Specie forestali tipiche della zona del Lauretum

La flora che vegeta nelle fasce basali delle nostra colline e montagne è caratterizzata da aspetti morfologici e processi fisiologici particolari. In ambienti caldi, infatti, vegetano le piante sempreverdi tipiche della macchia mediterranea. I caratteri di queste specie sono: foglie molto ispessite, semipersistenti o persistenti sugli alberi, ritmi di vegetazione diversi rispetto alle altre specie (in genere hanno due interruzioni del ciclo vegetativo: una in inverno e l’altra d’estate). Tutti questi particolari non sono altro che adattamenti che le specie hanno messo in pratica per resistere agli ambienti, spesso inospitali, della zona mediterranea, dove le temperature sono molto elevate durante la stagione estiva e l’umidità è pressoché assente. La macchia mediterranea e le altre foreste di sclerofille sono costituite in prevalenza da arbusti (anche le specie arboree assumono spesso la forma arbustiva) e da molti altri arbusti a foglie piccole e rigide, oltre che da diverse specie aromatiche. Anche le forme delle foglie sono da imputare ai climi, in quanto le foglie filiformi riducono la traspirazione e quindi la perdita di acqua da parte della pianta.

In questa sede non verranno trattati tutti i numerosi arbusti che compongono la macchia mediterranea, ma solamente le arboree di maggiore diffusione ed importanza, esse sono: le querce a foglie persistenti (leccio e sughera) e i pini mediterranei (pino domestico, marittimo e d’Aleppo).

LE QUERCE SEMPREVERDI

IL LECCIO (Quercus ilex L.)

Descrizione botanica: Il leccio è un albero alto fino a 25 m e con diametri massimi superiori ad 1 m, anche se, come sopra accennato, spesso nelle formazioni mediterranee assume l’aspetto arbustivo. Negli ambienti ottimali può sopravvivere fino ai 1000 anni. Il tronco è, generalmente, diritto ma non molto alto e su di esso si regge una chioma arrotondata, di colore verde scuro, molto densa di fogliame. La corteccia del leccio a maturità si presenta di colore grigio-rossastra, sottile, screpolata in piccole placche.

Le foglie sono semplici e alterne, spesse e coriacee. Il leccio presenta dimorfismo fogliare tra le piante giovani e quelle adulte. Le foglie degli ultimi getti sono ovali, con margine seghettato-spinoso e quasi glabre; quelle più vecchie sono lanceolate, a margine intero, pubescenti nella pagina inferiore. Il colore del fogliame nella pagina superiore è sempre verde scuro lucido, mentre nell’inferiore biancastro. Le gemme sono piccole (1-2 mm), arrotondate, color fulvo e vellutate.

I fiori maschili sono riuniti in amenti cilindrici, lunghi 4-7 cm, pelosi, di colore giallo chiaro; quelli femminili sono in gruppi di 3-4 riuniti in spighe di colore verde-grigio. Il frutto è una ghianda (in genere sono riunite in gruppi di 2-3) di circa 2 cm, portata su un picciolo di 1 cm, ricoperta da una cupola per circa metà lunghezza. La ghianda è di colore castano-scuro con striature longitudinali ancora più scure. Il leccio forma boschi molto densi, con forte copertura: sotto le leccete più fitte raramente riescono a sopravvivere altre specie arboree o arbustive.

Areale italiano: essendo una pianta tipica degli ambienti mediterranei non è diffusa al nord, ma si trova dalla Valle Padana verso il sud, più abbondante sul versante tirrenico. Spontaneamente si trova nella zona del Lauretum, ma può spingersi anche a quote maggiori (Castanetum), purché non si verifichino temperature troppo basse, neanche durante il riposo vegetativo, in quanto la pianta non sopporta temperature inferiori agli 8°C.

Esigenze: Si adatta bene a qualsiasi tipo di terreno, ma evita quelli troppo argillosi, e poco evoluti (non è una specie pioniera, cioè una pianta che colonizza per prima i terreni nudi, come invece possono fare i pini). E’ esigente in fatto di temperatura, come detto soffre molto il freddo anche se non è in attività vegetativa, mentre sopporta molto bene l’aridità, è sensibile ai ristagni di umidità nel terreno. Non richiede molta illuminazione: da giovane predilige la copertura superiore mentre da adulto sa resistere all’ombreggiamento laterale. E’ molto meno esigente della sughera: resiste meglio al freddo, all’aridità, alle escursioni termiche, alla scarsa illuminazione, a qualsiasi tipo di terreno.

Usi: il legno di leccio è duro, pesante, compatto, difficile da lavorare e da far stagionare. Ha alburno e durame ben distinti: il primo di colore chiaro e il secondo rosso-bruno. Può essere utilizzato solo per piccoli attrezzi, manici di vario tipo, lavori di carradore. Il legname è ottimo come legna da ardere e per fare il carbone.

SUGHERA (Quercus suber L.)

La sughera è molto simile al leccio: è però meno longevo, soprattutto se utilizzato per prelevare il sughero, ha un aspetto molto più irregolare (fusto contorto, chioma asimmetrica). Le foglie sono persistenti, provviste di spine lungo il margine che si formano con il passare degli anni. La sugherà è molto esigente di calore (non sopporta temperature inferiori ai 5°C), di temperatura, di umidità, di luminosità. Esige terreni di origine silicea, poveri di calcio, a reazione acida. In Italia è presente in Sardegna e lungo la costa Toscana fino alla Calabria. Il principale prodotto della specie è il sughero, utilizzato per tappi di bottiglie, pannelli isolanti, pavimentazioni, galleggianti, suole di scarpe.

Il primo prelievo di sughero viene effettuato intorno ai 25-30 anni, questa prima operazione viene detta demaschiatura e permette di eliminare il sugherone o sughero maschio. Tale operazione è necessaria per permettere alla pianta di continuare a produrre sughero, altrimenti nel giro di pochi anni l’attività di produzione si esaurirebbe. Negli anni seguenti il sughero femmina o sughero gentile viene prelevato ogni 9-10 anni. Questo prelievo consiste nell’asportare la parte più superficiale di corteccia (fino ad un massimo di 7 cm) con mezzi manuali, senza danneggiare i tessuti vivi della pianta, che è così capace di rigenerare questo strato di sughero. Nelle sugherete è anche possibile esercitare il pascolo di suini, capre, pecore in quanto le ghiande sono apprezzate dagli animali domestici e selvatici.

I PINI MEDITERRANEI

Sono definiti “Pini mediterranei” quelle specie di pino che vegetano lungo il mediterraneo, nella fascia basale, con trasgressioni più o meno accentuate nelle zone superiori. Le tre specie appartenenti a questo raggruppamento sono: pino marittimo, pino domestico e pino d’Aleppo, nell’insieme ricoprono in Italia 123.300 ettari (come riportato dall’Inventario Forestale Nazionale).

PINO MARITTIMO (Pinus pinaster Ait.)

Questa specie ha un aspetto maestoso, dato dalle ragguardevoli dimensioni che può raggiungere (40 m di altezza e 1 m di diametro) e dal suo portamento (fusto diritto o leggermente arcuato, privo di rami per molti metri, chioma mai appiattita, di colore verde scuro). La corteccia è rossa e profondamente fessurata in placche. I rami principali sono robusti e disposti in palchi. Gli aghi, riuniti in fascetti di 2, sono molto lunghi (fino a 20 cm) e rigidi (larghi oltre 2 cm), di colore verde scuro, appuntiti, concentrati nella parte terminale del rametto, al quale sono legati tramite una guaina, di colore grigio, lunga anche 2,5 cm.

I fiori maschili sono gialli e posizionati alla base dei rametti, quelli femminili sono rossi raggruppati attorno alla gemma terminale. I coni sono riuniti in gruppi di 2, o più, e permangono sul ramo diversi anni (maturano in due anni, ma poi rimango appesi), sono lunghi e privi di peduncolo. Gemme grandi, appuntite, bruno-rosse, non resinose.

Facilmente riconoscibile dagli altri pini mediterranei per la corteccia rossastra, gli aghi lunghi e rigidi, la guaina fogliare lunga, le gemme grosse, lunghe e non resinose. E’ una specie spontanea lungo il Tirreno, poi diffusa nelle restanti aree d’Italia. Non è presente al sud. Nonostante il suo nome, non vegeta sulle coste ma preferisce la collina e la media montagna, si trova tra il Lauretum e il Castanetum caldo (tra i pini mediterranei è quello che si spinge più in alto). Pochissimo esigente in fatto di terreni, sopravvive ovunque, dai suoli silicei a quelli calcarei. Ha bisogno di molta umidità sia atmosferica che edafica, mentre non esige temperature troppo elevate (dimostrato dalla sua trasgressione verso l’alto). Specie eliofila.

Questo pino viene usato per ricoprire suoli nudi e poveri, in quanto pianta che dissemina abbondantemente, cresce velocemente nei primi anni, ha poche esigenze di terreni e sopporta la luce. Tutte queste caratteristiche, tipiche delle specie pioniere, lo rendono adatto a colonizzare terreni poveri. La specie veniva in passato utilizzata per l’estrazione della resina, più abbondante che negli altri pini; oggi questa pratica è quasi abbandonata.

Il legno è pesante, con durame rossiccio e alburno giallastro, con fibre grossolane. Non è adatto ai lavori di falegnameria fine, ma viene utilizzato per pali telegrafici, traverse e per la produzione di carta. Può essere impiegato anche come combustibile.

PINO DOMESTICO (Pinus pinea L.)

E’ il pino dall’aspetto più caratteristico, da adulto infatti assume una forma così detta ad ombrello, con altezze di 30 m. L’albero che da giovane ha una chioma globosa, con il passare degli anni perde i rami bassi e quelli alti si dispongono a raggiera e sorreggono una chioma che è diventata appiattita.

Gli aghi sono simili a quelli del pino marittimo ma leggermente più corti e contorti, di colore verde chiaro. Gli strobili sono lunghi fino a 15 cm e larghi 10, bruni, ricoperti di resina, brevemente peduncolati. La maturazione dei coni avviene in tre anni e contengono dei semi eduli: i classici pinoli.

Probabilmente in Italia il pino domestico non è spontaneo ma è stato importato molti secoli or sono, esso si è naturalizzato nel nostro territorio tanto che risulta difficile definire l’areale con precisione. Vegeta nel Lauretum, e in casi particolari, anche nel Castanetum caldo. Poco esigente di terreni (come il marittimo), rifugge quelli troppo calcarei, compatti e con ristagni di umidità. Sopporta le alte temperature e l’aridità. Ha bisogno di molta luce per la sua crescita, che è molto rapida. Il suo uso primario è per la raccolta dei pinoli, impiegati nell’industria dolciaria e culinaria; i coni vengono raccolti da ottobre a fine inverno e tenuti a lungo in mucchi; in primavera sono distesi al sole per aprirsi e lasciare uscire i semi.

PINO D’ALEPPO (Pinus halepensis Mill.)

Questo pino è tipico della costa dove cresce anche sui dirupi scoscesi e rocciosi. E’ un albero di media altezza (intorno ai 20 m), dall’aspetto irregolare sia nel fusto (spesso tortuoso) che nella chioma (asimmetrica con foglie riunite nelle sommità dei rami). La corteccia, a maturità rossiccia, si fessura longitudinalmente in placche. Gli aghi sono riuniti in gruppi di 2, brevi rispetto agli altri pini mediterranei (intorno ai 10 cm), sottili, di colore verde chiaro, con guaina fogliare grigia lunga 8 mm circa.

Gli strobili, che maturano in due anni, sono tenuti sui rami per tre anni, pertanto negli stessi rami sono presenti coni di 1, 2 e 3 anni. Essi sono solitari o a due, di forma ovato-conica, bruno-rossastri, lunghi circa quanto gli aghi, portati su un breve peduncolo. In Italia è presente lungo le coste, dove vegeta nella zona del Lauretum sottozone calda e media. Affatto esigente verso i terreni, richiede invece molto calore e luce per il suo sviluppo. Sopporta l’aridità.

Specie a rapido accrescimento, il suo legname, duro e di media pesantezza, con durame ed alburno distinti, viene utilizzato per le costruzioni navali e la falegnameria grossolana. Discreto combustibile.

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