo “La difesa del bosco e della dendroflora”, datato 1992. “…Nel contesto del paesaggio italiano fino al diciasettesimo secolo, il bosco ha avuto, in termini di superfici coperte, un peso considerevole, certamente assai superiore all’attuale. Si è calcolato che nel sedicesimo secolo ancora quasi il 50% del territorio italiano, pari a circa 15 milioni di ettari, fosse coperto da rigogliosi boschi (Alessandrini,1971).”

Vecchio (1974) in una interessante trattazione sulle problematiche relative alla coltivazione, conservazione e fruizione economica dei boschi in Italia, riporta come esse venivano discusse nel Settecento e nei primi dell’Ottocento.
Mentre nel periodo presettecentesco la distruzione delle superfici boschive poteva essere erroneamente considerata come “un operazione neutra fino a provacontraria”, in seguito, agli studiosi e politici più illuminati, il disbocamento già appariva come operazione “deplorevole fino a prova contraria”. Infatti il ruolo insostituibile svolto dai boschi nel garantire gli equilibi naturali e quindi una visione “ecologica” delle funzioni svolte dalla copertura boschiva , venivano, già nel diciottesimo secolo, affermati e sostenuti da numerosi Autori tra i quali piace ricordare il Naturalista Targioni Tozzetti (1751-1776)….

Oggi accade ancora abbastanza frequentemente di assistere ad una contrapposizione radicale tra “chi vuol premiare i servigi ecologico-ambientali del bosco da lasciarlo perciò intoccato, e chi all’altro estremo ne vede soltanto quelli economici premendo per utilizzazioni ad ogni costo, quasi che oltretutto non fossero entrambi essenziali alla vita e al benessere dell’umanità, anche se in modi diversi e in diverse sfere di interesse” (Susmel,1989).

Riteniamo che non si possa ipotizzare una soluzione univoca a questo diverso modo di vedere il problema bosco; certamente non deve essere impossibile coniugare la salvaguardia del patrimonio boschivo indispensabile per la conservazione di un equilibrato ecosistema con un corretto, quando possibile, e sempre dovrebbe esserlo, utilizzo del patrimonio boschivo da parte dell’uomo.

Perchè questo sia possibile è indispensabile che la Società sia informata ed arrivi a comprendere quali sono le insostituibili funzioni che il bosco esplica nell’ecosistema Terra e come l’uomo debba assolutamente tenerne conto nel redigere i propri piani di sfruttamento. Si deve oggi essere convinti che tra produzione legnosa e le altre funzioni del bosco la scelta deve cadere su queste ultime, almeno nel contesto ambientale in cui viviamo; “che le funzioni ecologiche, naturalistiche, biosferiche, paesaggistiche siano prevalenti è ormai patrimonio acquisito dalla cultura e dall’opinione pubblica (a meno che non si tratti di impianti artificiali previsti e realizzati per scopi dichiaratamente visti in funzione della produzione legnosa)”.
Sul piano del diritto e della dottrina lo ha poi affermato la Corte Costituzionale con sentenza 381 del luglio 1989 nel dirimere “un conflitto tra esercizio di usi civici e vincolo naturalistico” (Calliari,1989).

Il bosco come bene economico appare quindi subordinato al bosco come elemento dell’ambiente naturale, da conservare integro come comune bene ecologico e come risorsa naturale, da gestire, per quanto possibile e prioritariamente, secondo criteri naturalistici, nel rispetto dello “invecchiamento” degli alberi e dando loro la possibilità di raggiungere la giusta età “fisiologica”, purtroppo spesso difficilmente raggiungibile in quanto sottostimata dai tecnici che tendono a privilegiare la “età economica” dei singoli individui e/o del bosco, misurata sulla base della produttività per unità di superficie boscata (Clauser,1987).

Per meglio comprendere i concetti sopra esposti, è opportuno, anche se in breve, fare riferimento a quelle che oggi sono considerate le numerose e insostituibili funzioni svolte dal bosco:

1) FUNZIONE PRODUTTIVA O ECONOMICA 
Costituzione ex novo di masse legnose da utilizzare, frutti del sottobosco e di prodotti secondari come funghi, tartufi, resine, terriccio, etc.
2) FUNZIONE IDROGEOLOGICA 
Limitazione dell’erosione del suolo, azione regimante del deflusso idrico, approvvigionamento e conservazione delle falde acquifere e di regimazione dellesorgenti.
3) FUNZIONE SOCIALE 
Fonte di lavoro e quindi di reddito e benessere per i lavoratori addetti al settore legno.
4) FUNZIONE TURISTICO, RICREATIVA 
Utilizzazione per scopi ricreativi, delle sue qualità paesaggistiche, bontà del microclima e capacità rilassante; fonte di lavoro e di reddito per gli addetti al comparto turistico.
5) DIFESA E CONSERVAZIONE DEL PATRIMONIO GENETICO E DELLA SUA VARIABILITA’ 
Conservazione e protezione dei peculiari popolamenti animali e vegetali.
6) PUNTO DI PARTENZA DI MOLTE CATENE TROFICHE 
Biocenosi tipiche delle foreste delle diverse aree geografiche ed ecologiche.
7) HABITAT SPECIALIZZATO PER PARTICOLARI BIOCENOSI DI ANIMALI E PIANTE. 
Ambiente di conservazione per le cenosi animali e vegetali peculiari dei diversi tipi di foreste.
8) CONSERVAZIONE DI ULTIMI RESIDUI LEMBI DI NATURALITA’ 
Mantenimento degli ultimi ecosistemi forestali tipici delle piz disparate aree fitoclimatiche.
9) FUNZIONE IGIENICO SANITARIA O AMBIENTALE 
Comprende:
a) la regolazione dell’equilibrio O2/CO2, e soprattutto la funzione di-ritenzione esplicata dal legno, dalla lettiera e dal terreno;
b) filtro e abbattimento degli inquinanti gassosi e/o particolati anche da parte di materiale vegetale morto;
c) depurazione biologica con emissione di sostanze battericide o fungicide.
d) assorbimento e diminuzione della radioattività;
e) abbattimento dell’inquinamento acustico
f) depurazine delle acque. 
10) FUNZIONE DI MONITORAGGIO AMBIENTALE O DI BIOINDICAZIONE DELLA QUALITA’ DELL’AMBIENTE 

Per le sue qualità di filtro degli inquinanti atmosferici il bosco evidenzia, meglio di qualsiasi parametro chimico-fisico, le soglie di pericolosità ed i sinergismi dei vari polluenti.
Sono tutte funzioni che dimostrano come l’ecosistema bosco sia uno dei pilastri ecologici su cui poggia il Pianeta Terra e che rapidi sconvolgimenti delle condizioni ambientali e gli stress continui a cui attualmente è sottoposto, possono provocare una diminuzione del potenziale di autoregolazione del sistema. Questo fenomeno può, a lungo andare, anche sfociare in una destabilizzazione definitiva o in una modifica irreversibile dell’ecosistema.


A cura dell’Associazione OPhrys (tratta dalla pubblicazione d’ipotesi per un diverso utilizzo di un’area del Fiume Vandra in Provincia di Isernia).